La tragedia di Casamicciola, uno dei sei comuni dell’isola di Ischia, dove una frana ha travolto case e abitanti, ha riportato d’attualità l’irrisolto problema dell’emergenza idrogeologica, delle competenze frammentate, dell’inerzia della politica. In una realtà di abusi edilizi su territori fragili, di scempi, di burocrazia sorda, di fondi stanziati e non utilizzati. Gli esperti del territorio, dai geologi ai geofisici, sono concordi nel lanciare l’allarme, e avvertono: «Sono troppi i rischi, qui non si può ricostruire». Ma non c’è solo Ischia: sono otto milioni gli italiani che vivono in zone a rischio idrogeologico medio-alto
L’articoli di ANNA MARIA SERSALE

HA UN TERRITORIO di appena sei chilometri quadrati, ma ad alta densità abitativa, con più di ottomila residenti, e una storia di abusivismo e condoni. Casamicciola ha conosciuto disastri di ogni tipo, è l’emblema dell’italica fragilità, terra da sempre sottoposta a rischio idrogeologico, che ora la crisi climatica amplifica. É pura follia, ma nel Belpaese -nonostante di Casamicciole da nord a sud ce ne siano tante – c’è chi continua a costruire sui suoli franosi, dove disastri, vittime e danni si ripetono ciclicamente.
A Ischia il 26 novembre la violenza del nubifragio ha aperto una nuova ferita: fango e detriti si staccano dal versante nord del monte Epomeo cancellando la vita di dodici persone. In poco tempo centoventi millimetri di pioggia scatenano l’inferno. Fragili, i fianchi della montagna si spappolano e un mix di materiale vulcanico e terra si abbatte sul vallone della morte, dal nome di donna, “La Rita”. Lungo il passaggio la valanga lascia morti, feriti, case distrutte. Bilancio di una tragedia che si ripete nel tempo, ma che non basta a bloccare la speculazione edilizia.
La montagna non perdona perché la mano dell’uomo ha fatto scempio. Si piangono le vittime, anche se per qualcuno sono lacrime di coccodrillo. Si fa la conta dei danni. Ma i colpevoli restano impuniti. I condoni hanno “lavato” gli abusi. Un’antica complicità, purtroppo, lega gli interessi di chi trae vantaggio dalla violazione delle regole. Molti politici hanno chiuso gli occhi sugli abusi, inseguendo carriere e facili consensi. La verità è che quei morti non sono morti per una calamità naturale o per una fatalità. Sono morti perché ai piedi dell’Epomeo – vulcano tettonico al centro di un complesso sistema di faglie attive dell’area Flegrea – c’erano costruzioni abusive o “regolarizzate” dalle sanatorie. Molte delle case distrutte erano in zone proibite, molte dovevano essere abbattute, ma erano ancora lì. Prova dell’irresponsabilità di chi dovrebbe salvaguardare l’ambiente e la vita stessa dei cittadini. «E’ come giocare alla roulette russa», avverte il presidente dell’Ordine dei geologi della Campania Egidio Grasso. «Non si può ricostruire nelle aree del pericolo – dicono unanimi i geologi – bisogna avere il coraggio di delocalizzare le abitazioni».
Ma c’è un’altra nota dolorosa. Si piangono i morti, però i soldi per la tutela e il risanamento del territorio sono fermi in un cassetto. Dodici anni fa tre milioni e centomila euro furono stanziati dal ministero dell’Ambiente per Casamicciola, il comune di Ischia con il più elevato livello di rischio idrogeologico. Benché destinati alla prevenzione e alla messa in sicurezza quei soldi non sono mai stati spesi perché i progetti, per la realizzazione delle opere, sono tuttora incompiuti. Affossati dai tempi infiniti della burocrazia, tra veti incrociati e conflitti tra i partiti.

Così ha vinto l’inerzia. Ma alla politica del “poi ci pensiamo” si contrappone la durezza degli eventi climatici che inesorabilmente presentano il conto, dall’Epomeo alla costa, ai terrazzamenti, un tempo curati da chi coltivava la terra. Colpa dell’abusivismo “sanato” a suon di condoni. E ora ad ogni alluvione le ferite si fanno più profonde. «Nonostante la situazione sia tanto grave, nella campagna elettorale per le politiche – osserva Angelo Bonelli co-portavoce di Europa Verde – l’attuale maggioranza di governo in Campania prometteva un nuovo condono edilizio».
