Certe volte ci troviamo a pagare balzelli che non sono imposti dallo Stato, ma dal privato che così si fa pagare un disturbo o un presunto servizio. Balzelli che sono il frutto di consuetudini nate peraltro per motivi diversi dal significato che gli si vuole dare adesso. Ma il “coperto” al ristorante perché si chiama così? E come è nata questa voce “aggiuntiva” al pasto? E quando l’idraulico o il tecnico della televisione si fa pagare il cosiddetto “diritto di chiamata” , ha ragione o deve rispettare dei limiti di legge? Ecco una piccola guida – con il sorriso – sui balzelli nascosti


◆ L’articolo di ARTURO GUASTELLA

Mettiamo che il vostro televisore (costo meno di 150 euro) — che da quattro o cinque anni ha fatto per intero il suo dovere — decida all’improvviso di sentirsi invecchiato e di avere quindi il sacrosanto diritto di riposarsi. Per questo si spegne nel bel mezzo della partita della vostra squadra del cuore, o, ancora più grave, per chi ama il tennis, durante le fasi finali di Wimbledon, lasciandovi ammutolito a fissare lo schermo vuoto, mettendovi addosso la frenesia di correre subito ai ripari. Febbrile consultazione (via internet, ovviamente), dei centri di assistenza per quella marca di televisore, e l’assicurazione che al più presto vi manderanno a casa un tecnico. E, infatti, di primo pomeriggio, mentre ancora state lottando con la digestione della peperonata, arriva il tecnico, con una borsetta elegante che pare quella di un medico, cui, però, basta un’occhiata, dopo aver tolto quattro viti del pannello posteriore, per dire che la prognosi è infausta. Lo schermo a cristalli liquidi è andato. E che la sua eventuale sostituzione supera i duecento euro suggerendovi, quindi, di comprare un televisore nuovo. Dandovi, magari, un’indicazione sulla marca e sul modello da comprare. A questo punto, scarabocchia una ricevuta e vi chiede 45 euro, per il “diritto di chiamata”, mentre il consiglio sul nuovo modello, bontà sua, è del tutto gratuito. A questo punto, anche voi avete il “diritto di risposta”, chiedendo al vostro interlocutore se è iscritto all’albo speciale dei tecnici elettronici della locale Camera di Commercio e se la cifra richiesta è quella stabilita dalla stessa per le tariffe professionali di questo tipo di assistenza, chiedendogli, magari, di esibire un documento che attesti la sua iscrizione all’albo. Può succedere così — ed è successo — che possiate ottenere uno sconto di dieci e perfino di quindici euro. 

In attesa di comprare un nuovo televisore, con gli euro risparmiati, decidete, magari la stessa sera, di offrire una pizza ai vostri cari, in quel nuovo ristorante che hanno aperto all’angolo. Il profumo del forno a legna è gradevole e vi congratulate per la vostra scelta. Solo che alla fine del pasto (tovagliette di carta, usa e getta) vi accorgete che il ristoratore ha aggiunto, al costo delle pizze, ben 2 euro e 50 a persona, per il cosiddetto coperto. Per l’usura, cioè, dei piatti e dei bicchieri. Sembrandomi, dopo aver pagato il conto, quanto mai opportuno quel “taciturnitas stulto homine pro sapientia est” del mimografo latino Sirius Publilius, e, che, nei fatti, vuol dire che “lo stare zitti è la saggezza dello sciocco”, tanto per far conversazione, ricordo al padrone della pizzeria, che questo di caricare il conto di un ennesimo balzello, oltre ad essere un’usanza solo italiana, che i turisti stranieri ben difficilmente comprendono, è una pratica antica, che risale addirittura al nostro medioevo. Solo che allora, essa, questa usanza, aveva ragion d’essere. In quanto gli avventori dell’osteria, della locanda o della trattoria (fate voi) solevano portarsi il cibo da casa, e l’oste o il locandiere, faceva pagare loro un piccolo contributo per l’uso dei piatti, dei bicchieri o, eventualmente, delle brocche per il vino. Succo di Dioniso che sempre gli avventori (i turisti) solevano anch’esso portarsi insieme al cibo. 

Forse senza volerlo, faccio, poi, notare allo stralunato ristoratore (intanto, il dialogo sembra aver interessato più di un commensale), che, in buona sostanza, la sua categoria aveva sostanziato di contenuti economici, quello che i linguisti chiamano enantiosemia”, il cambio di significato di una parola (ad esempio “feriale”, che deriva dal latino “feriae”, e che significavano giorni di riposo, festivi dunque e che ora, viceversa, significa giorno lavorativo), così quel medievale contributo per l’usura e la messa a disposizione delle posate era ora diventata un’appendice economica al conto complessivo. Che, invece, non avrebbe avuto, alcuna ragione d’essere. Se poi chiedi al ristoratore, il perché di quel nome, “coperto”, che nulla ha a che vedere, neppure linguisticamente, con questo ennesimo balzello, egli, il trattore, cerca di abbozzare qualche spiegazione, farfugliando, a mezza voce, come esso contribuisca a pagare le suppellettili, le tasse e, di questi tempi travagliati, anche a mantenere l’igiene nel locale. 

Finché, pietoso, non interviene un signore dalla bella barba brizzolata, alla Sean Connery, facendogli notare che, come prima raccontato dal vostro dotto cronista, il termine “coperto”, stava a significare che gli osti medievali, offrivano agli avventori un posto, una tavola al coperto, per non farli mangiare fuori all’addiaccio. Poi, sempre l’emulo del grande attore scozzese, racconta, a sua volta, come in certi ristoranti italiani, il costo del singolo coperto può anche sfiorare i dieci euro. Però, gli ribatto a mia volta, nei ristoranti inglesi c’è anche l’obbligo della mancia. “Che, però — specifica — vanno ai camerieri, per far loro arrotondare lo stipendio, mentre nei ristoranti italiani è il gestore che incassa tutto…”. Nel frattempo, richiamato dalla discussione, fanno capolino dalla cucina il cuoco e il pizzaiolo che, sorprendendoci tutti, se ne escono con questa frase del latino Petronio: “non bene olere qui in culina habitant”. Come dire che non hanno un buon odore coloro che abitano in cucina. Vuoi vedere che il “coperto” serve anche a pagare deodoranti e profumi ai cuochi e ai camerieri che transitano per la cucina? © RIPRODUZIONE RISERVATA

Giornalista dal 1971. Ha alternato la sua carriera di biochimico con quella della scrittura. Ha diretto per 14 anni “Videolevante”, una televisione pugliese. Ha tenuto corrispondenze dall’Italia e dall’estero per “Il Messaggero”, “Corriere della Sera”, “Quotidiano”, “La Gazzetta del Mezzogiorno” per la quale è editorialista. Con la casa editrice Scorpione, ha pubblicato “Fatti Così” e, con i Libri di Icaro, “Taranto - tra pistole e ciminiere, storia di una saga criminale”, scritto a due mani con il Procuratore Generale della Corte d’Assise di Taranto, Nicolangelo Ghizzardi. Per i “Quaderni” del Circolo Rosselli, ha pubblicato, con Vittorio Emiliani, Piergiovanni Guzzo e Roberto Conforti, “Dossier Archeologia” e, per il Touring club italiano, i “Musei del Sud”.