La pandemia ha mostrato che la politica può ancora imporsi sull’economia. 170 miliardi a deficit in un anno nel nostro paese. Blocco dei licenziamenti. Blocco degli sfratti. Interventi senza precedenti storici su diritti fondamentali di iniziativa economica, di proprietà, di mobilità. Questi interventi scuotono pilastri che il capitalismo borghese considera intoccabili. Conte 2 non ha fatto nulla di realmente efficace, ma ha “evocato” una possibilità, il che per il capitale è tabù. “Whatever it takes” vuol dire che sarà sempre il settore pubblico a sostenere la crisi del capitalismo. Profitti e rendite private mai saranno discusse


L’analisi di UGO MATTEI, giurista

¶¶¶ E arriviamo così all’ultimo decennio. Il dato strutturale più interessante è come i risultati elettorali, tanto del 2013 quanto del 2018, entrambi determinati da una legge elettorale truffa, siano stati irrilevanti su politiche neoliberali bipartisan dominate da un ruolo sempre più decisivo della Presidenza della Repubblica (cfr. Mattei, “Contro riforme”, 2013). I tre successivi governi hanno portato avanti politiche del tutto in linea con il Governo Monti (Letta, Renzi e Gentiloni), senza che alcuna soluzione di continuità fosse visibile. Stessa retorica austera ed efficientista, stesso europeismo acritico, stesse privatizzazioni, e stessi danni (o tentativi di danno) alla struttura costituzionale democratica.

L’onda lunga del referendum del 2011, si è manifestata da un lato con la Sentenza della Corte Costituzionale 199/2012, in cui fu decisa, su ricorso della Puglia di Nichi Vendola, l’incostituzionalità dei maldestri successivi tentativi di Berlusconi e Monti di rovesciare l’esito della consultazione. Dall’altra, con il tentativo generoso del movimento per i beni comuni di “presidenziare” Stefano Rodotà, riuscendo a farlo votare da un M5s che ancora non aveva gettato la maschera.

La rielezione di Napolitano dell’aprile 2013 è stata la risposta definitiva dell’Asse Atlantista alla primavera italiana dei beni comuni. Fin dal rientro di Togliatti a Napoli (così ben documentato nel libro di Maurizio Valenzi “C’è Togliatti”, 1995), essa poteva contare su quello che doveva diventare il capo della corrente migliorista del Pci. Napolitano non solo fu il primo comunista ufficialmente invitato a Washington, ma anche il primo dirigente di quel partito autorizzato a sostituire la Democrazia Cristiana addirittura al ministero degli Interni. La sua rielezione ha formalizzato la trasformazione dell’Italia come paese a costituzione materiale presidenziale, metamorfosi confermata dalla decisione (politicissima) di Mattarella di non consentire il voto in tempi di emergenza Covid. Ovviamente i nostri costituzionalisti mainstream, negano tutto ciò, sempre pronti a legittimare il potere.

La legislatura successiva, con l’exploit elettorale di Cinque Stelle e della Lega, introduce due fattori interessanti per comprendere le radici politiche dell’allontanamento di Conte. Innanzitutto il veto tutto politico di Mattarella (che sappiamo esser stato uomo di fiducia della Nato fin dai tempi in cui da ministro della Difesa di D’Alema autorizzò i Nato strikes nei Balcani) a Paolo Savona, un anziano economista sospetto di scarso europeismo, come ministro degli Esteri del “Governo del Cambiamento”. Era questo il nome dell’asse M5s/Lega che miracolò Conte, una figura politicamente inesistente, in virtù dei veti incrociati di Salvini e Di Majo, i quali entrambi ambivano a Palazzo Chigi, essendone ancor meno qualificati. Il Governo fu infine varato da Mattarella, dirottando Savona ad un dicastero marginale, e incassando l’iper atlantista Moavero agli Esteri, come garanzia di allineamento geo-politico. 

Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump alla Casa Bianca, Washington DC, 30 luglio 2018 (ANSA / FILIPPO ATTILI)

Fra le politiche del Conte 1, due ne hanno favorito la cacciata a seguito della vittoria di Biden. Innanzitutto, in politica estera, aver tenuto bordone, seppur obtorto collo, alle aperture (largamente propagandistiche) di Salvini a Putin, poco più che una ridicola parodia dell’uomo forte amico di altri uomini forti. Ciò sebbene Conte avesse lavorato senza tregua ad un buon rapporto con gli Stati Uniti, illudendosi, per inesperienza e scarsa conoscenza del mondo statunitense, che ciò passasse per un buon rapporto personale con Trump (che coniò il vezzeggiativo “Giuseppi”). In politica interna, è stato invece il reddito di cittadinanza, seppure condizionato secondo i dettami “meritocratici” neoliberali, a fungere da irritante. Sta di fatto che poco dopo la caduta del Conte 1 è stata l’emergenza Covid a tenere in sella un nuovo  asse M5s/Pd fuori tempo massimo, che avrebbe potuto funzionare forse nel 2013 (quando si poteva compattare su Rodotà) ma che, interpretata da una classe politica modestissima, non poteva che vivere alla giornata con continue forzature costituzionali, volte a far percepire come eccezione quella che, dopo oltre un anno, va vista come la la nuova regola. 

