
A meno di sei mesi dal trionfo elettorale Beppe Sala si ritrova in mano un caso, l’abbattimento del Meazza, trasformato in un viluppo spinoso. Un carciofo che come lo tocchi punge, rimasto nelle mani del sindaco. Inter e Milan vogliono uno stadio nuovo per sfruttarne le potenzialità economiche, ma nel progetto non vogliono metterci un centesimo. Chiedono al Comune la disponibilità di aree molto più estese della superficie del nuovo impianto per un nuovo centro commerciale, torri per uffici e nuova residenza. Nasce il comitato “Sì Meazza”, a cui aderiscono Rivera, Mazzola e Donadoni. Parte oggi in città la raccolta di 1000 firme entro il 5 marzo per indire un referendum cittadino
L’analisi di IVAN BERNI
NON VI È DUBBIO che la rielezione di Giuseppe Sala a sindaco di Milano, lo scorso autunno, sia stata quasi una incoronazione. Confermato al primo turno con il 57,7% dei voti, Sala ha mantenuto il timone della città saldamente in mano e, all’apparenza, senza nemmeno il problema di aggiornare il contratto di convivenza con il Pd, nonostante un massiccio 34% dei consensi. Sala è rimasto e ha proceduto a fare quel che aveva in mente, sicuro di non avere fastidi dai compagni di strada e men che meno da un’opposizione letteralmente liquefatta e incapace di presentare un candidato competitivo o perlomeno presentabile (si ricorderà la figura del pediatra pistolero Luca Bernardo, scelto da centrodestra come challenger del sindaco uscente). Però accade che gli eccessi di sicurezza possono generare brutti scherzi, e qualche volta complicare la vita a dispetto di quel che si prevedeva.

Così sta capitando che a meno di sei mesi dal trionfo elettorale Beppe Sala si ritrovi in mano un caso, quello dell’abbattimento di San Siro e della costruzione del nuovo stadio, che si è trasformato in una specie di viluppo spinoso. Un carciofo che come lo tocchi punge. E che è rimasto nelle mani del sindaco. La storia è presto riassunta: Inter e Milan vogliono uno stadio nuovo per sfruttarne le potenzialità economiche. In Europa tutti i grandi club hanno degli stadi di proprietà e grazie (anche) a questo fattore tengono a galla i loro bilanci: gli stadi “moderni” permettono di sviluppare attività commerciali e di destinare una consistente porzione di posti privilegiati — i corporate box — venduti a peso d’oro a società che ne fanno un’occasione di marketing e a riccastri a cui piace mangiare ostriche mentre guardano la partita. La particolarità milanese è che le due squadre, a differenza che nel resto del mondo, sono disponibili a gestire in una specie di comproprietà — in realtà una concessione comunale di 90 anni — il nuovo stadio. È quello che già accade da decenni con l’uso “condominiale” di San Siro, che però Inter e Milan vogliono demolire, sostenendo l’impossibilità di ristrutturarlo per farne il profittevole impianto ambìto dalle due società. Se ne parla da diversi anni. Nel 2019 la giunta milanese ha approvato una delibera con cui sancisce «l’interesse generale» del progetto per lo stadio. Poi il tema si è inabissato. Perché c’è stato il Covid, certo. Ma soprattutto per una valutazione del sindaco, che ha ritenuto di rinviare la spinosa materia (il carciofo) al post elezioni e quindi alla nuova amministrazione.

Il tema dello stadio vecchio e nuovo è sparito dalla campagna elettorale. Il centrodestra si è guardato bene dal sollevare obiezioni (quando si tratta di grandi interventi edilizi le differenze spariscono…) e lo stesso ha fatto il centrosinistra di governo, obbedendo al sindaco. Che però, a vittoria acquisita, è stato preso da una sorta di fregola, mettendo la questione al primo punto della sua nuova agenda di governo. Ricavandone una grandinata di guai. Il principale è che si è capito che i due blasonati club meneghini della pedata, nel progetto dello stadio nuovo non vogliono metterci un centesimo. Chiedono al Comune di mettere a disposizione aree molto più estese della superficie del nuovo impianto e progettano di metterci un nuovo centro commerciale, torri per uffici e nuova residenza. «E con i diritti volumetrici di questi interventi “accessori” vogliono finanziare la demolizione del vecchio e la costruzione del nuovo stadio. Incredibile, un saccheggio edilizio», commenta Luigi Corbani, ex vicesindaco per il Pci dell’ultima giunta rossa milanese, dall’89 al ’91, animatore del Comitato “Si Meazza”, che dallo scorso inverno sta dando battaglia per salvare il vecchio stadio e contro il progetto di Inter e Milan. Il fatto è che i numeri non tornavano e non tornano per niente.
In una prima versione del progetto l’intervento riguardava 290mila metri quadri, di cui 160mila di edilizia commerciale e uffici e soltanto 14mila metri quadri per il nuovo stadio. Valore complessivo dell’intervento l’astronomica cifra di 540 milioni di euro grazie a un indice di edificazione di 0,63, quasi il doppio della previsione del piano di governo del territorio di Milano, fissato a 0,35. «Fatti due conti, significa arrivare nel nuovo stadio a un costo medio per posto di 8200 euro, quando la media europea calcolata su 29 stadi è di 3800 euro», puntualizza Corbani.

A novembre arriva una nuova proposta che riduce l’indice di edificazione da 0,63 a 0,51, ma il cemento per destinazioni extrasportive prevale ancora. Nel frattempo il Consiglio comunale vota a sua volta una delibera che riconosce al progetto “nuovo stadio” il valore di interesse generale, ma approva anche un atto che chiede che il progetto non superi l’indice di edificazione di 0,35, quello previsto dagli strumenti urbanistici di Milano. Da quel momento tutto torna nelle nebbie, mentre in città si fa largo l’idea che tenersi il vecchio San Siro non sarebbe così male. Nasce il comitato “Si Meazza”, a cui fra gli altri aderiscono Rivera, Mazzola e Donadoni e il promoter di Bruce Springsteen in Italia Claudio Trotta, anche perché si scopre che non c’è una sola perizia che dichiari l’obsolescenza dell’impianto. Fra l’altro, giova ricordare, che sarà San Siro lo stadio che ospiterà la cerimonia di apertura delle Olimpiadi invernali Milano Cortina 2026. E che il Coni ha voluto una prescrizione esplicita che esclude la presenza in contemporanea di un cantiere in prossimità dell’impianto. Ma se il vecchio Meazza è in grado di ospitare una kermesse olimpica com’è possibile ritenerlo inefficiente? Oltretutto, rimarcano i contestatori del progetto del nuovo impianto, ancora non è stato presentato il progetto esecutivo, sulla base del quale, poi, andrà indetta una gara internazionale. E poi appare piuttosto incongruo anche il calcolo del canone che Inter e Milan dovrebbero versare a Comune per il nuovo impianto: 70 milioni l’anno.
Infine, inevitabilmente, dovrà dire la propria anche la magistratura amministrativa. Il comitato “Si Meazza” ha infatti presentato due ricorsi al Tar della Lombardia contro le delibere di Giunta e di Consiglio comunale che hanno votato l’interesse generale del progetto. «È del tutto evidente che l’interesse generale non ha niente a che fare con questa operazione edilizia, fatta per finanziare lo stadio e guadagnarci sopra dei soldi», chiosa Luigi Corbani: «In Europa non ci sono due squadre proprietarie di uno stesso stadio. Inter e Milan sono un patrimonio della città, ma la città non è patrimonio di due squadre di calcio». © RIPRODUZIONE RISERVATA