La Corte dei Conti europea ha come principale competenza – in un’ottica di trasparenza e di garanzia per i cittadini – il controllo sulla sana gestione delle finanze della Ue e dei suoi organi. Una gestione che deve essere coerente agli obbiettivi e alle attività dell’Unione, e che quindi deve saper valutare – tra l’altro – impatto ambientale e contrasto all’emergenza climatica. Quindi politiche più “verdi”. In questo contesto è proprio dalla Corte dei Conti europea che arriva una reprimenda alla politica vitivinicola dell’Unione. Una politica che non si affiderebbe a sufficienza a coltivazioni compatibili agli obbiettivi che la stessa Ue si è data. Per definire quanto tutto questo sia importante basterebbe ricordare che la zona Ue è nel suo complesso di gran lunga il maggior produttore, consumatore ed esportatore di vino del mondo


◆ L’analisi di GIORGIO DE ROSSI

Anche il vino, “nettare degli Dei”, è finito sotto la lente di ingrandimento della Corte dei Conti europea la quale, nella Relazione Speciale N.23/2023, ha ritenuto “poco green” l’effetto causato dai metodi di viticoltura adottati dall’Ue. La Relazione, infatti, è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea il 27.9.2023 con l’eloquente titolo: «Misure di ristrutturazione e autorizzazioni all’impianto di vigneti nell’Ue – Impatto poco chiaro sulla competitività e modesta ambizione ambientale» (2023/C 340/08). Ma partiamo dall’inizio, ossia dalle motivazioni che hanno spinto i giudici contabili comunitari ad analizzare un settore che riveste tradizioni molto antiche in Europa, risalenti a diverse migliaia di anni fa.

Oggi l’Unione Europea rappresenta il maggior produttore, consumatore ed esportatore mondiale di vino. Come evidenziato nel grafico, la superficie viticola europea nel 2021 si è attestata sui 3,3 milioni di ettari, rappresentando il 46% del totale mondiale. In proporzione i vigneti hanno coperto circa il  % della superficie agricola utilizzata nell’Ue. L’Italia, la Spagna, la Francia, la Germania, la Romania e la Grecia sono stati i Paesi che hanno registrato superfici viticole superiori ai 650.000 ettari. La produzione di vino ha raggiunto nel 2021 i 154 milioni di ettolitri (hl), in calo rispetto ai 156 milioni di hl registrati nel 2010. A livello mondiale la percentuale produttiva di vino è risultata pari al 59%, mentre il valore della produzione di uve dell’Unione ha rappresentato il 7,5% del valore della produzione agricola comunitaria. Il consumo di vino è passato dai 120 milioni di ettolitri del 2010 ai 113 milioni di hl del 2021; di converso, le esportazioni sono passate dai 64 milioni di ettolitri del 2010 ai 76 milioni di hl del 2021: sempre nel 2021, Italia, Francia e Spagna hanno rappresentato quasi l’80% della produzione e delle esportazioni di vino dell’Ue. I flussi si sono principalmente diretti verso gli Stati Uniti (25%), il Regno Unito (14%), la Russia (9%), la Cina ed il Canada (7 % ciascuno).

Tornando a porre l’accento sulla superficie viticola dell’Ue, il Rapporto evidenzia come, nel 2020, ben l’82% è stata utilizzata per produrre vino coperto dai due regimi europei per le indicazioni geografiche: vini con “Denominazione d’Origine Protetta” (Dop) e vini con “Indicazione Geografica Protetta” (Igp). I prodotti Dop devono provenire da una determinata zona geografica nella quale si rilevino competenze riconosciute e registrate, nonché devono impiegare esclusivamente uve provenienti da tale zona; mentre i prodotti Igp possiedono qualità, notorietà o peculiarità attribuibili ad una determinata zona geografica e devono essere prodotti con almeno l’85% delle uve provenienti dalla zona in questione. I Programmi Nazionali di Sostegno – Pns – nel settore vitivinicolo, segnalano i giudici contabili, hanno comportato, per il periodo 2014/2018, una dotazione di bilancio totale di 5,5 miliardi di euro: oltre 1 miliardo di euro annuo. L’Italia, nel predetto quinquennio, è stato il Paese europeo che ha ricevuto la maggior quota di finanziamenti attraverso i Pns: 1,6 miliardi di euro, seguita dalla Francia con 1,4 miliardi di euro e dalla Spagna con 1 miliardo di euro.

I Programmi Nazionali nel settore vitivinicolo possono finanziare otto misure di sostegno, ma, sempre nel periodo 2014-2018, la maggior parte dei finanziamenti dell’Ue è stata spesa per tre misure: “Ristrutturazione e riconversione dei vigneti” (50%), “Investimenti” (22%), “Promozione” (18%). L’Audit della Corte si è incentrato dunque sulla prima misura di sostegno che ha ottenuto circa la metà delle risorse erogate. In detto arco temporale, affermano gli auditors dell’Ue, i viticoltori hanno ricevuto dall’Unione circa 500 milioni di euro all’anno per la ristrutturazione dei vigneti con l’obiettivo principale di rendere i produttori più competitivi. La misura “Ristrutturazione”, in base alla normativa comunitaria, avrebbe dovuto finanziare i seguenti cambiamenti strutturali del vigneto: ∎ riconversione varietale, ossia il passaggio da una varietà di uve ad un’altra; ∎ diversa collocazione/reimpianto di vigneti; ∎ miglioramento delle tecniche di gestione dei vigneti con l’introduzione di sistemi avanzati di produzione sostenibile; ∎ reimpianto di vigneti per ragioni sanitarie o fitosanitarie. Anche in base agli orientamenti della Commissione, le attività avrebbero dovuto comportare modifiche sostanziali del vigneto. Il “rinnovo normale dei vigneti”, ossia il reimpianto con la medesima varietà di uva e secondo lo stesso sistema di coltivazione su di un’identica particella, non poteva e non doveva considerarsi ammissibile.

