Il superyacht Bayesian colato a picco nelle acque siciliane, con i suoi sette morti e i suoi molti misteri, o presunti tali, ha tenuto banco a lungo sui nostri giornali. Sciorinando una ridda di ipotesi quanto meno inverosimili, come l’albero spezzato dalla furia del vento, la chiglia mobile alzata o abbassata, le congettura sul mancato ormeggio nell’area portuale di Porticello. E via di seguito, fino alle teorie complottiste connesse alla figura del proprietario dello yacht, il chiacchierato magnate inglese Mike Lynch. La consultazione dello “Stability Book”, il manuale d’uso di ogni barca a vela, avrebbe evitato tanti strafalcioni. Ma perché perdere tempo ad approfondire? Meglio cercare il “colore” intervistando il primo che passa davanti ai propri taccuini. L’analisi del “caso” fatta da un giornalista con trentacinque anni di vela alle spalle e quarant’anni di esperienza professionale
◆ L’analisi di BATTISTA GARDONCINI *
► Giornalisti con l’elmetto, redattori analfabeti, commentatori tuttologi, propagandisti al soldo del miglior offerente. Il giornalismo italiano, con qualche sparuta eccezione, è in uno stato comatoso, testimoniato dal calo vertiginoso delle vendite dei principali quotidiani, non compensato dai magri ricavi dell’online. Oggi chi fa l’editore in Italia lo fa per scopi diversi da quelli imprenditoriali, e non sempre confessabili. Chiunque abbia letto le fantasiose cronache dei nostri grandi quotidiani sul conflitto in Ucraina, e si sia preso la briga di confrontarle con quelle ben più rigorose dei grandi giornali americani, non può non rendersene conto.
Ma, come si usa dire in questi casi, l’Ucraina è un argomento “divisivo”, che eccita le opposte tifoserie e troppo spesso si risolve in una sterile rissa da cortile tra “putiniani” e “atlantisti”. Qui voglio invece parlare di una vicenda che questa estate ha tenuto a lungo banco sui nostri giornali: il naufragio del superyacht Bayesian nelle acque siciliane, con i suoi sette morti e i suoi molti misteri, o presunti tali. Dico subito che a differenza di tanti sedicenti esperti non ho la pretesa di dire l’ultima parola sulle cause del naufragio, anche se dopo trentacinque anni di vela una qualche idea sull’accaduto me la sono fatta, e ne parlerò più avanti. Ciò che più mi interessa, perché particolarmente significativo dell’infimo livello del nostro giornalismo, è il modo in cui il naufragio è stato raccontato.
Partiamo dal Bayesian, una nave da diporto a vela lunga 56 metri, costruita dal cantiere Perini nel 2008 e armata a sloop, cioè con un solo albero alto 75 metri. Aveva anche un motore che è difficile definire ausiliario, due diesel di quasi diciottomila centimetri cubi di cilindrata. Ai ricchi armatori piace viaggiare comodi. Andare a vela può essere divertente per qualche ora, però cessa di esserlo quando arriva il momento dei cocktail o si ha fretta di andare in porto a divertirsi.
Poche ore dopo il naufragio tutti i giornalisti hanno scritto che il Bayesian era affondato perché la furia del vento aveva provocato la caduta dell’albero, salvo smentire tutto quando si è scoperto che l’albero era ancora al suo posto sul fondale di cinquanta metri dove è adagiato il relitto. Non potevano saperlo prima che qualcuno si immergesse per controllare, direte voi. Ma è possibile che a nessuno di loro sia venuto in mente di chiedersi che cosa succede quando una barca disalbera? Ve lo dico io. L’incidente è ovviamente grave per i danni alla coperta provocati dalla caduta, e per quelli che i rottami dell’albero potrebbero causare se il sartiame li trattenesse pericolosamente vicini allo scafo. È per questo motivo che è buona norma avere sempre a bordo cesoie in grado di tranciare anche le più robusti sartie di acciaio. In ogni caso, un disalberamento, da solo, non può ribaltare un barca a vela per il banale motivo che riduce le superfici esposte al vento e quindi semmai ne aumenta la stabilità.
Anche sul problema della stabilità, peraltro, se ne sono sentite delle belle. Quando hanno scoperto che il Bayesian aveva una chiglia mobile i nostri giornali hanno ipotizzato che il ribaltamento fosse avvenuto perché l’equipaggio si era dimenticato di abbassarla. Peccato che la sua chiglia mobile non avesse quasi nulla a che fare con la stabilità, perfettamente assicurata dalla forma dello scafo e dalla zavorra distribuita sul fondo. È stato necessaria una precisazione di Stephen Edwards, comandante del Bayesian tra il 2015 e il 2020, per far notare che quella deriva mobile serviva soltanto durante la navigazione a vela, per spostare più in basso il baricentro della nave e contrastare la spinta del vento sulle vele. Non aveva senso tenerla abbassata durante i trasferimenti a motore, e meno che mai all’ormeggio.
