Palestina, Nakba 1948. Profuga con la sua figlioletta e un orcio d’acqua sulle spalle

Nella Striscia devastata dai bombardamenti israeliani non si arresta la carneficina dei palestinesi: più di trentamila vittime su una popolazione di un milione e mezzo di profughi costretti ad essere tali da 76 anni. Genocidio, massacro o strage? Allo “spettacolo” di morte, conseguente al pogrom del 7 ottobre dei kibbutzim, tendiamo ad assuefarci con la nostra dose quotidiana di orrore e di crudeltà assorbita dalle immagini televisive: quindi con certi tagli, certe angolazioni, certi omissis, certe colorature. Per depistare, per trasformare corpi massacrati in corpi filosofici, per distogliere lo sguardo dallo strazio evidente di quei fatti, dall’impotenza che ci strugge. Fermiamoci. I popoli d’Europa si mettano di mezzo a questo delirio di morte


◆ Il commento di ROSELLA SIMONI, Fonti di Pace Onlus

Ho sentito filosofi, politici, il presidente dell’Anpi e persino mie amiche da sempre, ebree e non, dissertare sopra l’opportunità o meno di chiamare quello che succede in Palestina, genocidio, piuttosto che massacro o strage. Costretta a guardare impotente le immagini da Gaza tutto ciò mi sembra una disquisizione della stessa sostanza del sesso degli angeli.

Sbaglio, perché la guerra, e la morte reale, che si dispiega su Gaza è combattuta con le bombe, al fosforo, ad uranio impoverito, con i cecchini, con raid aerei, con la fame e la sete ma quella che si combatte a livello globale è fatta di comunicazione, usata, a me pare, non per spiegare quello che sta accadendo sotto i nostri occhi (televisivi, naturalmente, quindi con certi tagli, certe angolazioni, certi omissis, certe colorature da spettacolo) ma per deviare lo sguardo dal sangue e spostarlo altrove. Per depistare, per trasformare corpi massacrati in corpi filosofici, per distogliere lo sguardo dallo strazio evidente di quei fatti, dell’impotenza che ci strugge, costrette/i a fruire ogni giorno la nostra dose di orrore e di crudeltà, sino all’assuefazione. Di più, sino alla partecipazione, intanto per indifferenza, e poi per paura. Una è paura costruita ad arte contro un nemico che va costruito giorno per giorno sino alla deflagrazione totale.

Gaza 2024. Donna gazawi fra le macerie nella Striscia (credit Mahmud Hams / Afp)

Chi è il nemico? Tutto quello che non è modernità capitalista occidentale, i “nemici della civiltà”, quella civiltà che, appunto, sa “civilmente” distinguere tra Genocidio e Massacro. O sul sesso degli angeli. I popoli d’occidente e, soprattutto, gli “intellettuali” d’Occidente hanno impegni più grandi che interessarsi davvero della sofferenza di “animali umani”, parola di Yoav Gallant ministro della Difesa israeliano. Non dobbiamo ragionare con la testa e col cuore, ma diventare fans, dissertando di scienza, di filosofia, di alta politica.

Per la Treccani, è genocidio la «distruzione fisica diretta o indiretta, compiuta attraverso azioni deliberate e protratte nel tempo, di un gruppo etnico, razziale o nazionale (e c’è chi aggiunge, religioso), a prescindere dalla sua eventuale resa». Per chi ha coniato questo termine, nel 1944, il giurista polacco di origine ebraica R. Lemkin (1900-1959), genocidio indica la «metodica distruzione di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso» sebbene senza territorio, visto che gli ebrei da duemila anni stavano in stati diversi riconoscendosi quali cittadini. E cosa s’intende per “gruppo etnico”? In ambito scientifico il concetto di “gruppo etnico” è attribuibile a Max Weber, che definisce “etnici” quei gruppi umani che condividono «la credenza soggettiva di una comune origine», a prescindere dalla sussistenza o meno di reali affinità parentali.