Tuttavia, ha osservato la Corte, alcuni Stati membri avrebbero predisposto sistemi che non sempre sarebbero stati in grado di evitare il finanziamento destinato a cambiamenti non strutturali o al citato rinnovo normale. Infatti, l’Italia e la Francia hanno finanziato attività di ristrutturazione che non rispettavano gli orientamenti della Commissione in materia di azioni ammissibili, rimborsando i costi di estirpazione anche quando il progetto di ristrutturazione riguardava soltanto una modifica alla densità del vigneto di modesta entità e la medesima varietà veniva reimpiantata nel medesimo luogo. Riguardo alla produzione, per evitare un eccesso di offerta, a partire dal 2016, le nuove superfici viticole da concedere annualmente non dovevano supere l’1% della superficie viticola nazionale. Ciononostante, sempre sulla base dei controlli operati sul territorio dagli stessi auditors, «in Francia, dal 2017, il bacino Charentes-Cognac ha registrato un aumento medio della superficie del 3% annuo». Nel 2022, prosegue la Corte, «la stessa Francia ha concesso più della metà delle superfici autorizzate per nuovi impianti ai produttori di questa regione: una crescita esponenziale che è stata sostenuta dalle forti esportazioni del Cognac (+92%)». In Spagna, «la regione Dop Ribera del Duero ha registrato una crescita media annua del 4%, ossia otto volte il limite fissato a livello nazionale: nel 2020, su 4.750 ha disponibili, 837 ettari erano stati assegnati a questa Dop (18% della superficie totale)».

In linea con gli obiettivi della Politica Agricola Comunitaria (Pac), la misura di ristrutturazione ha avuto, per la prima volta, anche l’opportunità di contribuire al raggiungimento dell’obiettivo ambientale, in quanto i Programmi Nazionali di Sostegno avrebbero dovuto includere una specifica Via (Valutazione di Impatto Ambientale). Di fatto, però, è emerso che nei Piani Nazionali di Sostegno degli Stati membri non venivano inclusi i risultati di una valutazione d’impatto, ma piuttosto una descrizione del modo in cui le diverse misure, tra cui quelle di ristrutturazione, avrebbero potuto contribuire alla protezione dell’ambiente. Pertanto, il raggiungimento dell’obiettivo di protezione ambientale è divenuto facoltativo, in quanto gli Stati membri potevano decidere se inserirlo o meno nella propria strategia vitivinicola, nonostante la misura di ristrutturazione ne avesse previsto l’obbligo. 

I magistrati contabili hanno dunque riscontrato come proprio la misura in grado di offrire la possibilità di ristrutturare i vigneti abbia ottenuto, a posteriori, scarsi risultati o nessuna attenzione verso gli obiettivi di natura ambientale. Anzi, in alcuni casi, ha sortito l’effetto opposto: anziché sviluppare progetti volti a ridurre l’impatto della viticoltura sul clima e sull’ambiente, spesso si sarebbe fatto ricorso a scelte discutibili come quella di passare a varietà di viti che necessitassero di più acqua. I timori di un’insufficiente attenzione al “green” si ripresenterebbero anche per il futuro: nella Nuova Politica Agricola Comune (Pac) la riduzione dell’impatto ambientale di questo settore sembra essere limitata e poco ambiziosa. In passato, la Corte dei Conti europea aveva raccomandato di collegare esplicitamente i pagamenti a favore degli agricoltori, compresi quelli per i viticoltori, al rispetto dei requisiti ambientali, ma questa richiesta non è stata inclusa nella Nuova Pac. La valutazione dei magistrati contabili ha pertanto confermato che gli Stati membri non sostengono le iniziative che mirano a migliorare le pratiche dal punto di vista ambientale e climatico.

Comunque, poiché l’obiettivo primario della misura di ristrutturazione rimane quello di aumentare la competitività dei viticoltori, la Corte ha verificato se detta misura abbia realmente contribuito a rendere più competitivi i viticoltori stessi. Gli Stati membri visitati dagli auditors, in realtà, non hanno definito in che modo la misura di ristrutturazione avrebbe dovuto contribuire a renderli più competitivi, atteso che i rispettivi Pns non contemplavano una strategia per raggiungere l’obiettivo della competitività. Secondo il severo giudizio espresso dalla Corte nella Relazione Speciale N. 23/2023, il quadro d’intervento per rendere i viticoltori più competitivi presenta delle «carenze» a livello di impostazione e di attuazione e «non persegue» gli obiettivi ambientali della politica agricola comune. Motivo per cui i giudici contabili comunitari hanno espressamente rivolto alla Commissione due specifiche “Raccomandazioni”, da attuarsi entro il 2028, volte a «rendere la misura ed il sistema più mirati alla promozione della competitività, nonché ad accrescere l’ambizione ambientale della politica vitivinicola». Di fatto una bocciatura a tutto tondo dei risultati conseguiti, in funzione delle notevoli risorse impiegate, nell’intero comparto europeo di coltivazione della vite e della produzione del vino. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Già Dirigente coordinatore del ministero dell’Economia e delle finanze – Ragioneria generale dello Stato, con esperienza amministrativa/contabile nel comparto del Bilancio statale e della Contabilità pubblica nazionale. E’ stato Coordinatore dell’Ispettorato per i Rapporti finanziari con l’Unione europea. Esperto di nuovi modelli aziendali, è autore di numerosi saggi sull’Istituto delle Reti di Impresa. Iscritto al Registro dei Revisori legali presso il Mef e nell’Elenco degli “Innovation Manager” a cura del ministero dello Sviluppo economico. Giornalista