
Il paesaggio è l’aspetto visibile del territorio. La sua tutela prevale sulle altre. Si può e si deve tutelare l’ambiente e pianificare le città nel rispetto della parte visibile del territorio. Viceversa, lo stravolgimento della parte visibile del territorio, eventualmente richiesta da esigenze urbanistiche o ambientali, può attentare irreversibilmente al paesaggio. Conciliare le tre distinte tutele è dare prevalenza a quella paesaggistica, come prevede l’art. 145 del Codice del paesaggio. La tutela dell’ambiente e le essenziali esigenze urbanistiche devono essere soddisfatte nel rispetto del volto del paese, se si vogliono tutelare il paesaggio e i valori culturali che esso esprime. L’attuale parlamento è riuscito, con questa scellerata modifica, ad intorbidire una delle più fulgide disposizioni costituzionali
L’analisi di CARLO IANNELLO, giurista
HA SCRITTO EFFICACEMENTE Vittorio Emiliani che, nella recente modifica dell’art. 9 Cost., «il paesaggio è annacquato in un elenco di termini indefiniti» e Fabio Balocco si è chiesto «Cosa ci sia di «storico» (Fico) e di «epocale» (Cingolani). Hanno ragione. La nuova formulazione sfregia e rende ambigua una delle maggiori novità della Costituzione: nulla di storico o di epocale. Nella migliore delle ipotesi, si tratta di un ingenuo errore, acriticamente ritenuto una rivoluzione dalla quasi totalità del Parlamento e così superficialmente rappresentato dai media. Occorre allora fare alcune osservazioni per ricondurre la questione sui suoi giusti binari.

La nozione di paesaggio nacque in Italia nel 1920 ad opera di Benedetto Croce che, da ministro della Pubblica Istruzione, scrisse la prima legge italiana per la difesa del paesaggio assieme a una relazione, ancora oggi fondamentale per chiunque voglia comprenderne il concetto. Croce lega inscindibilmente paesaggio, cultura e identità nazionale. Questa nozione, sin dalle origini, ha ricompreso non solo il paesaggio naturale, ma tutto l’ambiente in cui l’uomo vive, osservato da una prospettiva particolare. Scrive il filosofo: «Non è da ora che si rilevò essere le concezioni dell’uomo il prodotto, oltre che delle condizioni sociali del momento storico, in cui egli è nato, del mondo stesso che lo circonda, della natura lieta o triste in cui vive, del clima, del cielo, dell’atmosfera in cui si muove e respira». Non solo natura, dunque, ma tutto il paese «coi suoi caratteri fisici particolari, con le sue montagne, le sue foreste, le sue pianure, i suoi fiumi, le sue rive, con gli aspetti molteplici e vari del suo suolo, quali si sono formati e son pervenuti a noi attraverso la lenta successione dei secoli». Perché non potessero esservi equivoci, la relazione chiarisce che è paesaggio «quel che costituisce la fisonomia, la caratteristica, la singolarità, per cui una nazione si differenzia dall’altra, nell’aspetto delle sue città, nelle linee del suo suolo, nelle sue curiosità geologiche». La più artificiale opera dell’uomo, la città, dunque, è ricompresa nella nozione di paesaggio, definito da Croce «la rappresentazione materiale e visibile della Patria». Suo elemento distintivo è il suo legame con la cultura perché contribuisce a «plasmare l’anima nazionale».

Questa amplissima nozione, che erroneamente si fa risalire alla seconda metà dello scorso secolo, rappresenta l’architrave su cui si regge l’art. 9 Cost. che, nell’attribuire allo Stato compiti culturali, salda fra loro cultura, paesaggio e patrimonio storico artistico della Nazione. Ciò che ha subito una modifica profonda sono gli strumenti di tutela, progressivamente adeguati all’intensificarsi delle minacce: il solo vincolo era sufficiente negli anni Venti; ad esso si aggiunse la pianificazione alla fine degli anni Trenta, quando cominciava il fenomeno dell’urbanizzazione; il piano paesistico divenne comprensivo dell’intero territorio negli anni Ottanta, quando la speculazione edilizia sfregiava coste e monti per dare seconde e terze case agli italiani.
Ma la nozione di paesaggio ha sempre rappresentato una costante. C’è un filo rosso che tiene assieme tutta la tradizione italiana in difesa del paesaggio, da Croce ad oggi, evidenziato dall’art. 131 del codice vigente che definisce il paesaggio «la rappresentazione materiale e visibile dell’identità nazionale», attingendo proprio dalla citata relazione per la quale il paesaggio coincide con «il mondo stesso che circonda» l’uomo; la pianificazione paesistica improntata ai criteri «dell’integralità e della globalità» (Corte Cost. 151/1986) ne è il coerente completamento.
Il paesaggio ha, dunque, una sua specificità perché eccezionale è il valore tutelato: la cultura espressiva dell’identità nazionale. Ambiente e urbanistica, invece, tutelano valori differenti che si aggiungono a quello paesaggistico, senza mai confondersi con esso, come la Corte costituzionale ha più volte affermato. L’ambiente tutela gli equilibri ecologici in favore delle future generazioni. L’urbanistica persegue l’ordinato assetto della vita sociale, per rendere ai cittadini i servizi essenziali.

