Nella seconda metà degli anni Ottanta eravamo riusciti a darci una buona legge sulle Autorità di Bacino riprendendo saggiamente il modello della Authority del Tamigi che, al tempo della Thatcher (pensate), aveva saputo riunire in un solo organismo di vigilanza e di depurazione decine e decine di enti riuscendo a liberare il grande fiume dall’inquinamento. In quest’ottica, l’Italia era stata suddivisa in alcune grandi Autorità di Bacino: per il Po dal Monviso al Delta adriatico, per l’Adige, per l’Arno e per il Tevere che gli antichi chiamavano “fiume scatenato” per la violenza delle sue piene. Lo studio dell’Autorità del Tevere per governare con saggezza le acque tumultuose del fiume fino all’Isola Tiberina fu subito contraddetto dalle scelte urbanistiche del Comune di Monterotondo che autorizzò la costruzione abusiva sull’area alluvionale
L’articolo di VITTORIO EMILIANI

ORMAI NON PASSA GIORNO senza che la cronaca non ci porti drammatici episodi di alluvioni e dissesti con morti e dispersi nonostante l’eroico intervento dei Vigili del Fuoco impoveriti anziché potenziati nei ruoli e nei mezzi. Il nostro Belpaese, un tempo tanto ammirato dai grandi viaggiatori stranieri, sembra sempre assimilabile allo “sfasciume pendulo” sul mare denunciato da un grande studioso come Giustino Fortunato. Eppure nella seconda metà degli anni Ottanta eravamo riusciti a darci una buona legge sulle Autorità di Bacino riprendendo saggiamente il modello della Authority del Tamigi che, al tempo della Thatcher (pensate), aveva saputo riunire in un solo organismo di vigilanza e di depurazione decine e decine di enti riuscendo a liberare il grande fiume dall’inquinamento. Al punto che si erano rivisti i salmoni guizzare in quelle acque sotto Londra.
In quest’ottica, l’Italia era stata suddivisa in alcune grandi Autorità di Bacino: per il Po dal Monviso al Delta adriatico, per l’Adige, per l’Arno e per il Tevere che gli antichi chiamavano “fiume scatenato” per la violenza delle sue piene. Aggiungendovi il Volturno per non tralasciare il Sud. Quella buona, ottima legge fu subito tradita nei fatti dal Comune di Monterotondo che autorizzò la costruzione abusiva sull’area alluvionale del Tevere. Lo studio dell’Autorità di Bacino era già contraddetto dal basso e lo sarebbe stato sempre più, sino a relegare il bel lavoro allo stadio di una esercitazione culturale senza impatto positivo in quella realtà sempre più degradata col fiume della Capitale.

Il Tevere, che sorge alle falde del Fumaiolo (ma Mussolini l’aveva fatto nascere in Romagna), è stato per secoli e secoli un fiume quanto mai difficile, ricco di sassose “rapide” che gli Etruschi avevano regimato e i Romani utilizzavano soprattutto per il trasferimento dei tronchi d’albero sino alla Capitale, sfruttando la corrente. Un grande fiume non navigabile se non dopo il passaggio a Roma sino alla foce, e da quest’ultima al porto di Ripagrande dove sorgeva l’Arsenale pontificio, dopo la rapida decisamente rischiosa dell’Isola Tiberina.
Il traffico commerciale sul Tevere è stato piuttosto intenso coi porti di Ripagrande, sotto la mole imponente del San Michele, e di Ripetta per barche minori prossimo al centro storico. Fino a che l’avvento della ferrovia non ha rapidamente soppiantato il lento trasporto tiberino che, per la risalita dalla foce, utilizzava come forza motrice i bufali. La rapida tumultuosa all’altezza dell’Isola Tiberina impediva qualsiasi navigazione in entrambi i sensi. Soltanto col regime mussoliniano si crearono con grandi lavori alla Magliana le condizioni per un Idroscalo dove gli idrovolanti potessero ammarare (o affluviare?). E cosi avvenne per l’impulso personale del dittatore pilota appassionato tanto da costringere l’intera famiglia, persino il goffo fratello Arnaldo, a vestire la tuta da pilota. Detto tra parentesi, Mussolini non digerì mai la popolarità di Italo Balbo per la trasvolata atlantica del gerarca di Ferrara, non a caso confinato in Libia da dove evadeva volando a Roma anche soltanto per un aperitivo in via Veneto. Balbo morì con l’amico Nello Quilici padre di Folco in un incidente, abbattuto — secondo una versione peraltro mai provata — di “fuoco amico”.
Anche di queste storie, tra un’esondazione e un’alluvione, s’è persa traccia. E le Autorità di Bacino che avrebbero potuto custodirle e valorizzarne la memoria nel governo delle acque, annegano invece quasi sempre, e quasi dappertutto, in una routine burocratica senz’anima. © RIPRODUZIONE RISERVATA