Il 23 ottobre, a Napoli, nella sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici si terrà un dibattito sull’attualità delle battaglie in difesa del paesaggio e dei beni culturali alle quali Antonio Iannello, scomparso 25 anni fa, ha dedicato l’esistenza. Un dibattito, non una celebrazione, che pure Antonio Iannello meriterebbe. Ma una celebrazione potrebbe esporlo al rischio di quella retorica che in vita ha sempre voluto evitare, e consigliato di evitare. “Non fare retorica!” furono proprio le sue ultime parole. In questo ricordo, i suoi figli Carlo e Francesco recuperano il filo che lega intime emozioni familiari e una grande passione civile
◆ L’articolo di CARLO e FRANCESCO IANNELLO
► «Non fare retorica!». Queste sono le ultime parole pronunciate da nostro padre prima di morire. Per comprendere il contesto in cui furono pronunciate, occorre una premessa.
A Natale 1997 apprese di avere un male incurabile e decise di impiegare le ultime forze che gli restavano per scrivere un libro, a cui pensava da molti anni, senza trovare il tempo, interamente assorbito da una costante azione di lotta per la tutela del paesaggio e dei beni culturali. Adesso, purtroppo, il tempo che non aveva mai avuto c’era. Il libro è «L’inganno federalista», pubblicato dalla casa editrice dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici. Si tratta di un’antologia che ricostruisce la dura opposizione all’istituzione dell’ordinamento regionale animata da alcuni dei più autorevoli costituenti: da Pietro Nenni a Palmiro Togliatti, da Benedetto Croce a Concetto Marchesi ed è preceduta da un saggio introduttivo in cui si chiarisce perché in Italia la proposta federalista rappresentasse nulla di più e nulla di meno di un vero e proprio «inganno». Erano i giorni in cui la Commissione bicamerale presieduta da Massimo D’Alema stava approvando un radicale stravolgimento della Costituzione repubblicana: dall’introduzione del presidenzialismo a quella di un antistorico federalismo, volto a fare delle regioni dei piccoli statarelli. Il testo della Commissione sul federalismo venne poi riesumato da D’Alema e Amato sul finire della legislatura per approvare una scellerata modifica del Titolo V di cui stiamo ancora pagando i danni.
Nell’introduzione è contenuta una rigorosa critica della riforma del titolo V immaginata dalla Commissione Bicamerale, in un tempo in cui l’intera l’intellighenzia italiana si dichiarava entusiasticamente federalista.
Pochi giorni dopo la fine del lavoro, le sue condizioni cominciarono a peggiorare rapidamente. Il suo fraterno amico, Gerardo Marotta, ordinò allora alla tipografia di procedere con la massima rapidità. Voleva fortemente che il suo compagno di lotte civili di una vita vedesse il frutto della sua ultima battaglia prima di morire. Il 2 maggio arrivò un corriere che ci consegnò alcune copie del libro ancora bagnate di inchiostro ma lui non dava segni di conoscenza. Nel tentativo di svegliarlo dal sonno nostra madre prese il libro, descrivendolo con enfasi e con i più entusiastici aggettivi, per fare breccia in quello stato di incoscienza. «Non fare retorica», furono le sue ultime parole. Non solo era riuscita nel suo obiettivo, fargli comprendere che il libro era stato stampato, ma gli aveva dato la possibilità di congedarsi dal mondo in modo coerente con tutta la sua esistenza. L’importante non era celebrare il libro, ma che le idee che conteneva potessero circolare.
Sempre concreto, ha speso la sua intera vita per l’affermazione delle idee in cui credeva, condizione imprescindibile per vincere le battaglie in difesa del paesaggio e del patrimonio storico e artistico. Come non amava la retorica, così non amava apparire, a meno che non fosse strategicamente necessario. Passava ore a discutere con amici giornalisti e scrittori il contenuto dei loro articoli e libri, cui dava un contributo importante. «Perché non li scrivi tu i libri?» gli chiedevamo. «Perché a me interessa che si affermino le idee», rispondeva senza esitazione.
Quando raccontammo a Giovanni Pugliese Carratelli quali fossero state le sue ultime parole, commentò: «Non mi sorprende. Antonio era l’antiretorico per eccellenza». Antiretorico e privo di quel deleterio narcisismo, che si accompagna alla retorica ipocrita e vuota, causa (o concausa) del recente degrado della vita pubblica e democratica nel nostro paese.
Oggi viviamo avvolti nella retorica e nel narcisismo. L’assenza di contenuti fa tutt’uno con la volontà compulsiva di apparire, di gestire potere fine a sé stesso. Così gli amministratori approvano i piani casa, distruggono il paesaggio, si crogiolano negli oramai endemici conflitti di interesse, come accade da decenni, a Napoli e in Campania, dove le norme di piano e i vincoli paesaggistici non esistono più: dall’eliminazione del basolato storico alla devastazione di Monte Echia, il primo insediamento della città, alla proposta di un pacchiano restyling del lungomare, oramai, da decenni, costantemente deturpato in barba a tutti i vincoli esistenti, fino alla strumentalizzazione della vicenda Bagnoli per farne una mucca da mungere a beneficio anche dei futuri amministratori. E adesso apprendiamo della delirante idea di costruire un tunnel della tangenziale a Bagnoli, cioè nel cratere vulcanico dei Campi Flegrei.
L’unico modo per ricordare Antonio Iannello oggi è quello di contribuire a dare forza alle sue idee portando avanti battaglie concrete, come quelle per cui lui ha speso l’intera vita, facendo circolare quelle idee per far comprendere alle nuove generazioni che le battaglie si vincono davvero solo se si fuggono retorica e narcisismo. Per questo il 23 ottobre a Napoli, nella sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, non si terrà un inutile ricordo retorico, ma un dibattito sull’attualità e l’urgenza della battaglia per cui nostro padre ha speso l’intera esistenza: «Il ruolo dello Stato nella difesa del paesaggio e dei beni culturali». Interverranno: Piero Craveri, Michele Campisi, Aldo De Chiara, Vezio De Lucia, Giancristiano Desiderio, Rita Paris, Sauro Turroni. © RIPRODUZIONE RISERVATA