Fino al 14 giugno del 1973, la squadra dei Bianchi è stata la nostra bestia nera: la Nazionale di Valcareggi ruppe l’incantesimo, con un 2-0 firmato da Anastasi e Capello. Cinque mesi dopo gli Azzurri vinsero per la prima volta in terra inglese, violando Wembley. La partita, preceduta da sgradevoli ironie a mezzo stampa sui “camerieri” italiani, fu una sofferenza. Zoff oppose una prestazione leggendaria. A quattro minuti dalla fine Giorgio Chinaglia, che da figlio di emigrati in terra britannica il cameriere lo aveva fatto davvero, scavallò sulla destra e mise dentro un pallone forte, che il portiere Shilton ribatté a mano aperte. Entrò sotto misura Capello e la vittoria fu servita. Da allora, il complesso è del tutto svanito


L’articolo di MARCO FILACCHIONE

14 novembre 1934, la nazionale dei “maestri” inglesi batte lo squadrone di Vittorio Pozzo a Highbury

LA RIVALITÀ CON la Francia? Roba recente. Le grandi sfide con la Germania? Prima del 1970 non ce n’era traccia. No: se si parla di calcio, l’avversario che per decenni, a partire dalle origini, l’Italia ha sofferto più di ogni altro è stata l’Inghilterra, anche se quella di Euro 2020, domenica a Wembley, sarà la prima finale della storia tra le due squadre. Studiata, ammirata, per quanto possibile emulata, la nazionale dei “maestri” ha rappresentato a lungo un tabù insuperabile, più per la soggezione che incuteva che per reale superiorità tecnica. Contro lo scoglio britannico andò ad infrangersi anche lo squadrone di Pozzo, il 14 novembre del 1934, nel catino di Highbury avvolto nella nebbia. Gli azzurri erano freschi campioni del mondo, cosicché gli inglesi, che disertavano sdegnosamente i mondiali, lanciarono il guanto di sfida: battendo l’Italia avrebbero ribadito urbi et orbi la loro superiorità.

La prima pagina de “Il Littoriale” con cui passò la “vittoria morale” dopo la sconfitta sul campo

Pozzo quella partita non voleva giocarla: novembre era il mese in cui l’Inghilterra dava il meglio, in più non era giusto che una gara del genere si giocasse nella tana avversaria. In federazione, però, non vollero sentire ragioni: l’occasione era ritenuta imperdibile, per elevare al massimo livello la propaganda sui valori ed il nerbo dello sport fascista. L’impatto sul terreno fu terribile: i “bianchi” presero alla gola gli azzurri e andarono in gol tre volte nel primo tempo. In più, l’Italia rimase in dieci per l’infortunio del centromediano oriundo Luisito Monti (all’epoca non erano previste sostituzioni). C’erano tutti gli elementi per una debâcle storica, invece gli uomini di Pozzo, passata la tempesta, emersero con orgoglio nella ripresa. Meazza, che per talento e intelligenza calcistica si imponeva anche ai maestri, segnò due volte e sfiorò la tripletta nel finale. I suoi compagni, malgrado l’inferiorità numerica, tirarono fuori gomiti e denti, guadagnandosi la fama imperitura di “Leoni di Highbury”. Sulla stampa italiana passò il concetto di “vittoria morale”, che servì abilmente a cancellare la sconfitta reale.

La sconfitta più cocente allo stadio Comunale di Torino il 16 maggio 1948

La delusione più cocente arrivò 14 anni dopo, il 16 maggio del 1948. La Nazionale viveva sullo straordinario telaio del Grande Torino e la gara doveva essere la definitiva consacrazione del leader e capitano Valentino Mazzola. In più si giocava in casa, nel Comunale torinese. Ma la grande attesa e l’emozione fiaccarono gli azzurri, che dopo 23 minuti erano già sotto di due gol, con l’attenuante di una rete annullata a Menti per dubbio fuorigioco. I 50 mila che gremivano gli spalti videro (e ricordarono sempre) l’imprendibile Stanley Matthews umiliare il povero terzino Eliani, mentre i vari Mortensen, Wright e Lawton sembravano marziani. 

Quel giorno l’Inghilterra sembrò ancora irraggiungibile, ma era un complesso tutto italiano. Tanto è vero che, soltanto due anni dopo, scesi per la prima volta nell’arena del mondiale, i bianchi rimediarono una magra epocale, perdendo contro gli Stati Uniti e tornando subito a casa. E nel 1953 e 1954 conobbero la micidiale efficienza dell’Ungheria di Puskas, che stravinse 6-3 a Wembley e 7-1 a Budapest.

L’Italia dovette aspettare ancora a lungo, fino all’anno di grazia 1973: il 14 giugno, proprio al Comunale di Torino in cui era maturato il disastro del 1948, la Nazionale di Valcareggi ruppe l’incantesimo, con un 2-0 firmato da Anastasi e Capello. E cinque mesi dopo, nello stesso 14 novembre che ricordava la lontana sconfitta di Highbury, gli azzurri vinsero per la prima volta in terra inglese, violando Wembley. La partita, preceduta da sgradevoli ironie a mezzo stampa sui “camerieri” italiani, fu una sofferenza. L’Inghilterra si riversò all’attacco dall’inizio, Zoff oppose una prestazione leggendaria. A quattro minuti dalla fine Giorgio Chinaglia, che da figlio di emigrati in terra britannica il cameriere lo aveva fatto davvero, scavallò sulla destra e mise dentro un pallone forte, che il portiere Shilton ribatté a mano aperte. Entrò sotto misura Capello e la vittoria fu servita.

12 febbraio 1997, Gianfranco Zola fa piangere gli inglesi e l’Italia torna ad espugnare Wembley

Da allora, il complesso italiano è del tutto svanito: negli anni successivi, l’Italia ha eliminato l’Inghilterra nella corsa ai mondiali del 1978; l’ha battuta negli europei del 1980 e nella finale di consolazione di Italia 90; poi è tornata a espugnare Wembley nel 1997 con un gol di Zola. Nel nuovo millennio, altri due dispiaceri per gli ex maestri: la sconfitta ai rigori nei quarti di Euro 2012 e quella nel girone dei mondiali del 2014, unico squillo azzurro in un torneo deludente. Un rosario di successi a cui Mancini e i suoi domenica cercheranno di aggiungere la perla più preziosa. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Marco Filacchione, romano, ha esplorato ogni periodicità del giornalismo scritto, lavorando per mensili, settimanali, quotidiani e agenzie di stampa. Ha cominciato negli anni Ottanta con “Il Messaggero”, poi ha seguito da inviato per anni Giro d’Italia, Tour de France e classiche del Nord per il mensile “Bicisport”. In seguito si è occupato di calcio con il mensile “Newsport” e ha fatto parte della redazione del “Corriere dello Sport”, di cui è tutt'ora collaboratore. È autore di una decina di volumi di carattere sportivo.