Anziché i 75 anni della promulgazione della Costituzione repubblicana avvenuta il 27 dicembre 1947, gli eredi politici di Giorgio Almirante — repubblichino, “cacciatore” di partigiani e segretario di redazione della rivista ufficiale dell’antisemitismo fascista “Difesa della Razza” — hanno voluto celebrare i 76 anni del Movimento sociale italiano, fondato nel 1946 dai fascisti che avevano militato a Salò. Lo ha voluto fare espressamente la sottosegretaria alla Difesa Isabella Rauti (depositaria della Fiamma e figlia del fondatore dell’organizzazione eversiva e stragista “Ordine Nuovo” , sciolta nel 1973 per ricostituzione del Partito fascista). Soprattutto, ha ritenuto di doverlo fare il presidente del Senato Ignazio La Russa (seconda carica dello Stato nato dalla Resistenza alla dittatura). Celebrazioni che hanno suscitato indignazione nella coscienza democratica e antifascista del Paese, ma la premier ha inteso glissare sul mantra dell’anima più eversiva del neofascismo italiano: per Pino Rauti (una delle “stelle polari” di Giorgia Meloni, come lei scrive nella sua autobiografia), «è un giacimento di memoria a cui si può ancora attingere»

Riprendiamo e pubblichiamo integralmente questo articolo (da “Bókertov 24” del 27 dicembre 2022 – edito dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Ucei) che la direzione di “Italia Libera” condivide e sottoscrive in toto
SETTANTACINQUE ANNI FA veniva promulgata la Costituzione repubblicana. Davanti ai padri costituenti, scrive la presidente Ucei Noemi Di Segni in un intervento che appare sulla prima pagina di “Repubblica”, la sfida di elaborare «un articolato impianto che potesse restituire all’Italia dignità di nazione e di popolo». Temi sviluppati in una riflessione che abbraccia il significato di questa sfida «per il domani dei nostri figli e dell’Italia nel suo insieme». Un domani, si sottolinea, «che è impossibile scegliere e assicurare se non si fa chiarezza sul passato e sul significato che oggi continuano ad avere le norme nel loro insieme, sul concetto di memoria collettiva, sostanzialità dei diritti e principio di legalità». In questo senso, prosegue Di Segni, «la condanna delle leggi razziali come male assoluto che abbiamo ascoltato in questi giorni con grande attenzione non può essere selettiva e avulsa dalla considerazione di ciò che il regime fascista ha compiuto nell’intero ventennio e dal primo giorno in cui gli furono affidati i ‘pieni poteri’». La condanna che Di Segni si aspetta è pertanto «del fascismo nel suo insieme fino alla sua formale caduta, così come di chi ne ha cercato la disperata sopravvivenza: prima con la Repubblica di Salò, poi nelle nicchie dell’amnistia concessa nel ’46, che non ha solo impedito ai responsabili di crimini fascisti di non essere chiamati a processo, ma anche consentito ad autorevoli personaggi di primo piano del regime fascista di riciclarsi nel sistema democratico, raggiungendo in alcuni casi ruoli apicali di primissimo piano istituzionale». Un problema attuale, viene fatto capire, vista la persistenza di molti nell’esprimere «nostalgia e desiderio di ritorno» nei confronti di un regime che «ha devastato non solo dal ’38 in poi quell’1 per mille di cittadini ebrei, ma l’intero popolo italiano, con le stragi nazi-fasciste le cui tonnellate di fascicoli secretati, ancora oggi, dopo 75 anni, restano in attesa di risposte».

Un altro invece è l’anniversario celebrato ieri (26 dicembre, ndr) da Isabella Rauti, sottosegretario alla Difesa del governo Meloni: i 76 anni dalla costituzione del Movimento Sociale Italiano erede del partito fascista. «Onore ai fondatori e ai militanti missini», ha scritto su Twitter l’esponente dell’esecutivo. Aggiungendo anche che «le radici profonde non gelano». Il tweet ha suscitato molte reazioni indignate tra le forze di opposizione. «Non è la prima volta — riporta tra gli altri il “Corriere della Sera” — che la politica discute e polemizza sulle origini di Fratelli d’Italia. Liliana Segre, la senatrice a vita sopravvissuta ad Auschwitz, prima delle elezioni del 25 settembre aveva chiesto a Giorgia Meloni di togliere la fiamma dal simbolo, invocazione sostenuta anche dal Partito democratico. Ma la leader di Fdl ha sempre rivendicato la scelta».
Sul giornale “Domani” Davide Assael riflette sulle parole pronunciate da Giorgia Meloni durante l’accensione della Chanukkiah insieme alla Comunità ebraica di Roma, in particolare su quello che lo studioso definisce il tentativo di «assumere la ricorrenza ebraica come modello della battaglia identitaria che la destra occidentale sta combattendo». Al riguardo, scrive Assael, «è davvero sgradevole questo tentativo sempre più esplicito di strumentalizzare l’identità ebraica in chiave politica, per non dire biecamente elettorale, come potesse portare acqua al proprio mulino; ancor di più, spiace che nessuna delle grandi autorità ebraiche lì presenti abbia fatto notare che l’ebraismo è una religione (soit disant) fondata sull’ideale della libertà, e così storicamente assunta». Secondo Assael il discorso di Meloni nella seconda sera della festa ebraica della luce sarebbe stato «un Hillul Hashem, una profanazione del Nome».