Da 76 anni, i Gazawi sono costretti a vivere in un territorio che, da allora, fa gola a Israele, hanno tutti una medesima origine: sono profughi dalla Palestina storica, e, anche se ancora conservano le chiavi di una casa originaria in una terra che ha cambiato nome, non più Palestina ma Israele, sono Gazawi da almeno cinque generazioni e non hanno solo “la credenza soggettiva di una comune origine”, hanno l’oggettiva consapevolezza di una comune origine: “palestinesi profughi”, figli e figlie della Nakba, la «catastrofe», l’esilio. È questo che si vuole cancellare sotto le macerie di Gaza (e poi via a continuare per la Cisgiordania): l’occupazione coloniale delle terre palestinesi in nome di una tragedia, il “genocidio”, nominata così dai sionisti, vittime ab aeterno.

Palestina, Nakba 1948. Bambina palestinese consola un anziano nel campo profughi

Uno schema impiantato nella mente di ogni israeliano sin dalla nascita che li sta facendo impazzire, snaturando una cultura grande e potente e modernissima proprio perché pensata da genti “senza terra”, che fondava nella cultura la loro unicità. Impazziti di rabbia, di dolore, di superbia e di crudeltà. Esaltati dalla loro unicità pensano di avere più diritti, di essere più uguali di tutti gli altri, più vicini a dio, il loro dio degli eserciti. Zeloti per tradizione. Stanno diventando (non tutti per fortuna, perché ci sono anche in Israele i coraggiosi che resistono a questa interpretazione) come i loro persecutori, praticano pogrom e massacri, hanno scoperto la vendetta e il potere della terra, con quella pervertita idea di nazione che mi pare porti ormai solo disgrazie e guerre fatali, o finali. Vedremo.

Tutto questo per dire che i Gazawi sono un gruppo etnico costruito da Israele con la violenza, ma, piaccia o non piaccia, ora esiste, anche se, da sei mesi, Israele, meglio il governo Netanyahu con il solido aiuto statunitense, sta cercando di cancellare dalla terra con un vero e proprio genocidio che non è solo materiale, ma anche psicologico.

Guardo i video che arrivano da Gaza e mi vergogno come se guardassi un film porno, perché quello che vedo è osceno. Uomini donne e bambini che girano come formiche impazzite in un territorio smaterializzato, si muovono come bersagli indifesi, come un distopico Luna park, c’è qualcuno che ha il fucile e spara e qualcuno che fa da bersaglio: corri, salta, muori. Oppure muori di fame di sete di orrore di disperazione. Figure smarrite nell’orrore, rese pazze perché la mente «non può adattarsi a quella realtà», ed è questa la definizione della pazzia.

Gaza 2024. Famiglie di palestinesi in fuga nella Striscia: da 76 anni, alla ricerca di un luogo sicuro dove poter crescere i propri figli

Bisogna fermare Israele, per il suo bene, e per il nostro bene. Per non cadere nella trappola in cui la modernità capitalista ci vuole trascinare in un conflitto mondiale, o a vivere nella paura, buttando via tempo e denari a difenderci dai nemici che il capitale ci costruisce, dalla povertà in cui ci stanno cacciando per buttare la nostra salute, le nostre vite e il futuro dei nostri figli e nipoti in bombe, per distruggere il territorio e l’aria, per farci costruire bunker insensati e toglierci diritti, uno dietro l’altro, per la maggior gloria di quell’8% di potenti della terra. Fermiamoci, che i popoli d’Europa si mettano di mezzo a questo delirio di morte, noi non vogliamo impazzire. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Femminista, attivista politica, giornalista. Ha lavorato con diverse testate giornalistiche "Marie Claire", "D la Repubblica delle donne", "Vanity fair". Ha scritto libri tra cui "La casa del nulla", con Giuliano Naria, "Donne oltre le armi", "Quando caddero le stelle rosse. Viaggio negli ultimi giorni delle Repubbliche socialiste"