Da sedici anni una parte dei rifiuti di Napoli viene spedita agli inceneritori tedeschi attraverso la ferrovia del Brennero, con un costo di 200mila euro al giorno. Per ore e ore i treni dell’immondizia stazionano a cinque chilometri da Trento, infestando di effluvi e mosche il circondario della città trentina. Una vergogna che viola tutti i principi fondamentali stabiliti per la gestione dei rifiuti urbani a livello comunitario e nazionale. Secondo Eurostat (ultimi dati disponibili), nel 2020 l’Italia ha esportato quasi 529mila tonnellate di rifiuti da trattamento dei rifiuti, pari al 25% del totale spedito oltre confine da tutti gli Stati membri dell’Ue
◆ Il commento di GIANFRANCO AMENDOLA
► Pochi giorni fa il giornale “L’Adige” riportava questa notizia: “Treni carichi di immondizia napoletana per la Germania, fermi a Gardolo: mosche e puzza insostenibile”, ricordando che dal 2008 una parte dei rifiuti prodotti a Napoli viene inviata, tramite la ferrovia del Brennero, agli inceneritori tedeschi con un costo di 200.000 euro al giorno. E che, durante il lungo tragitto, questi treni sostano per ore e ore allo scalo intermodale di Gardolo (a 5 km da Trento), con il risultato, quando viene il caldo, di riempire di effluvi (e di mosche) i dintorni. Tanto da costringere le autorità a chiedere lo spostamento del punto di sosta e a concordare una pulizia straordinaria dei binari con la contemporanea disinfestazione dalle larve.
Vedremo se questi rimedi porteranno qualche miglioramento per la prossima estate. Resta, tuttavia, il fatto che si tratta, comunque, di una vergogna che viola tutti i principi fondamentali stabiliti per la gestione dei rifiuti urbani a livello comunitario e nazionale. Occorre, cioè, di regola, attuare l’autosufficienza e rispettare il principio di prossimità per cui onde evitare pericoli per la salute e per l’ambiente, i rifiuti devono allontanarsi il meno possibile dal luogo di produzione (no al “turismo dei rifiuti”). E questo vale anche per i rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata destinati al riciclaggio o al recupero. Tanto è vero che ogni eccezione deve essere limitata e motivata dal punto di vista della tutela dell’ambiente; dimostrando, cioè, che non vi sono migliori alternative possibili. E tanto più se si tratta di importazione o esportazione di rifiuti per le quali le restrizioni sono ancora maggiori ed è necessario ricorrere alla procedura di notifica ed autorizzazione preventiva scritte.
Eppure, secondo gli ultimi dati disponibili di Eurostat, nel 2020 l’Italia ha esportato quasi 529mila tonnellate di rifiuti da trattamento dei rifiuti, pari al 25% del totale spedito oltre confine da tutti gli Stati membri dell’Ue, classificandoli con un codice (191212) che, secondo la sentenza della Corte europea di Giustizia (Cgce) dell’11 novembre 2021, non legittima affatto tali spostamenti se manca, come spesso avviene in Italia, la prova che hanno ricevuto un trattamento realmente efficace. E pertanto – conclude la Cgce – «in base alla normativa comunitaria, la loro gestione deve rispettare i principi di autosufficienza e di prossimità i quali impongono di trattarli nell’impianto più vicino possibile al luogo in cui vengono prodotti, per limitarne al massimo il trasporto; con il corollario evidente che … è del tutto legittimo opporsi alla loro esportazione». Tuttavia, da ben 16 anni tutto continua come prima. È proprio una vergogna nazionale! © RIPRODUZIONE RISERVATA