Entrati nell’87 i Verdi in Parlamento, Massimo, che pure rifuggiva dal “basismo” di quelli che definiva “bru bru”, continuava a sostenere le lotte sul territorio. Nel 1988 con la riviera Adriatica invasa da mucillaggini, ne portammo una piccola autobotte di notte attraverso gli Appennini fino a piazza Montecitorio, dove Scalia ci fece entrare e scaricare le mucillaggini in una piscina  gonfiabile. I Verdi in Parlamento erano rispettati e ascoltati. Purtroppo la pulizia etnica di Grazia Francescato e Alfonso Pecoraro Scanio, che non ricandidò nel 2001 il gruppo dirigente dei Verdi, affrettò la loro decadenza


◆ Il ricordo di PAOLO GALLETTI

Marcia antinucleare Casale Monferrato-Trino Vercellese, 11 maggio 1986

Sette anni compagni di banco in Parlamento dal 1994 al 2001. Prima dieci anni di Liste Verdi e poi di Federazione dei Verdi. Dopo e fino a ieri, le battaglie per le rinnovabili, contro il nucleare e le scelte scellerate dell’Eni a Ravenna. Impossibile raccontare Massimo Scalia con una pretesa di totalità. Racconterò, dal mio parziale punto di vista e grazie a lunghi anni di condivisione di impegno politico, quello che oggi sale alla memoria.

Giustamente è stato ricordato che Scalia è firmatario, insieme ad Alex Langer, dell’appello per costituire le Liste Verdi in Italia. Ricordo la sua telefonata con cui mi chiedeva la firma. Era il 1984, appena usciti dagli anni di piombo, un sistema politico bloccato. Non si può immaginare la forza magmatica delle Liste Verdi che nascevano da lotte locali ma con un pensiero globale dirompente. “Agire localmente, pensare globalmente”. Tutte le espressioni dei movimenti vi facevano riferimento: dai primi agricoltori biologici agli antimilitaristi passando per le lotte antinucleari e contro il carbone.

In Romagna la lotta vincente contro la possibile centrale a carbone di Ravenna e contro inceneritori e pesticidi si coniugava con la nascita della Università Verde (Università Popolare di Romagna) e con la rivista “La Malalingua”. Per questo eravamo tra i primi verdi. Altro che radical chic. Peraltro il nostro primo contatto con i verdi di Berlino è avvenuto tramite un operaio delle fonderie del nostro gruppo che aveva un fratello, operaio pure lui, emigrato a Berlino.

Primavera 1987, la raccolta firme per i referendum contro l’energia atomica svolti l’8 novembre con l’80% di Sì

Alle riunioni partecipavano l’operaio ribelle del Petrolchimico di Ravenna Canellini, insieme con le mamme verdi di Bologna, gli agricoltori biodinamici, gli studenti impegnati per una scienza critica e cultori di Bateson come Paolo Tamburini. Ma anche gli scienziati come Aldo Sacchetti medico igienista, responsabile igiene pubblica della Regione Emilia-Romagna. Radicalmente diverso dall’attuale centralismo, dove ristretti gruppi di persone con accesso ai media fanno e disfano partiti. Questo magma vitale e ribollente si riuniva in assemblee interminabili dove la biodiversità non sempre trovava punti di convergenza. Scalia, insieme con Mattioli, rappresentava un punto di riferimento affidabile. Ricordo la battaglia per evitare che i radicali, entrati nelle Liste Verdi ed esperti di manipolazione assembleare, prendessero il sopravvento e snaturassero i Verdi nascenti.