La possibile confusione tra questi concetti risiede nella circostanza che tutti insistono sul medesimo bene, il territorio. Ma questa circostanza non annulla le differenze. Il paesaggio, come osservato, è l’aspetto visibile del territorio. Ed è per questo motivo che la sua tutela prevale sulle altre. Si può e si deve tutelare l’ambiente e pianificare le città nel rispetto della parte visibile del territorio. Viceversa, lo stravolgimento della parte visibile del territorio, eventualmente richiesta da esigenze urbanistiche o ambientali, può attentare irreversibilmente al paesaggio. L’unico modo di conciliare le tre distinte tutele è dare prevalenza a quella paesaggistica, come prevede l’art. 145 del Codice del paesaggio. La pianificazione paesaggistica si impone su quella urbanistica e su quelle ambientali per la forza delle cose. La tutela dell’ambiente e le esigenze urbanistiche, anch’esse essenziali, devono essere soddisfatte nel rispetto del volto del paese, se si vogliono tutelare il paesaggio e i valori culturali che esso esprime.
Se fossero l’urbanistica o l’ambiente a prevalere, rischieremmo di cancellare il paesaggio e, con esso, la nostra cultura e la nostra identità collettiva (cui, si badi, partecipa pure lo straniero che gode del nostro patrimonio culturale, perché la cultura non può mai essere escludente). Ad esempio, un parcheggio, richiesto dal piano urbanistico, non c’è dubbio si debba realizzare perché dota la città di standard di vivibilità. Ma se il territorio ha pregio paesistico potrà farsi a raso o sottoposto al suolo. Un parcheggio multipiano, invece, attenterebbe al valore del paesaggio, sfigurandolo; dei pannelli fotovoltaici avranno un impatto differente se ubicati negli innumerevoli ex siti industriali dismessi o su colline di pregio evocative di importanti opere artistiche e letterarie.

Pertanto, l’unica possibilità di conciliare i tre distinti valori è quella di dare la prevalenza alla disciplina paesistica che, tutelando l’aspetto visibile del territorio, ha un compito vincolato che potrebbe essere del tutto frustrato da una proterva soddisfazione degli altri valori. La tutela ambientale e le esigenze urbanistiche, invece, per loro natura sono molto più flessibili, non avendo il vincolo della «forma del paese»: la loro soddisfazione può essere ricercata attraverso una pluralità di soluzioni, alcune delle quali compatibili con il valore paesaggistico, altre no.
A questo punto è possibile dare una valutazione critica alla modifica costituzionale che ha introdotto la tutela ambientale nel medesimo articolo che i costituenti avevano scritto per tutelare il paesaggio, cioè la cultura espressiva dell’identità nazionale. Ed è in ciò che risiede l’errore della recente modifica. Lungi dal rafforzare la tutela che la Costituzione aveva apprestato a questo valore, rischia di diminuirla, consentendo, eventualmente, agli interpreti, contro la storia italiana in tema di tutela paesistica e contro la cultura, di porre ambiente e paesaggio sullo stesso piano, mentre, come spiegato, non lo sono affatto. Di certo aumenterà la confusione dei concetti e moltiplicherà i conflitti istituzionali.
Insomma, l’attuale parlamento è riuscito, con questa scellerata modifica, ad intorbidire una delle più fulgide disposizioni costituzionali. Si è permesso di alterare quel sapiente e limpido equilibrio che costituenti come Concetto Marchesi e Benedetto Croce erano riusciti a dare ad un articolo che racchiudeva tutta la migliore tradizione di tutela del patrimonio culturale, costruendo un ponte per il futuro, che la Corte costituzionale ha saputo percorrere con sapienza, riuscendo a fare dell’art. 9 un baluardo anche per la difesa dell’ambiente senza mai fargli perdere il suo più autentico significato. © RIPRODUZIONE RISERVATA