L’Italia rischia di dover pagare 3 miliardi di euro di debiti in quota Arcelor Mittal dopo averla preferita alla cordata italiana costituita da Sajian Jindal, la Cassa Depositi e Prestiti, Giovanni Arvedi e Leonardo Del Vecchio, che l’avrebbero pagata di più. L’artefice del “capolavoro” fu Carlo Calenda, ministro del governo Renzi, che oggi si impanca a dare lezioni a destra e a manca. La verità l’aveva detta nel 2018 l’attuale ceo di Arcelor Mittal Lucia Morselli: Taranto sarebbe stata «una delle tante filiali di un impero che ha il suo centro altrove». E, difatti, l’ex manager della cordata Acciaitalia l’anno dopo si mise subito al servizio della multinazionale franco-indiana per eseguirne gli ordini e far deperire produttivamente ed economicamente lo stabilimento. Oggi chiede allo Stato che gliel’ha messa in mano di pagargli anche i debiti. Il 19 aprile prossimo è attesa la sentenza d’appello nel processo “Ambiente Svenduto”. In primo grado i 47 imputati sono stati condannati con pene fino ai 22 anni di reclusione


L’analisi di ROCCO TANCREDI

Ogni storia ha sempre un inizio e una fine. Anche quella dell’Italsider, poi Ilva, Nuova Ilva, Arcelor Mittal, Acciaieria d’Italia. È stata cambiata più volte l’insegna che campeggia sull’immobile della direzione sulla statale che porta a Bari. Probabilmente, ora siamo alla fine con i titoli di coda che chiudono una lunga telenovela iniziata nel 1965 e che dovrebbe terminare con il ritorno all’acciaio di Stato. La svolta decisiva parte con il sequestro degli impianti dello stabilimento di Taranto, deciso dalla magistratura con il processo Ambiente Svenduto, per i danni causati dall’Ilva di Taranto, cominciato nel 2016 e concluso il 31 maggio 2021. I 47 imputati (44 persone fisiche e 3 società) sono stati condannati con pene che vanno fino a 22 anni di reclusione. Il processo d’appello è stato fissato per il prossimo 19 aprile.

5 dicembre 2017. Il ministro Carlo Calenda a Taranto gestisce le procedure per cedere l’Ilva

Dopo lo scoppio dello scandalo il governo nomina (2013) una gestione commissariale. A gennaio 2016, viene pubblicato un bando per acquisire l’ex Ilva. Vi partecipano Arcelor Mittal (AM) e una cordata concorrente, Acciaitalia, costituita da Sajian Jindal, la Cassa Depositi e Prestiti, Giovanni Arvedi e Leonardo Del Vecchio. Nelle prime fasi dell’iter si profila la cessione in fitto ad AM. Acciaitalia chiede una fase di rilancio dell’offerta di un miliardo per due nuovi forni elettrici a preridotto e avviare un processo di decarbonizzazione. Quando la cordata italiana si rende conto che il suo piano industriale era migliore, per realizzarlo ritiene necessario aumentare l’offerta.

Secondo Lucia Morselli, Jindal piaceva ai sindacati perché avrebbe fatto di Ilva «il suo unico centro di sviluppo in Europa, non una delle tante filiali di un impero che ha il suo centro altrove». Il ministro Calenda nega il rilancio dell’offerta e, dopo un lungo e tortuoso iter normativo e giudiziario (compreso il commissariamento), a giugno 2017 aggiudica l’Ilva ad AM con la garanzia della clausola dello scudo penale. E così, a settembre 2018, l’ex Ilva passa sotto la gestione di AM (in fitto per cinque anni) che, dopo qualche mese, nomina amministratore delegato Lucia Morselli (ex Acciaitalia) al posto di Mathieu Jehl, ora Ceo di ArcelorMittal France (con sette stabilimenti).

Oggi ci si rende conto del flop per aver affidato l’ex Ilva alla multinazionale franco-indiana che, secondo il ministro Urso, finora non ha rispettato alcun impegno assunto, ma ha creato solo problemi di enorme difficoltà al governo, ai dipendenti e al territorio. Dare le chiavi a Mittal è stato un abbaglio poiché, oltre alle criticità rilevate dall’Anac sulla procedura della firma del contratto di acquisto, Calenda aveva pensato più al prezzo che a un piano ambientale e industriale. La stampa specializzata rilevò che, nella valutazione tecnica di comparazione dei rispettivi piani industriali e ambientali, quello di AM risultava incoerente su investimenti e volumi di produzione oltre che sull’occupazione. C’è anche da sottolineare che i vari governi non tennero conto della nazionalità degli acquirenti.

Lucia Morselli, ex ceo di Acciaitalia nel 2018, passa l’anno dopo ad Arcelor Mittal

Lucia Morselli da Ceo di Acciaitalia aveva capito tutto. In un’intervista (Affari&Finanza del giugno 2018), prima del suo arrivo (2019) in Ilva, profetizzò che Taranto, sacrificabile all’occasione, per AM sarebbe stata «una delle tante filiali di un impero che ha il suo centro altrove». Nel dicembre 2014 c’era stato un primo “avviso ai naviganti”. «Attenzione a Arcelor Mittal» disse nella sede del Palazzo di città a Taranto l’europarlamentare Edouard Martin. In un’intervista del 2018 a chi scrive, nella sede del Parlamento a Strasburgo, ribadì il concetto alla vigilia del passaggio agli indiani. «Non date le chiavi a Mittal», disse, senza un piano particolareggiato e calendarizzato di un comitato con i rappresentanti delle autonomie locali, della Regione, degli imprenditori e dei sindacati.

