Per quale tremendo ‘cupio dissolvi’ gli israeliani si stanno condannando a essere eternamente assediati da nemici, se possibile, ancora più motivati e mortali di ieri? Perché vogliono tenere se stessi e il mondo intero in ostaggio di una punizione sempre più simile a un rabbioso regolamento di conti con la loro Storia, che li sta consegnando agli spettri del passato? La tradizione raziocinante della cultura e della religiosità ebraiche dovrebbe favorire la capacità di ponderare le scelte e di non cedere alle soluzioni emotive. Ma il radicalismo religioso pesa sempre di più sull’identità di una nazione che, profondamente laica alla nascita, oggi permette, nelle scuole confessionali, vere e proprie lezioni di odio a prima vista dei palestinesi. La radicalizzazione religiosa della società israeliana è simmetrica a quella palestinese e si accompagna alla radicalizzazione della violenza reciproca
◆ L’analisi di MAURIZIO MENICUCCI
► Il furore dei diplomatici israeliani. E la folle ostinazione del governo Netanyahu nel ‘far prevalere il bene e la giustizia’, come grottescamente ripete Bibi, mentre arma una punizione che pur di colpire Hamas fa terra bruciata di tutto ciò che sta in mezzo fra sé e il nemico. E il consenso all’operazione nella Striscia accordato da gran parte dell’opinione pubblica nazionale e degli ebrei della diaspora – non tutti, per fortuna −, ma anche la forza sommessa della ragione di molti non potrebbe sovrastare l’urlo di pochi. Ebbene, tutto questo potrebbe avere un senso preciso nella giovane storia di Israele. Segnala il deflagrare, dopo il feroce attacco di Hamas del 7 ottobre, di un sentimento carsico nella psicologia del paese con la Stella di David, che non ha mai vissuto veri momenti di pace, anche con se stesso, sebbene abbia spesso tentato di ignorare la precarietà della propria condizione. Questo sentimento, per tanti convinzione, per altri tentazione sempre meno resistibile, è di considerare ogni palestinese come un terrorista.
E se li esaminiamo da questo punto di vista, i fatti acquistano una loro diabolica, ma innegabile, coerenza. Fino a oggi i morti civili tra la popolazione palestinese sarebbero 7500, il 66 per cento donne e minorenni. Ma più dei numeri, in una tempesta di informazioni che ormai ci rende sospettosi verso ogni verità, sono le immagini e le circostanze a suggerire che i bambini colpiti siano decine di migliaia. Ora, se questo è il presente, allora ha ragione Israele: il futuro è scritto, e non potrà non essere così. Gli innocenti attuali sono i prossimi terroristi.
Perché un bambino di Gaza che riesca a scampare alle bombe, alla paura della morte e della vita, alle ferite, alla fame, alla sete, alla violenza, alla perdita dell’infanzia, dei genitori, della casa, di fratelli, sorelle, amici che possano prendersi cura di lui; che riesca a non impazzire quando, col tempo, continuerà a domandarsi perché e non troverà risposta, o magari la risposta è che doveva pagare perché altri, che parlavano la sua lingua e al suo dio, avevano straziato bambini della sua stessa età, gridando che lo facevano anche nel suo nome; ecco, questo bambino, non ci possono essere dubbi quale adulto sarà e quante probabilità avrà di non diventare un uomo che altri uomini accecati dalla sete di vendetta hanno votato a una sempre più smisurata vendetta, un ‘animale’ che riterrà giusto e santo far soffrire ai figli senza colpa dei suoi persecutori quello che senza colpa ha sofferto lui.
Se queste sono le inevitabili conseguenze di una logica che porta Israele a comportamenti capaci di autorizzare perfino un genocida come Erdogan, sterminatore di armeni e curdi, a giustificare la strage di Hamas, quello che lascia senza parole, però, è altro. È il fatto che gli israeliani, popolo di straordinarie capacità intellettuali e morali, non si pongano – nel loro complesso, intendo, non come voci dal deserto – una serie di domande talmente ordinarie che si sarebbe tentati, con Hanna Harendt, di definirle banali. Domande che riguardano, ad esempio, i veri motivi di questa loro reazione così violenta, la possibilità di interromperne la spirale, l’opportunità di smettere di chiamare antisemita chi appena tenti di far loro comprendere in quale spropositato pasticcio si stanno e ci stanno infilando a testa bassa. In altre parole, la vera questione è per quale tremendo ‘cupio dissolvi’ si stanno condannando a essere eternamente assediati da nemici, se possibile, ancora più motivati e mortali di ieri? Perché vogliono tenere se stessi e il mondo intero in ostaggio di una punizione sempre più simile a un rabbioso regolamento di conti con la loro Storia, che in realtà li sta consegnando, più soli che mai, agli spettri del passato?
Abbiamo già osservato che la tradizione raziocinante della cultura e della religiosità ebraiche dovrebbe favorire, e quasi sempre lo ha fatto, la capacità di ponderare le scelte e di non cedere alle soluzioni emotive. D’altra parte, non si può ignorare la crescita degli integralisti ortodossi nel governo e nella società di Israele e il suo primo, desolante, effetto. Il radicalismo religioso pesa sempre di più sull’identità di una nazione che, profondamente laica alla nascita, oggi permette, nelle scuole confessionali, vere e proprie lezioni di odio a prima vista dei palestinesi, come mostra un video agghiacciante, questo, sì, degno di Hamas, che circola sul web in queste ore e che speriamo con tutte le nostre forze sia falso. Purtroppo, la radicalizzazione religiosa della società israeliana è simmetrica a quella del terrorismo palestinese, anche quello in origine quasi solo laico e politico: entrambe si accompagnano alla radicalizzazione della violenza reciproca. A nessun Dio, come a Colui che i figli di Abramo chiamano con nomi diversi, piace tanto rendere folli gli uomini che si prepara a rovinare.
L’Occidente, e l’Europa in particolare però, dovrebbero chiedersi che senso ha continuare a dividersi sulle virgole e perder tempo, invece di prendere decisamente l’iniziativa e dire a chiare lettere che a questo punto occorre fermarsi e trovare una soluzione. Anche al ribasso, come del resto è sempre stato in Medio Oriente dai tempi dell’Intesa (1916) Sykes Picot per la sua spartizione tra Francesi e Inglesi, e soprattutto della dichiarazione di Balfour (1917) , che impegnava la Gran Bretagna, di lì a poco titolare del Protettorato sulla Palestina, alla nascita di un focolare nazionale per il popolo ebraico, «nel rispetto dei diritti civili e religiosi delle minoranze già presenti». Per quanto fragile, l’ennesimo compromesso sarà sempre meglio di una Terza Guerra Mondiale tra «sonnambuli incapaci di vederla arrivare», come avevano detto gli storici Hermann Broch e Christopher Clark, parlando del modo in cui era scoppiata la Prima.
Quanto all’ambigua solidarietà che alcuni paesi accordano non tanto a Israele, quanto al suo attuale autolesionismo, forse val la pena di notare che a distinguersi sono quei governi dove le maggioranze di destra devono misurarsi col senso di colpa del loro peccato originale: quello di una visione razzista e fascista della società che escludendo ogni diversità, politica, religiosa, di genere e di nascita, si riconnette alle ideologie di sterminio del secolo scorso. Forse sperano, inconsciamente, che la Storia di oggi ribalti i ruoli e le responsabilità di ieri. Dovremmo far di tutto perché la Storia continui a dargli torto. © RIPRODUZIONE RISERVATA