In questi giorni si consuma l’ennesima tappa del dramma occupazionale e produttivo dell’acciaieria più grande d’Europa con l’apertura di una nuova procedura di amministrazione straordinaria. Un infinito ripetersi della storia, senza la dovuta presa d’atto che l’economia prodotta dal siderurgico resta fuori dai normali canoni della sostenibilità. Lo conferma il ricorso allo “scudo penale” da parte dell’attuale governo che rende evidente l’amara verità dei murales diffusi in tutta la città: “Ilva is killer”. Negli stessi giorni, l’attore e regista tarantino presenta nelle scuole della città dei Due Mari il suo film premiato al Festival del Cinema di Roma. Descrive il reparto-confino cui erano destinati operai ed impiegati sottoposti a un mobbing criminale per essersi opposti al padrone delle ferriere che inquina ed uccide generando il disastro ambientale più grande della Repubblica italiana


◆ L’articolo di ANNALISA ADAMO AYMONE, da Taranto

Il “caso Laf” (acronimo di Laminatoio a freddo) esplose nel febbraio del 1998 quando i sindacati di categoria dei metalmeccanici denunciarono per primi il trasferimento di decine di lavoratori dell’Ilva nella cosiddetta palazzina-lager. I responsabili nazionali del Lavoro del Pds e di Rifondazione comunista chiesero subito l’apertura di una commissione d’inchiesta sulla creazione del reparto di confino. L’ex Laminatoio a freddo, ormai in disuso, veniva di fatto utilizzato dai vertici della grande industria per ospitare tutti quelli che si rifiutavano di abbandonare la propria attività sindacale e quelli che, respingendo la novazione del contratto, si opponevano al declassamento da impiegato di alto livello professionale ad operaio. 

Dopo aver ricevuto il premio del festival del Cinema di Roma il film “Palazzina Laf” di Michele Riondino arriva in visione nelle sale italiane portando sul grande schermo uno dei fatti più gravi avvenuti nell’industria dell’acciaio di Taranto. E pensare che quando il complesso industriale si insediò persino il grande scrittore Dino Buzzati venne a visitarlo e partecipò all’entusiasmo generale di vedere tanti uomini entrare nel sistema industriale lasciando definitivamente la vergogna e la rassegnazione, che aveva contraddistinto tante generazioni del Sud Italia, di non appartenere ai processi produttivi del Paese. Ma alla libertà dalla fame e alla tanto agognata entrata nella modernità si sostituì nel giro di un paio di lustri l’inizio del declino, giunto nel buio più cupo con il disastro ambientale più grande della Repubblica italiana. 

Le immagini che illustrano la pagina sono foto di scena del film di Michele Riondino (credit Maurizio Greco)

Di ciò che era la Palazzina Laf ha voluto parlare anche da regista uno degli attori più bravi e famosi del momento, mettendosi così ancora una volta al servizio della propria terra. Nei giorni più caldi che la trattativa tra Stato-Mittal abbia mai registrato sul siderurgico di Taranto, Michele Riondino porta in giro il suo film e lo accompagna nelle proiezioni organizzate per le scuole ed i licei di Taranto con la sua viva presenza e le sue parole più sentite. «La Laf era diventato un vero manicomio — dice senza esitazioni —, lo strumento che il padrone utilizzava per piegare la schiena a chi aveva osato opporsi alle sue inumane determinazioni». E mentre “Palazzina Laf” attraversa le sale cinematografiche di tutto il Paese puntando sì l’obbiettivo sul particolare, cioè sul mobbing criminale attuato nella fabbrica, inevitabilmente apre lo sguardo di ogni spettatore alla riflessione sull’attualità. Di queste ore è infatti l’annunciata apertura della procedura di amministrazione straordinaria dell’acciaieria a conferma dell’infinito ripetersi della storia, senza la dovuta presa d’atto che l’economia prodotta dal siderurgico resta fuori dai normali canoni della sostenibilità e che il ricorso da parte dell’attuale governo allo “scudo penale” evidenzia l’amara verità dei murales diffusi in tutta la città dei due mari: “Ilva is killer”. 

Michele Riondino dietro la macchina da presa; nel riquadro, la locandina del film

Al suo pubblico, fatto in larga parte di giovanissimi, Riondino ricorda «che siamo noi a premiare oppure a bocciare le scelte dei governi con il nostro voto, e siamo noi a scegliere chi ci deve rappresentare». Parla di sé, dei suoi familiari legati all’Ilva, della sua voglia di scappar via da Taranto, dell’amarezza di aver visto negli anni il tessuto sociale spaccarsi e scivolare troppo spesso in tristi contraddizioni e nella galera di un destino inesorabilmente scritto da altri. “Palazzina Laf” è stato definito da più parti un’opera “necessaria”, a cui hanno voluto dare il loro pregevole contributo il bravissimo Elio Germano e Diodato autore di “La mia Terra”, toccante finale sonoro al film. La disperazione, il senso di prigionia e l’abbrutimento che giustifica l’ingiustificabile, diventati ad un certo punto antropologia pura nella terra dell’acciaio, vengono rappresentate da Riondino con rigore non solo artistico ma anche documentale. Prende, infatti, a piene mani dalle cronache giudiziarie e dall’omonimo libro del Centro Studi Calamandrei — da poco rieditato in forma integrata — contenente l’inquietante storia di Claudio Virtù e degli altri compagni di lavoro che nella Palazzina-lager finirono davvero. 

In simili condizioni quale può essere la differenza tra un kapò di un campo di concentramento ed un capo turno di lavoro? Quale differenza tra le patate calde date ai delatori dei campi di concentramento per ottenere la loro piena collaborazione ed il privilegio di usare una vecchissima auto aziendale per consegnare i compagni di lavoro (e pure sé stessi) al padrone che inquina e uccide? Se Primo Levi fosse ancora qui si chiamerebbe molto probabilmente Claudio Virtù o Michele Riondino. E non solo, visto che una delle più grandi vergogne italiane — ancora irrisolte — ha prodotto già tanta letteratura artistica, giornalistica, politica e giudiziaria che sicuramente non si potrà mai più dire che non si sapeva. © RIPRODUZIONE RISERVATA

È stata avvocato, formatrice e docente, ricoprendo numerosi incarichi pubblici. Da capo degli Affari generali e legali del Comune di Taranto ha promosso la prima causa risarcitoria contro i patrons di Ilva, responsabili del più grande disastro ambientale della Repubblica italiana. In seguito al giudizio è stato disposto un risarcimento di 12 milioni di euro in favore della città. È stata assessore all’Ambiente, alla legalità e alla qualità della vita del Comune di Taranto. Insieme ad una rete di associazioni, comitati e fondazioni svolge un’intensa attività di sensibilizzazione su temi inerenti diritti, ecologia, ambiente e tutele del patrimonio naturale e culturale. Ha creato #AnteLitteram rassegna di incontri con esponenti della società civile avviando un vero e proprio movimento culturale. Collabora con il Centro Ricerca Arte Contemporanea Puglia, altre istituzioni ed enti per valorizzare il ruolo che l’arte e la cultura hanno per la costruzione del valore della cittadinanza e della democrazia. Ha ricevuto il premio Tarenti Cives Delfini d’argento 2022. È stata chiamata a curare la sezione sul Mediterraneo dell’edizione 2022 del Festival del cinema promosso da Apulia Film Commission.