«L’ennesimo disastro di Casamicciola è la prova dell’estrema fragilità di quel territorio – sostiene Antonio Coviello, docente universitario a Napoli di economia e ricercatore del Cnr-Iriss (Centro nazionale delle ricerche e Istituto di ricerca su innovazione e servizi per lo sviluppo) -. In Italia più di due terzi delle abitazioni e otto milioni di persone sono a rischio medio-alto per terremoti, frane e alluvioni. Negli ultimi quarant’anni si è registrato un aumento degli eventi disastrosi, con danni economici enormi, pari al 3% del Pil annuo». Coviello come ricercatore del Cnr collabora con i colleghi dell’Ingv, l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia: «Essi spiegano che l’intera area Flegrea, non solo il Vesuvio, viene monitorata costantemente perché è una “bomba a orologeria” anche a causa del bradisismo. Senza fare allarmismo, certe cose non si possono tacere».
Coviello, che di recente ha pubblicato il libro intitolato “I rischi catastrofali. Azioni di mitigazione e gestione del rischio” (edito da Cnr Edizioni e scaricabile gratuitamente), sui problemi di Ischia incalza: «Abbiamo i soldi per i lavori, ma i lavori non si fanno. E quando spendiamo, spendiamo male. In tutto questo la politica va a nozze. Governando le emergenze si raccolgono consensi che poi si trasformano in “voto di scambio”. Altri ostacoli vengono dalla frammentazione delle competenze: protezione civile, comuni, autorità di bacino, province e regioni. Neppure ora si sta studiando in modo scientifico come porre riparo ai mali del territorio, né si ascoltano gli avvertimenti di geologi e scienziati». Inascoltato anche l’allarme lanciato dall’ex sindaco di Casamicciola, l’ingegnere Conte, che prima del nubifragio inviò ventitré pec, tra cui una al prefetto di Napoli e una alla Protezione civile, sostenendo che la popolazione andava evacuata e non bastava il semplice allarme meteo.

Quanto ai finanziamenti per il riassetto del territorio, si scopre che la lista dei soldi non spesi si allunga: oltre ai tre milioni e centomila euro di dodici anni fa (destinati alla messa in sicurezza della zona interna e di quella costiera) per Casamicciola nel 2021 erano stati dati altri due milioni e mezzo; si arriva così a un totale di cinque milioni e seicentomila euro. Va poi aggiunto un altro milione di euro dato per sistemare il vallone, quello dove un mese fa ci sono state le vittime. A questi si aggiunge un altro mezzo milione per l’intervento di messa in sicurezza, dopo l’alluvione del 2009. Totale: sette milioni e centomila euro. Infine, ma questa è la cronaca di questi giorni, il governo ha stanziato due milioni di euro per il primo soccorso e per provvedere agli sfollati (sono oltre novecento gli edifici danneggiati), cui è seguito un finanziamento di dieci milioni inviato al Fondo regionale di protezione civile della Campania. Vedremo se, e come, verranno spesi. Pensare che dopo il terremoto del 2017 vulcanologi e geologi proposero, insieme a molti cittadini delle zone allora colpite, un progetto di risistemazione del territorio intitolato “Ischia modello di sicurezza”, un modello da esportare nel resto d’Italia poiché l’isola rappresenta tutti i rischi geologici che affliggono il Paese.