Entrati nell’87 i Verdi in Parlamento, Scalia, che pure rifuggiva dal “basismo” di quelli che definiva “bru bru”, continuava a sostenere le lotte sul territorio. Nel 1988 con la riviera Adriatica invasa da mucillaggini, ne portammo una piccola autobotte di notte attraverso gli Appennini fino a piazza Montecitorio, dove Scalia ci fece entrare e scaricare le mucillaggini in una piscina  gonfiabile. Prima pagina del “Corriere della Sera”. Poi, con l’esaurimento del Partito Radicale e di Democrazia Proletaria, le Liste Verdi si fusero con un ceto politico in ricollocazione. Omologazione e politicismo, insieme con un sistema elettorale maggioritario, cambiarono la natura del soggetto. Obbligato di fatto ad alleanze elettorali diventava una occasione di rapide carriere a prescindere dalla preparazione culturale e dall’impegno nelle lotte. Ma l’autorevolezza di persone come Scalia, Mattioli, Paissan, Gardiol e un radicamento territoriale garantivano un milione di voti necessari per vincere nel maggioritario.

Massimo Scalia nella Sala Anziani di Palazzo d’Accursio a Bologna in una sua lezione alla Scuola di Ecopolitica; al suo fianco Paolo Galletti (foto di Luca Saraz Budini, qui e sotto il titolo)

Nel 1994, dopo 4 anni di consigliere regionale dei Verdi in Emilia Romagna, entro alla Camera dei Deputati eletto con più voti della somma dei voti ai partiti che mi candidavano, nel collegio della Bolognina. La pattuglia verde finiva nel calderone dei progressisti con un nostro tentativo di contaminazione solo parzialmente riuscito. Meglio il nostro apporto programmatico al programma dell’Ulivo del 1996. Facemmo togliere dal programma comune sia la variante di valico che la Tav. Ricordo Massimo che mi aizzava in aula quando intervenivo contro la Tav. Uno dei momenti belli: mettere sotto il nostro governo, che non voleva finanziare la  legge sulla mobilità ciclistica, con l’aiuto di parte dei voti dei leghisti.

I Verdi in Parlamento erano rispettati e ascoltati. Quando i fascisti, che oggi ricoprono cariche istituzionali, aggredirono fisicamente Mauro Paissan, lo scortammo subito in giro per il Parlamento. Purtroppo la pulizia etnica di Grazia Francescato e Alfonso Pecoraro Scanio, che non ricandidò nel 2001 il gruppo dirigente dei Verdi, affrettò la loro decadenza. E qui rimprovero a loro, come feci allora, non aver fatto la battaglia interna, che avremmo nel tempo potuto vincere, ma di essersi dispersi ascoltando sirene effimere come Veltroni o Vendola.

Con Scalia ho discusso della necessità di una autonomia della cultura politica verde. Purtroppo invece le vecchie e superate narrazioni hanno catturato e depotenziato il messaggio potenzialmente universale dell’ecologismo politico, rinchiudendolo in vecchi recinti. Con Massimo ci siamo sentiti fino a ieri. Per le lotte contro Eni a Ravenna e il suo deposito Co2. E per una sua lezione alla scuola di Eco-politica, nella sala Anziani di Palazzo d’Accursio a Bologna. Vorrei ricordarlo cosi mentre ci trasmette un poco di “eco sofia”. L’ho scritto apposta così, aspettando la sua inevitabile battuta salace. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Fondatore delle Università Verdi e dei Verdi Italiani. Attivista ecologista fin dai primi anni 80, contro la centrale a carbone che si voleva costruire a Ravenna, per le energie rinnovabili, per l’agricoltura biologica promotore del referendum contro i pesticidi, per la difesa del mare adriatico contro gli allevamenti industriali. Consigliere regionale dei Verdi in Emilia Romagna, dal 1990 al 1994. Deputato dei Verdi, dal 1994 al 2001, promotore della prima legge per la mobilità ciclistica, e di norme per le mense biologiche nelle scuole, contro l’inquinamento acustico, per sviluppare la mobilità urbana su ferro. Scrive su riviste e blog su temi ecologisti. Fa parte del direttivo regionale di Aiab (Associazione Italiana Agricoltura Biologica). Co-portavoce della Federazione dei Verdi-Europa Verde Emilia Romagna. Componente del Consiglio Federale della Federazione dei Verdi Italiani