La banalizzazione mediatica — contadini contro ambientalisti — intorbidisce volutamente le acque del confronto politico

Al netto delle orchestrazioni dell’estrema destra europea, distinguiamo tra le buone ragioni e le cattive intenzioni di chi muove oggi i propri mezzi meccanici sulle strade anziché nei campi. L’80% dei fondi della Pac va al 20% degli imprenditori agricoli, premiando l’agricoltura intensiva «che impoverisce la terra senza arricchire chi la coltiva». Ad agitare i trattori non sono tutti allevatori e contadini virtuosi lasciati soli e senza futuro. La sola zootecnia industriale è colpevole del 30% delle emissioni di metano dell’Ue (il Pil complessivo del settore agricolo europeo è dell’1,3%). I negazionisti climatici sono partiti all’attacco del Green Deal europeo e la destra punta a saldarsi alla proposta identitaria “dio, patria e famiglia”. La sinistra dovrebbe ben sapere, viceversa, che ambiente e buona agricoltura contrastano le disuguaglianze sociali crescenti, unendo «le preoccupazioni per la fine del mese con quelle della fine del mondo». Oggi può farlo nel nome dell’europeismo di Altiero Spinelli


Questo editoriale apre il numero 42 del nostro magazine scaricabile dal sito e distribuito nelle edicole digitali dal 10 febbraio 2024

◆ L’editoriale di IGOR STAGLIANÒ

La linea di faglia che dividerà i campi opposti delle elezioni europee è tracciata. Da una parte i negazionisti climatici (più o meno autentici), dall’altra le vittime designate del riscaldamento globale (più o meno consapevoli). Il solco lo stanno scavando i trattori, su strade e autostrade. La mobilitazione indica che i confini dei rispettivi campi sono molto frastagliati e gli equivoci della banalizzazione mediatica — contadini contro ambientalisti — intorbidiscono volutamente le acque del confronto politico. In piazza, è utile ricordarlo, ci sono anche i trattori che l’inverno scorso macinavano polvere per la siccità nei campi della pianura padana. Per poi svegliarsi, in primavera inoltrata, con le alluvioni devastanti verso il delta del più grande fiume d’Italia. Sono loro le vittime primarie del riscaldamento globale contro il quale l’Europa — che loro attaccano — sta mobilitando risorse ingenti. 

L’80% dei fondi della Pac va al 20% degli imprenditori agricoli, premiando l’agricoltura intensiva

Al netto delle orchestrazioni dell’estrema destra europea, saggezza politica impone quindi discernimento: tra le buone ragioni e le cattive intenzioni di chi muove oggi i propri mezzi meccanici sulle strade anziché nei campi. E qui cominciano i dolori. Quando la fetta di torta dei fondi pubblici non è abbastanza grande per le proprie mascelle, parte la lagna sull’Europa matrigna. È quel che avviene anche stavolta. Eppure i numeri parlano chiaro. L’80% dei fondi della Pac (Politica agricola comune) va al 20% degli imprenditori agricoli, premiando l’agricoltura intensiva «che impoverisce la terra senza arricchire chi la coltiva» (Serena Milano, direttrice Slow Food Italia). Un settore dominato da una manciata di gruppi finanziari e multinazionali che controlla gran parte della produzione alimentare industrializzata: dai semi ai fertilizzanti di sintesi, dalla genetica delle razze animali alla trasformazione delle materie prime, dai fitofarmaci alla distribuzione. Risultato: un divario fino a dieci-quindici volte tra il prezzo dei prodotti pagato ad agricoltori e allevatori e quello che paga il consumatore.

In altri termini, ad agitare i trattori non sono tutti allevatori e contadini virtuosi lasciati soli e senza futuro. La sola zootecnia industriale a posta fissa è colpevole del 30% delle emissioni di metano dell’Ue (il Pil complessivo del settore agricolo europeo è dell’1,3%). In Italia ad essere abbandonato a se stesso da tutti i governi è, invece, quel 70% di aree agricole collinari. Lo stesso territorio che presenta il conto ad ogni evento climatico estremo. Ed ecco il primo discernimento necessario. Nella Pac degli ultimi anni ci sono, ad esempio, molte misure a favore della conversione agricola in senso sostenibile, come la “Carbon farming”. Di aiuti europei per le aziende piccole o marginali in territori sfavoriti ce ne sono diversi, se si adotta l’agricoltura organica, abbandonando le concimazioni chimiche a favore degli ammendanti organici e facendosi remunerare per l’anidride carbonica sequestrata nei suoli coltivati con l’agricoltura rigenerativa. Un’ottica opposta ai sostegni indiscriminati in base ai quintali o agli ettari (prodotti o coltivati), con cui si drogano da decenni i campi europei, buttando al macero un terzo del prodotto agricolo finale.

