Nel suo nuovo viaggio in Israele il segretario di Stato americano ha scandito con molta nettezza le stesse richieste di Biden per un “cessate il fuoco” umanitario. Il rifiuto categorico del premier israeliano è sconcertante e si alimenta dell’avere lasciato mano libera ai pasdaran dell’estrema destra religiosa israeliana. La sua sordità agli appelli anche del maggiore protettore di Israele segna il punto di svolta delle simpatie nei confronti del suo Paese, barbaramente aggredito, che diventa l’aggressore che viola quei principi generali. Un isolamento politico che farebbe pericolosissimamente da péndant all’essere uno Stato circondato da avversari o nemici dichiarati. Intellettuali, politici, cittadini comuni insorgano − in Israele, da noi, in tutto il mondo − contro il governo Netanyahu


◆ L’editoriale di MASSIMO SCALIA

Avevo sperato in un “Usa e Ue uniti nella lotta” per affrontare la drammatica questione esplosa nel Vicino Oriente dopo i barbari massacri di Hamas, e non è passato davvero molto tempo perché quella speranza si trasformasse in cenere. Erano però rimasti gli Usa e, checché se ne pensi e senza dover ogni volta compitare tutte le aggressioni di cui sono stati storicamente protagonisti, Biden aveva posto varie volte con risolutezza, e anche di persona nel suo incontro con il premier israeliano, il problema di una moderazione nella risposta israeliana mettendo anche in campo un “cessate il fuoco” umanitario. Peraltro, ripetendo non casualmente, lui cattolico osservante, un’esortazione che il Papa ha avanzato più volte. Di più, di fronte al crescere delle vittime civili a Gaza e alla condizione disumana cui sono sottoposti lì i Palestinesi, ha mandato Blinken a Tel Aviv. Il segretario di Stato ha scandito con molta nettezza le stesse richieste, ottenendo con altrettanta nettezza un clamoroso picche da Netanyahu anche nella versione più tenue di “pausa umanitaria”. Altra materia incendiaria per l’antisemitismo che non aspetta altro per ripresentare il suo ributtante volto in varie città europee, Roma inclusa. 

Difficile pensare che il prete in capo agli Sciiti di Hezbollah non faccia seguire ai suoi borbottii minacciosi il temuto ampliamento del conflitto, che, nella logica aberrante delle guerre, richiamerebbe molti Paesi arabi a fiancheggiare altri “incendi”, a partire da quelli nei territori occupati illegalmente dai coloni ebraici nella West Bank. 

Il sottosegretario di Stato americano Blinken e il primo ministro israeliano Netanyahu venerdì 3 novembre a Tel Aviv; sotto il titolo, la distruzione di Gaza e, più in basso, le vittime della carneficina di Hamas nei kibbutz a sud di Israele

Il rifiuto categorico di Netanyahu si alimenta della sua debolezza politica, figlia dell’avere lasciato mano libera ai pasdaran dell’estrema destra religiosa israeliana. Li ho bene in mente con i loro filatteri, le loro tube che si recavano a pregare e inserire bigliettini là, al Muro del Pianto sotto la Spianata delle Moschee. Mi suscitavano la stessa simpatia, però dal vivo, dei miliziani palestinesi che vedevo in Tv accompagnare a Gaza i funerali di ogni morto brandendo kalashnikov di rabbia impotente. Ed è inevitabile ripetere come dietro alla tragedia in atto ci sia quel dogma esclusivo dell’unico dio, che accomuna le tre grandi religioni monoteiste. E che, per parte cristiana, ha alimentato storicamente e per secoli incredibili atroci massacri e genocidi [leggi qui 1].

Certo il mondo è progredito e si può fare appello a principi e diritti generali, che possono anche essere infranti ma che pongono il trasgressore al livello dei crimini contro l’umanità. La bieca arroganza di Netanyahu, che se ne infischia degli appelli di Bergoglio, ma, incredibilmente, anche delle forti pressioni del maggior protettore di Israele, fa sorgere inevitabile la domanda del se sarà sufficiente il rapporto di uno a dieci, fra morti civili, a placare la sete di vendetta che il suo governo esprime. E quella bieca arroganza segna il punto di svolta delle simpatie nei confronti di Israele, l’aggredito, barbaramente, che diventa l’aggressore che viola quei principi generali. Già è stato segnalato, con asciutta sapienza di argomenti, il rischio di isolamento che corre Israele, un isolamento politico che farebbe da péndant all’essere uno Stato circondato da avversari o nemici dichiarati [leggi qui 2]. 

La portaerei Ford della Sesta flotta degli Stati Uniti d’America dal 24 ottobre si è spostata nel Mediterraneo Orientale per fare da scudo a Israele

E l’altra cruciale questione, del conflitto che si sta allargando, farà porre in modo sempre più stringente la domanda se l’arrogante incapacità di Netanyahu vada incoraggiata fino al rischio di una deflagrazione globale. Domanda analoga, e che si va a sommare, a quella che si è già posta col perdurare e incrudelire dell’aggressione di Putin all’Ucraina. Dal 24 ottobre la Sesta flotta si è spostata nel Mediterraneo Orientale, pronta a fare scudo a Israele, con tanto di portaerei Ford la cui potenza «è devastante se usata nell’area, Iran compreso» [leggi qui 3]. La Russia ha ovviamente cominciato a prendere le contromisure, e non c’è da sperare che la Cina si disinteressi del Vicino (a noi) Oriente.

Non basta esprimere oggi, dopo aver condannato le atrocità di Hamas, la solidarietà alla martoriata popolazione di Gaza, attraverso manifestazioni che percorrono le capitali europee, da Londra a Parigi, da Berlino a Roma. Ci vuole un’azione simmetrica a quella da tempo in essere, che distingue Hamas dai Palestinesi: intellettuali, politici, cittadini comuni insorgano — in Israele, da noi, in tutto il mondo — contro il governo Netanyahu, ché sarebbe un insulto pensare che rappresenti quella cultura laica e democratica e quei valori di democrazia che sono alle basi de “lo Stato per il popolo di Israele” [leggi qui 4]. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Scienziato e politico, leader del movimento antinucleare e tra i fondatori di Legambiente. Primo firmatario, con Alex Langer, dell’appello (1984) per Liste Verdi nazionali. Alla Camera per i Verdi (1987-2001) ha portato a compimento la chiusura del nucleare, le leggi su rinnovabili e risparmio energetico, la legge sul bando dell’amianto. Presidente delle due prime Commissioni d’inchiesta sui rifiuti (“Ecomafie”): traffici illeciti nazionali e internazionali; waste connection (Ilaria Alpi e Miran Hrovatin); gestione delle scorie nucleari. Tra gli ispiratori della Green Economy, è stato a fianco della ribellione di Scanzano (2003) e consulente scientifico nelle azioni contro la centrale di Porto Tolle e il carbone dell’Enel (2011-14). Co-presidente del Decennio per l’Educazione allo Sviluppo Sostenibile dell’Unesco (2005-14). Tra i padri dell’ambientalismo scientifico, suo un modello teorico di “stato stazionario globale” (2020) (https://www.researchgate.net/profile/Massimo-Scalia)