Ma quella proposta, vanificata dall’inerzia dei politici, dopo quest’ultimo nubifragio suona come una beffa. Intanto, la Procura di Napoli ha aperto un fascicolo per disastro colposo e indaga su tutto: dai soldi non spesi alla mancanza di un piano di prevenzione, al dissesto, alla morte delle dodici vittime. Ischia, che un tempo vantava l’appellativo di isola verde, è uno dei territori italiani in cui «il livello di rischio è al massimo grado». Lo ha dichiarato anche l’attuale ministro dell’ambiente Pichetto Fratin nell’audizione alla Camera. Intanto, tra mille polemiche sull’isola si avvicendano i commissari straordinari. Da tempo ce ne sono tre all’opera contestualmente: uno per il post terremoto, uno per l’emergenza di Casamicciola, uno per la crisi idrogeologica. Però anche sui commissari si litiga. Simonetta Calcaterra, nominata da Palazzo Chigi dopo il nubifragio, dopo un braccio di ferro del presidente della regione De Luca è stata sostituita da Giovanni Legnini, uomo di fiducia del governatore. Anche Legnini è stato ascoltato in audizione alla Camera. Per Casamicciola ha proposto di integrare i processi di ricostruzione post sisma 2017 (su cui si è fatto ben poco) e post alluvione. Il commissario chiede al governo «altre risorse» e dice che «gli edifici inagibili vanno delocalizzati, non ricostruiti in situ, per ragioni di sicurezza».

Nel frattempo il governo in carica, invece di promuovere un serio programma nazionale per il riassetto del territorio a rischio, decide di «tagliare i fondi del 40%». E’ l’accusa dell’ex ministro dell’ambiente Sergio Costa, Cinque stelle. «Meno fondi – incalza Costa – nonostante la Protezione civile in dieci anni abbia dichiarato 123 stati di emergenza per alluvioni e frane, con circa 270 morti e un miliardo di danni l’anno». Anche se il piano “Proteggi Italia” del 2019 aveva messo undici miliardi di euro e il Pnrr ne aveva aggiunti altri due e mezzo, stando alla gravità del quadro nazionale i soldi non bastano. Infatti, il 94% dei Comuni italiani è soggetto a rischi. Dunque, siamo alla sagra dell’ipocrisia.
Però è bene ricordare che l’abusivismo da noi ha radici lontane. Cento anni fa Benedetto Croce, che all’inizio degli Anni venti era ministro della Pubblica istruzione, nel quinto (e ultimo) governo Giolitti, scrisse la prima legge al mondo per la tutela del paesaggio e del territorio, partendo da certi abusi che vedeva a Napoli e in Campania, allargando l’orizzonte all’Italia tutta. Una svolta politica, culturale, artistica. Però già allora, per far approvare il suo testo, il filosofo dovette battersi strenuamente contro interessi privati e consorterie di vario genere. Croce non mollò, spinto dalla passione per il bello ma anche dal dramma vissuto all’età di 17 anni. Nel luglio del 1883 era in vacanza a Casamicciola con la famiglia. Per un terremoto di potenza devastante, alle prime scosse durate 90 secondi, perse in un colpo padre, madre e sorella.
Comunque in Italia, paradossalmente, l’assalto al territorio è esploso dopo l’alluvione del ‘66 che devastò Firenze e inondò oltre duemila Comuni del centro-nord. I danni al patrimonio artistico e librario furono incalcolabili. Talmente grande il disastro che nell’arco di poche settimane il Parlamento approvò una legge per vietare le costruzioni nei luoghi a rischio, imponendo ai Comuni di fare, finalmente, i piani regolatori. Com’è andata lo racconta l’ultima tragedia di Casamicciola o di tanti altri luoghi funestati dallo straripamento di fiumi, frane, colate di fango e detriti. Il cemento continua a farla da padrone. Anche se il 49% del territorio italiano è a rischio frana.
Le colate di cemento non si sono fermate neppure di fronte ai morti e ai ripetuti disastri. «Il territorio va curato e monitorato, la nostra tecnologia può evitare il peggio e salvare vite», afferma Giuseppe De Natale, dirigente di ricerca dell’Ingv, autore del capitolo sul rischio vulcanico nel volume edito dal Cnr. Intanto, gli esperti dicono che occorrerebbe un sistema di norme chiare. Ma il Piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico, avviato nel 2016 dal ministero dell’Ambiente e presentato informalmente nel 2018, non ha ancora ricevuto il parere definitivo dalla commissione Vas (Valutazione ambientale strategica). Ma gli esperti lanciano avvertimenti: «Quando quel piano sarà varato sarà tardi, perché già superato». © RIPRODUZIONE RISERVATA