La protesta dei trattori a Berlino con l’appoggio diretto dell’estrema destra tedesca dell’Afd

Mettere sotto accusa il Green Deal europeo — come fanno i “trattoristi” più gettonati dal mainstream — è puro suicidio economico, oltre che ambientale. Prima della guerra in Ucraina (seconda linea di frattura politica), l’Unione Europea aveva assunto la leadership mondiale dell’innovazione nei processi di transizione ecologica, per togliere il piede dall’acceleratore che ci spinge verso il burrone climatico (come ammonisce, inascoltato quanto Papa Francesco, il segretario generale dell’Onu António Guterres). Dopo due anni di guerra disastrosa, l’Ue ora sta seppellendo sotto una montagna di armamenti la transizione ecologica. Che a farlo sia Ursula von der Leyen (la stessa leader che lanciò il Green Deal europeo quattro anni fa) dà molto da pensare su una svolta che non prefigura, oltretutto, neanche la costruzione di una Difesa comune europea che pure avrebbe una sua ragion d’essere. Un solo dato per rendersene conto. A metà gennaio la proposta della Commissione di aumentare di 1,5 miliardi il Fondo per la Difesa è accolta; gli altri 8,5 miliardi per il sostegno alla transizione green depennati. A cui fa il paio il silenzio sconcertante dell’Unione Europea sulla violazione dei diritti umani nel caso di Ilaria Salis, pur di incassare il sì dell’Ungheria di Victor Orbán all’invio di altri 50 miliardi di euro in armi a Zelensky per difendersi dall’aggressione di Putin.

Se le proteste del mondo agricolo allargano una delle due faglie principali di divisione sull’Europa che uscirà dalle urne di giugno, dalla variegata e sfrangiata sinistra italiana emergono solo balbettii inconsistenti. Il disagio di agricoltori e contadini è indirizzato, ad arte, dalla destra europea sul bersaglio sbagliato: la transizione ecologica e le sacrosante misure a tutela dell’ambiente e del futuro di un’agricoltura che ripristini la fertilità dei suoli, allevi e coltivi con rispetto animali e suolo. Tuteli, in una parola sola, la biodiversità, l’unica che ci consente di adattarci agli effetti più devastanti della crisi climatica. Con la complicità dell’informazione mainstream “suicidaria” che alimenta dibattiti inconsistenti sulla candidatura di Elly Schlein, a sinistra si continua a perdere tempo. Nella “battaglia dei trattori”, a destra il negazionismo climatico punta a saldarsi alla proposta identitaria “dio, patria e famiglia”. Il campo avverso dovrebbe ben sapere, viceversa, che ambiente e buona agricoltura contrastano le disuguaglianze sociali crescenti. 

La filosofa Giorgia Serughetti in questi giorni il compito della sinistra l’ha sintetizzato così: «unire le preoccupazioni per la fine del mese con quelle della fine del mondo». Quando gridano “giustizia climatica” i ragazzi di Friday For Future o di Ultima Generazione ci dicono che loro l’hanno capito, i rappresentanti politici di sinistra no, non abbastanza. Eppure, un politico visionario come Alex Langer alla sinistra del futuro l’aveva già detta tutta: «la transizione ecologica sarà prima di tutto sociale o non sarà». Quarant’anni dopo siamo ancora là. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Sfoglia qui il magazine n. 42 (febbraio 2024), fascicolo speciale “Massimo Scalia, il buon Maestro”

Direttore - Da inviato speciale della Rai, ha lavorato per la redazione Speciali del Tg1 (Tv7 e Speciale Tg1) dal 2014 al 2020, per la trasmissione “Ambiente Italia” e il telegiornale scientifico "Leonardo" dal 1993 al 2016. Ha realizzato più di mille inchieste e reportage per tutte le testate giornalistiche del servizio pubblico radiotelevisivo, e ha firmato nove documentari trasmessi su Rai 1, l'ultimo "La spirale del clima" sulla crisi climatica e la pandemia.