Oggi per conoscere la fine di questa tragicommedia si attende il risultato dello scontro aperto tra governo e AM, e c’è chi calcola che la gestione di AM a Taranto lascerà un buco di 3 miliardi e il ritorno dello stabilimento alla gestione statale. Le modalità di conduzione di AM, dovevano servire da esempio prima della firma del contratto di fitto. L’arroganza e la spocchia di Renzi e Calenda, l’indolenza di Gentiloni e l’inesperienza di Conte e Di Maio hanno creato, nel tempo, questo maledetto imbroglio, complicato e difficile da risolvere.

Mentre AM ha lesinato a Taranto interventi per ammodernare gli impianti, a Gand in Belgio ha inaugurato, a marzo 2021, il forno più moderno ed efficiente per produttività e emissioni di Co2. In Francia ha annunciato investimenti a Dunkerque per 1,8 milioni di euro con la partecipazione del governo che, si legge sulla stampa francese, dovrebbe investire 600 milioni. A Florange, in Francia, AM gestisce uno stabilimento con oltre 3000 dipendenti. Qui i rapporti con i sindacati erano abbastanza tesi tanto da far intervenire l’allora presidente della Repubblica, François Hollande, per trovare un’intesa con modalità e obblighi come richiesto dai sindacati. Direttive e impegni negati ai sindacati italiani che, col sostegno del governo, avrebbero dovuto insistere sulla tutela dei livelli occupazionali giacché si cedeva un ramo di azienda che prevede l’obbligo di trasferire tutti i dipendenti nella nuova azienda senza soluzione di continuità.

L’articolo di Rocco Tancredi su TarantoOggi: nel 2014 era tutto già chiaro

«A Dunkerque AM non spenderà mai 1,2 miliardi da solo. La Regione e l’Ue sborseranno qualche altro milione. Mittal ha sempre agito così: far pagare gli investimenti agli altri» ci dice Edouard Martin, dipendente per 32 anni di Mittal-Florange e relatore all’europarlamento (nella precedente legislatura) sulla situazione della siderurgia europea. Infine in Algeria AM aveva preso in fitto un impianto siderurgico. Quando scopre che deve rifare due altoforni e impegnare 600 milioni di euro chiede il 50% dell’investimento al governo altrimenti abbandona. Gli algerini rispondono subito con un “merci bien” e lo lasciano andare.

Da economica, sanitaria, sindacale, la travagliata vicenda dell’Ilva di Taranto ormai è anche tutta politica. L’ultima polemica è tra Carlo Calenda che accusa l’ex governo Conte di aver firmato patti parasociali che hanno portato l’Ilva in una situazione tale per cui adesso è lo Stato che dovrebbe dare soldi a Mittal per la buonuscita (si parla di 3 miliardi). I pentastellati accusano l’ex ministro di Renzi di essere stato come Totò quando vendeva la Fontana di Trevi. Fu lui a privilegiare l’offerta di AM, e lo rimproverano di aver favorito un società estera penalizzando una cordata italiana che dava più garanzie. Sta di fatto che AM a Taranto ha rallentato le attività di produzione e manutenzione in un momento di richieste di acciaio, provocando notevoli ripercussioni economiche e sociali sulla forza lavorativa con migliaia di lavoratori in cassa integrazione. Il nostro governo era informato delle gestioni delle fabbriche di Mittal?

Ritorno al passato con la storia dell’Ilva. Nel 1995 era finita l’epoca dell’acciaio di Stato. Dopo un trentennio si torna indietro con la fine angosciosa di un’esperienza inammissibile di AM che ha lavorato ai minimi storici con nefaste conseguenze sulla tenuta occupazionale con cassa integrazione a gogò. In tutta questa odissea non abbiamo volutamente trattato della questione ambientale cioè di uno dei più gravi disastri sanitari e ambientali della storia italiana ed europea in attesa delle decisioni della Corte d’Appello del prossimo 19 aprile. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Ha lavorato a Montpellier e Grenoble come lettore di italiano, insegnando nei licei e nell’Università di Bari (sede di Taranto). Nel 1971 entra al “Corriere del Giorno” di Taranto. Dal 1974 al 1993 ha lavorato per l’Avanti! E ha scritto per “Prima Comunicazione”, Il Sole 24 Ore. Negli anni Novanta è tornato al Corriere del Giorno. Nelle Tv regionali è stato vicedirettore di Videolevante, direttore di Studio100 Tv. Per BlustarTv ha condotto 24 puntate del settimanale “Vivere l’Europa” (sono tutte su YouTube) coprendo numerose sedute del Parlamento Europeo. Per la carta stampata è stato direttore al quotidiano “Taranto Sera” (2005-2007), editorialista del quotidiano “Taranto Oggi”. Ha pubblicato, autore e coautore, “I Mezzogiorni d’Europa” (Lacaita, 1972); con Ruggero Orlando “L’Europa di fronte al dialogo tra Usa e comunismo” (Punto Zero, 1974), “La couture, le costume, la Mode, Paris” (Scorpione 1992 e 2000); “Il porto di Taranto tra vecchie e nuove sfide” (Scorpione, 2004), una dispensa universitaria “Le long chemin de l’Ue” (distribuzione gratuita, 2007) e “Napoleone giornalista, lungimirante ma interessato” (Lupetti editore, 2013).