L’emergenza ha tuttavia mostrato che la politica può ancora imporsi sull’economia. 170 miliardi a deficit in un anno nel nostro paese, il più “virtuoso” d’Europa, in avanzo primario fin dall’ingresso in zona Euro. Blocco dei licenziamenti. Blocco degli sfratti. Interventi privi di precedenti storici su diritti fondamentali di iniziativa economica, di proprietà, di mobilità. Questi interventi scuotono pilastri che il capitalismo borghese considera intoccabili e naturalizzati nel rapporto fra il “politico” e l’“economico”. Conte 2 non ha fatto nulla di realmente efficace, ma ha “evocato” una possibilità, il che per il capitale è tabù. Anche in Italia se la politica vuole, essa può comprimere il capitale, esercitare su di esso il potere e non esserne succube, proprio come fu negli equilibri della Guerra Fredda, prima che si decretasse “la fine della storia”. 

Perfino il governicchio Conte 2, sostenuto dal terrore popolare, avrebbe potuto colpire i profitti da pandemia, se avesse voluto. Sopratutto avrebbe potuto ancora farlo se messo sotto pressione da un popolo impoverito e giustamente infuriato per lo spettacolo indecente dell’improvvisazione e dell’ipocrisia. Troppo pericoloso per l’Asse Atlantico, controllato dalla finanza e dal big tech, ammettere che la politica se vuole può. Crolla l’imperativo tatcheriano Tina (There is no alternative). Come in precedenti crisi del capitalismo, l’alternativa possibile, sviluppatasi nella retorica della guerra, può essere troppo pericolosa per le oligarchie al potere, quando l’emergenza si normalizza (è in uscita il libro di C. Mattei su questo fenomeno dopo la prima Guerra Mondiale).

La svolta cosiddetta keynesiana di Draghi (marzo 2020) altro non era che una garanzia data al capitale privato: “Whatever it takes”, sarà sempre il settore pubblico a sostenere la crisi del capitalismo. Profitti e rendite private mai saranno discusse. La politica non pretenda di evocare alternative sovversive dell’ordine naturale delle cose. Draghi temporaneamente a Palazzo Chigi in vista della salita al Colle. La Meloni all’Aspen Institute, prestigioso think tank in odor di Cia, in vista della necessità di gestire, probabilmente da Palazzo Chigi, il malcontento popolare. Come dopo il biennio rosso? (Fine. Le puntate precedenti sono state pubblicate qui il 16, il 22 e il 31 marzo 2021) ♦ © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Foto: sotto il titolo, 13 febbraio 2021 passaggio della campanella a Palazzo Chigi [credit Ettore Ferrari/Ansa/LaPresse]; in alto, giugno 2011 manifesto referendum per l’acqua pubblica; al centro, 4 marzo 2018 i Cinque Stelle sono il primo partito italiano; 30 luglio 2018 il presidente del Consiglio Conte alla Casa Bianca [credit Ansa/Filippo Attili]; in basso, la crisi economica imperversa

Dal 1997 insegna diritto civile all’Università di Torino, diritto internazionale e comparato all’Università della California. Avvocato cassazionista, è stato fra i redattori dei quesiti referendari sui beni comuni del giugno 2011 e per due volte ha patrocinato il referendum presso la Corte Costituzionale. Fra i titoli pubblicati, ricordiamo “Beni Comuni. Un Manifesto” (Laterza 2011) che ha raggiunto l’ottava edizione, “Il saccheggio”, con Laura Nader (Bruno Mondadori, 2010), “Contro riforme” (Einaudi, 2013), “Senza proprietà non c’è libertà. Falso!” (Laterza, 2014). È curatore generale della collana Common Core of European Private Law (Trento Project) alla Cambridge University Press, ed editore capo della rivista Global Jurist. Il suo volume sulla proprietà privata, pubblicato nel 2001 (seconda edizione Utet 2014), ha ricevuto il Premio Luigi Tartufari dell’Accademia Nazionale dei Lincei consegnatogli dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. È presidente di “Generazioni Future Rodotà”