Il leaderismo è dilagante. Tutto è delegato al segretario e a nulla serve l’ingenuo espediente del “correntismo” in organismi dove è scomparso il volontariato, la militanza, il dibattito interno, il coinvolgimento degli iscritti. Tutta colpa del mondo della comunicazione che in tanta confusione di ruoli, di luoghi (vedi l’importanza assunta dalla Europa), ha deciso che per semplificarsi la vita l’unica soluzione sia dare voce al segretario e basta. E pensare che la nostra Costituzione assegna ai partiti un ruolo fondamentale, quello di organizzare la vita della democrazia. Proprio loro, che sono privi di democrazia


◆ Il pensierino di GIANLUCA VERONESI

Roma, 8 settembre 2019. Giuseppe Conte e Luigi Di Maio alla Camera dei deputati

Menomale che questa volta non sarebbero stati ammessi veti da parte di nessuno! Così aveva sintetizzato Elena Ethel Schlein, detta Elly, dopo avere segnato un goal poi annullato. Si trattava di non escludere a priori nessuno dalla partecipazione al cosiddetto campo largo che, per ora, è più uno slargo, un campetto da calcio di periferia, inaridito e polveroso che nessuno innaffia e manutiene. Conte appare posseduto da ossessioni, sembra alimentarsi di odii. Egli mi stupisce sempre, forse perché è un politico fuori dall’ordinario, a causa anche dell’inedito percorso che gli ha riservato la sorte. Uno sconosciuto professore universitario venne testato e selezionato (da Di Maio) in una lista d’attesa per eventuali incarichi di tipo tecnico o ministeriale, giacché i sondaggi elettorali del Movimento 5 Stelle prevedevano un buon successo (che si dimostrerà addirittura clamoroso).

Il professore che in un batter di ciglia diventerà “l’avvocato degli Italiani”, anzi “l’avvocato del Popolo”, si trova a fare il Presidente del Consiglio senza avere mai non dico diretto ma neanche partecipato a qualche organismo di livello costituzionale. Dopo il trionfo dei Vaffa… la politica tradizionale si trova spiazzata di fronte a questo sconosciuto che va in giro sempre scortato – potremmo dire infermierizzato – da almeno uno dei due vicepresidenti. L’uomo lascia loro la scena e approfitta per imparare il mestiere ma usa però la sua scienza amministrativa e soprattutto penale per frenare le fughe in avanti dei due.

Roma, 20 agosto 2019. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte “licenzia” Matteo Salvini al Senato

Si impratichisce anche nell’arte della demagogia: per settimane, in attesa della “fiducia”, va in giro in taxi, circondato dalle scorte. Quando sventola la mano per fermare il mezzo, tre agenti di polizia, carabinieri e guardia di finanza alzano (di nascosto) la paletta. La prima volta che mostrò una forte personalità fu alla Camera, in occasione delle dimissioni del governo giallo-verde. Quando, con la mano sulla spalla, guardandolo negli occhi, con tono paternalista, disse a Salvini di considerarlo un simpatico e volenteroso dilettante allo sbaraglio.

Veniamo all’oggi, al diktat: o lui o io, riguardo a Renzi. Quel Renzi che prima seppe (unico a crederci) impedire le elezioni anticipate e rendere possibile la nascita del secondo governo Conte, quello giallo-rosso. E che diede una grossa mano, non molto tempo dopo, a farlo cadere. Conte sostiene che l’avversione verso il fiorentino dipende solo dalla sua inaffidabilità ma io non ci credo. I politici sono abituati a fingere commozioni che non sentono, a mostrare indignazioni che non provano ma sono ormai indifferenti ad ogni insulto, cattiveria, aggressività. Li considerano imprevisti del mestiere. “Giuseppi” invece quando si fa il nome di Matteo freme, schiuma, si disunisce. È vero che nel momento in cui combatte una battaglia ormai mortale e decisiva con Grillo non può permettersi di apparire succube del Pd (Renzi sarebbe quindi solo un pretesto). Tuttavia credo che i due ormai si detestino per qualche scorrettezza imperdonabile che mai sapremo.

Roma, 17 luglio 2024. Matteo Renzi e Elly Schlein dopo il passaggio “avvelenato” del leader di Italia Viva per il gol in fuorigioco messo in porta dalla segretaria Pd (foto di (Cecilia Fabiano/LaPresse)

Questa lunga premessa per spiegarvi che cosa, tra i tanti difetti dei partiti, ritengo il peggiore: il leaderismo dilagante. Ormai tutto è delegato al segretario e a nulla serve l’ingenuo espediente del “correntismo”. In organismi dove è scomparso il volontariato, la militanza, il dibattito interno, il coinvolgimento degli iscritti. Tutto ciò è innanzitutto dovuto ad una scelta del mondo della comunicazione che in tanta confusione di ruoli, di luoghi (vedi l’importanza assunta dalla Europa), ha deciso che per semplificarsi la vita l’unica soluzione sia dare voce al segretario e basta.

La nostra costituzione assegna ai partiti un ruolo fondamentale, quello di organizzare la vita della democrazia. Proprio loro, che sono privi di democrazia. Per questo trovo inspiegabile perché un segretario/presidente di partito possa impedire l’evolversi di un progetto politico (a prescindere se giusto o sbagliato che sia) senza un mandato datogli dalla sua base. Loro sostenitori della democrazia diretta digitale. La vecchia, cara Dc avrebbe convocato il congresso. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Si laurea a Torino in Scienze Politiche e nel ’74 è assunto alla Programmazione Economica della neonata Regione Piemonte. Eletto consigliere comunale di Alessandria diventa assessore alla Cultura e, per una breve parentesi, anche sindaco. Nel 1988 entra in Rai dove negli anni ricopre vari incarichi: responsabile delle Pubbliche relazioni, direttore delle Relazioni esterne, presidente di Serra Creativa, amministratore delegato di RaiSat (società che forniva a Sky sei canali) infine responsabile della Promozione e sviluppo. È stato a lungo membro dell’Istituto di autodisciplina della pubblicità.