Con una vera e propria Consultazione pubblica l’Italia ha individuato 67 aree potenzialmente idonee ad ospitare il Deposito nazionale delle scorie nucleari accumulate nei decenni scorsi e sparsi in siti provvisori nella Penisola. Un percorso rigoroso e prolungato che dovrebbe consentire di scegliere il sito più adatto e sicuro che possa determinare il rischio più basso possibile per tutti. Con un’improvvisa sterzata e un decreto legge, il governo Meloni ha deciso, invece, a novembre di consentire al ministero della Difesa di autocandidarsi ad ospitare il deposito delle scorie nelle aree militari, e lo stesso possono fare anche gli enti locali che precedentemente erano stati identificati come non idonei dalle procedure tecnico-scientifiche seguite sin qui. Una vera e propria “turbativa d’asta” che ha fatto perdere al procedimento di selezione in corso da anni quella credibilità scientifica e democratica che nonostante i ritardi si era fin qui meritato. E a questo punto può succedere di tutto


◆ L’analisi di GIAN PIERO GODIO, Legambiente e Pro Natura del Vercellese

Il Deposito nazionale delle scorie nucleari rappresenta una vera urgenza per la sicurezza di tutto il Paese, dato che i siti dove si trovano i materiali radioattivi non erano stati progettati per essere depositi, e mantenere proprio in quei luoghi la radioattività significa scegliere di avere rischi ingiustificati per tutto il territorio italiano, come purtroppo è avvenuto fino ad oggi. Vi è quindi la necessità e l’urgenza di trovare per il Deposito nazionale dei rifiuti radioattivi il luogo che possa determinare il rischio più basso possibile per tutti.

Per questo Legambiente e Pro Natura hanno sollecitato il processo verso la Cnapi (Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee) e poi la Cnai (Carta Nazionale delle Aree Idonee), ma allo stesso tempo hanno anche contribuito ad evidenziare quelle caratteristiche di non idoneità che potevano essere sfuggite nella prima analisi di Sogin con la scelta dei 67 siti potenzialmente idonei della Cnapi. Vi è stata una vera e propria Consultazione Pubblica, con la possibilità per cittadini, enti e associazioni di presentare osservazioni e proposte in ben tre successive sessioni, dando una volta tanto attuazione a quanto prevede la storica Legge 241 del 1990.

Dove sono le scorie nucleari oggi, sparse lungo la Penisola

Questa è la logica condivisibile contenuta nella procedura seguita fino ad un mese fa, prevista nel Dlgs 31/2010 che fu predisposto con il supporto di Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ora Isin, Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare), Aiea (Agenzia internazionale per l’energia atomica), esperti dei ministeri, e firmato dal Presidente del Consiglio che allora era Silvio Berlusconi. Poi, all’improvviso, il 13 dicembre è stata pubblicata la Cnai, che riduce le aree da 67 a 51, senza rendere note le ragioni, né delle esclusioni, né delle conferme, cosa che Sogin e il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica dovrebbero fare immediatamente.

Nello stesso giorno è stato anche pubblicato il Decreto-legge 181 che prevede la possibilità di autocandidature di aree militari da parte del ministero della Difesa e anche di autocandidature spontanee e immotivate da parte di enti locali. L’apertura alle autocandidature per tutti i territori, pur se precedentemente identificati da Sogin come non idonei per il Deposito nucleare, ha avuto l’effetto di una vera e propria “turbativa d’asta”, facendo perdere al procedimento di selezione in corso da anni quella credibilità scientifica e democratica che nonostante tutto si era fin qui meritato.

Le autocandidature per il deposito Nazionale dei rifiuti radioattivi non devono perlomeno scavalcare la consultazione pubblica. Ma vi è di più: tutte queste aree autocandidate, siano esse militari oppure civili, una volta fossero riconosciute idonee da Sogin e Isin, non subirebbero nessuna delle tre serie di osservazioni pubbliche che invece hanno subito le aree Cnapi-Cnai, e questa è una ulteriore grave stortura che dovrà essere sanata in fase di conversione in legge del decreto. L’apertura alle autocandidature per qualsiasi ente territoriale pur se precedentemente escluso in base ai criteri oggettivi di selezione viene giustificata con l’affermazione che in ogni caso la tecnologia costruttiva del deposito può fare fronte a molte situazioni di non idoneità. Da parte nostra crediamo invece che, per il Deposito nucleare nazionale, prima vengono i requisiti di base, e solo dopo va scelta la tecnologia costruttiva più idonea per il sito individuato: occorre individuare il sito che presenta meno problemi di tutti e, solo dopo avere fatto questa selezione, progettare il Deposito in modo da ridurre al minimo quei rischi che comunque caratterizzano anche il sito prescelto.

L’esterno della centrale nucleare “Enrico Fermi” di Trino Vercellese lungo la sponda del Po

In questo clima di sostanziale deregulation si inserisce l’autocandidatura del sindaco di Trino, in Provincia di Vercelli. Il territorio comunale di Trino non è compreso nell’elenco delle aree: né tra quelle “potenzialmente idonee”, né tra quelle “idonee”. Non ha quindi alcun senso che il sindaco di Trino – oltretutto senza alcun mandato né della Giunta né del Consiglio comunale, e senza essersi confrontato con i cittadini e con i Comuni limitrofi – da anni continui a ventilare in ogni sede (istituzionale, giornalistica, televisiva, ecc.) l’ipotesi di un’autocandidatura di Trino ad ospitare il deposito nazionale, e che – approfittando del fatto che il suo partito è attualmente al Governo – si sia ora fatto confezionare un apposito decreto “ad Syndicum” per poter candidare il suo Comune sebbene non risponda ai requisiti previsti. Cosa comporti per la sicurezza del territorio vercellese e per i suoi cittadini lo vedremo nel dettaglio domani. — (1. continua) © RIPRODUZIONE RISERVATA

Già tecnico dell’Enea di Saluggia, presidente di Legambiente Piemonte ed autorevole esponente di Pro Natura. Memoria storica e attivista infaticabile del movimento antinucleare italiano, si batte da trent’anni per mettere in sicurezza le scorie radioattive sparse nel nostro Paese, ancora oggi ospitati in siti inidonei o a rischio per la sicurezza del territorio.