Giorgio Gaber al Cantagiro del 1969, “Girone Folk” sul cartellino; sotto il titolo, al Teatro comunale di Ferrara (foto di Marco Caselli Nirmal)

Ci sarebbe voluto un paziente lavoro di scavo, come sempre in culture radicate in terre di confine, per far capire il cantautore e drammaturgo nato Gaberščik. Una figura decisamente complessa di autore e di attore, unica nel panorama italiano, e come tale andava indagato e restituito al pubblico più vasto


Il commento di VITTORIO EMILIANI

Condivido largamente quanto ha scritto Balocco sul documentario dedicato a Giorgio Gaber in tv con una lunga testimonianza di Pierluigi Bersani affettuosa quanto poco utile a far capire il personaggio Gaber nato Gaberščik, in terra di confine a Est. Ci voleva un paziente lavoro di scavo come sempre in culture che hanno radice in terre confinarie. Esposte a diverse e a volte contrastanti influenze.

Ho avuto la fortuna di assistere a Milano ad una edizione del Signor G e ne conservo un ricordo bello, vivace, fiammeggiante. Gaber è stato una figura decisamente complessa di autore e di attore, unica nel panorama italiano, e come tale andava indagato e restituito al pubblico più vasto del teatro e soprattutto della tv.

Lo scopersi quasi per caso nel jukebox del Bar Madama a Voghera dove risiedevo: di lui c’era un brano che ascoltavo spesso: “Genevieve”, interpretata con una allegria velata di tristezza. Una cifra poi del Gaber più maturo e però già significativa. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Direttore onorario - Ha cominciato a 21 anni a Comunità, poi all'Espresso da Milano, redattore e quindi inviato del Giorno con Italo Pietra dal 1961 al 1972. Dal 1974 inviato del Messaggero che ha poi diretto per sette anni (1980-87), deputato progressista nel '94, presidente della Fondazione Rossini e membro del CdA concerti di Santa Cecilia. Consigliere della RAI dal 1998 al 2002. Autore di una trentina di libri fra cui "Roma capitale Malamata", il Mulino.