Infinite anche le sciocchezze sulla questione dell’ormeggio. Il disastro è avvenuto poche centinaia di metri al largo di Porticello, un caratteristico borgo di pescatori a sud di Capo Zafferano. Porticello, come suggerisce il nome, è un porto. Quindi qualche giornalista si è subito domandato perché il comandante del Bayesian, con il maltempo in arrivo, non ci fosse entrato. Eppure sarebbe bastato poco, molto poco, per informarsi. Una imbarcazione di 56 metri, con un pescaggio minimo di quattro metri, in quel porto semplicemente non ci stava. Di qui la scelta di dare ancora su un fondale di una ventina di metri, in una baia dove c’erano anche altre imbarcazioni. Le previsioni annunciavano l’arrivo del maltempo, ma non erano catastrofiche. È se è vero che quella sera nessuno dei pescatori locali era uscito in mare, è anche vero che un conto è un piccolo gozzo, e un conto una nave come la Bayesian, teoricamente in grado di affrontare condizioni molto difficili. Tuttavia qualcosa è successo, il maltempo è arrivato con violenza imprevista, l’ancora del Bayesian ha arato sul fondo e la nave, come si evince dal tracciato del sistema AIS, ha scarrocciato verso il largo, si è capovolta ed è affondata in pochissimi minuti. Sette persone hanno perso la vita.
Del naufragio si è parlato in tutto il mondo per la notorietà di una delle vittime, il chiacchierato magnate inglese Mike Lynch, che era a bordo con la figlia, morta con lui, e con la moglie che invece si è salvata. Tra le vittime c’erano anche i suoi legali, che gli avevano consentito di uscire indenne da un processo per una truffa miliardaria. Tanto è bastato ai complottisti per scatenarsi sui social ipotizzando un sabotaggio. Molte testate a corto di notizie si sono gettate a pesce sull’argomento nonostante la sua palese inconsistenza. Riuscite a immaginare un subacqueo alla James Bond che approfitta di una notte di tempesta per avvicinarsi al Bayesian e piazzare una bomba, magari facendo in modo che l’esplosione avvenga in concomitanza con un tuono per nasconderne il rumore? Comunque, se non ci riuscite, non preoccupatevi. Ad aggiungere un po’ di mistero alla faccenda hanno pensato questa settimana alcuni grandi giornali, ipotizzando che altri subacquei potrebbero cercare di mettere le mani sui documenti riservati contenuti nelle casseforti della nave affondata. Perché? Ma è ovvio, perché i russi e i cinesi sarebbero molto interessati ai segreti di Lynch. Niente paura, però. La nostra marina militare sta vigilando sull’intera zona.
Tornando alle cose serie, resta il fatto che le cause del disastro per il momento non sono state chiarite, e che per avere qualche certezza bisognerà attendere il recupero del relitto. Qualche giorno dopo il naufragio, il comandante Stephen Edwards ha citato alcuni dati tecnici interessanti riportati nello Stability Book del Bayesan, il manuale d’uso che tutti gli skipper di una barca a vela, piccola o grande che sia, sono tenuti a conoscere. Non è certo un caso che i nostri giornalisti, così attenti a cercare il “colore” intervistando il primo che passa davanti ai loro taccuini, se ne siano accorti con molto ritardo. Perché perdere tempo per approfondire, se è così comodo intervistare la titolare di un cantiere di Porticello che si è detta sicura di avere visto sbattere al vento le vele della nave ormeggiata. Nel cuore della notte.
Secondo il manuale, a deriva abbassata il Bayesian era perfettamente in grado di raddrizzarsi da una inclinazione di 90°, mentre con la deriva alzata questo angolo si riduceva a 75°. Può sembrare un punto importante, ma in realtà non è così significativo, perché per le persone a bordo non ci sarebbero differenze sostanziali, a meno che nello scafo non entri in pochissimo tempo una enorme quantità d’acqua, come deve essere accaduto quella sera. E qui sempre Edwards ha introdotto il concetto del “downflooding“, e cioè dell’angolo di sbandamento oltre il quale aumenta drasticamente la possibilità che lo scafo si allaghi se qualche grande portellone non è stato chiuso. Questo angolo si aggira tra i 40° e i 45°, e naturalmente tutti i giornalisti si sono affrettati a sottolineare che era inferiore agli angoli di inclinazione, adombrando la possibilità di un difetto di progettazione. In realtà quasi tutte le barche a vela hanno un angolo di downflooding simile, ed è per questo motivo che nessuno skipper navigherebbe mai con gli oblò e i passauomo aperti in un mare agitato.
In conclusione, poche e semplici domande. Le eleganti vetrate panoramiche del Bayesian erano aperte o chiuse? Quante altre aperture di grandi dimensioni c’erano a bordo? Siamo sicuri che l’equipaggio, cullato dalla illusoria sicurezza data da una nave tecnologicamente all’avanguardia e forse distratto da festeggiamenti andati avanti fino a tardissima ora, abbia fatto i necessari controlli? In che condizioni erano il portellone dello scafo che consentiva di mettere in acqua il tender e le porte stagne che proteggevano il vano motori? Edwards ha detto che soltanto un pazzo avrebbe lasciato aperto quei portelloni in una notte di maltempo, ma gli errori umani sono sempre possibili. Certo non ha aiutato a chiarire i dubbi la curiosa decisione dei magistrati inquirenti siciliani di non sottoporre all’etilometro e ai test antidroga lo skipper e i marinai scampati al naufragio, “perché erano tutti sotto shock”. Anche se nessun giornale lo ha fatto notare, si tratta di una procedura normale perfino nel caso di un modesto incidente stradale. © RIPRODUZIONE RISERVATA
(*) L’autore dirige oltreilponte.org