Il merito? Se ne parla tanto, tranne quando serve. Partendo dall’esempio di Taranto, città drammaticamente bisognosa di politici che ne comprendano l’emergenza ambientale e occupazionale, quando c’è da assegnare una carica operativa – come un assessorato – ecco emergere enunciazioni di ben altro significato che il merito. “In quota a” e come “espressione di” sono infatti i due chiavistelli per un posto in Giunta. Come in quel film girato a Napoli da Nanni Loy quarant’anni fa, ricordate?

Qui e sotto il titolo, due immagini della città vecchia di Taranto, al di là del ponte girevole; sullo sfondo le ciminiere dell’Ilva

◆ L’articolo di ARTURO GUASTELLA

Ci sono due termini, espressione di”, o, in “quota a” che, poi, più esattamente si stratta di allocuzioni che in linguistica costituiscono un atto di enunciazione con il quale il mittente si rivolge al destinatario, ma che nella politica municipale di Taranto (ma anche di molte altre realtà municipali italiane) hanno, da qualche tempo, assunto un significato misterioso, quasi una forma escatologica di destinazione delle poltrone assessorili. Si devono, infatti, scegliere i nuovi  assessori comunali? Ed allora ecco che ciascheduno viene catalogato e giustificato nella scelta come “espressione di”, “in quota a”. Del capo di una minuscola lista civica, di un singolo consigliere comunale, di una lista “per” e di un’altra “con” e ciò diventa sufficiente per assegnargli una delicatissima poltrona in Giunta e un emolumento che con i nuovi disposti legislativi, supera i quattro mila euro al mese. 

Giancarlo Giannini nel film di Nanni Loy va a fare la spesa con l’agenda passepartout

Questa nuova accezione dei due termini, riesce a sorprendere anche chi, come me, ad esempio ha avuto da decenni una certa dimestichezza con le parole, cercando sempre di adoperarli a proposito e nel loro più congruo significato. Così, ero convinto che le varie “espressioni”, algebrica, matematica, genica, analitica, figurata o geografica, contenessero significati ben precisi, prima di vederle ridotti, le espressioni, al ruolo di maggiordomi di questo o di quell’altro politico, consigliere o capo corrente. E il pensiero va, prepotente, a quel bel film di Nanni Loy, “Mi manda Picone”, una pellicola del 1983, mi pare. Ma, forse, questo mio ricordo ha una qualche giustificazione subliminare (al limite della percezione cosciente, cioè), in quanto il protagonista del film di Loy era una operaio dell’Italsider (di Bagnoli, però), Pasquale Picone: licenziato dall’acciaieria, per protesta si era dato fuoco e, trasportato d’urgenza in ospedale, non vi era mai arrivato e del quale si era, poi, perduta ogni traccia. 

Aveva lasciato un taccuino, però, il nostro operaio mai defunto, nel quale aveva puntigliosamente annotato i tantissimi nomi di coloro che gli dovevano favori e quattrini (facendo, forse ipotizzare una sua qualche attività camorristica e ricattatoria), e della quale agenda era venuto in possesso, datogli dalla moglie (Lina Sastri), un suo compagno di lavoro, Salvatore Cannavacciuolo (Giancarlo Giannini). Questi si rese subito conto che avrebbe potuto sfruttare al meglio la preziosa eredità del caro estinto − forse era stato proprio un estintore a salvargli la pelle. Difatti, non essendovi certezza della sua dipartita, la sua presenza, minacciosa, era immanente fra i vicoli di Napoli, bastava presentarsi ad uno dei tanti nomi del taccuino e dirgli semplicemente “mi manda Picone” per ottenere favori e soldi. Quel mantra napoletano del “mi manda Picone”, inoltre, veniva poi offerto (dopo una rigorosa selezione e quattrini) a chi aveva bisogno, mettiamo di un posto di lavoro, di ottenere rapidamente documenti dal municipio, di poltrone al teatro, di una licenza edilizia, diventando, quella semplice allocuzione, una formidabile e ineludibile raccomandazione. 

Castel Sant’Angelo di Taranto al tramonto; alle sue spalle la sede del Municipio della città dei Due Mari

Ora, non  vi pare che quell’“espressione di” e in “quota a” assomiglino stranamente a quel mi manda Picone? Solo che i Pasquale Picone ora sono tanti, uno, forse, per ogni posto di assessore municipale. Sicuramente, per l’età non più verde, il vostro cronista è davvero datato e le sue convinzioni che ad occupare le poltrone di assessori nella Giunta Municipale di una città così difficile, complicata e bellissima come Taranto (ma anche di altre giunte municipali d’Italia), fossero il meglio dei cittadini e della politica locale, non sono più attuali. Ci piacerebbe, comunque, che nello scegliere un assessore, invece dell’“espressione di” e di in “quota a” si parlasse e si raccontasse delle competenze specifiche di questo o di quell’altro prescelto, dei vari presidenti delle municipalizzate, o dei massimi dirigenti di Municipio e Provincia. E mi piacerebbe anche che qualcuno dei neo assessori (molti dei quali sicuramente meritevoli dell’incarico), mandassero una buona volta al diavolo il loro vero o presunto Pasquale Picone. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Giornalista dal 1971. Ha alternato la sua carriera di biochimico con quella della scrittura. Ha diretto per 14 anni “Videolevante”, una televisione pugliese. Ha tenuto corrispondenze dall’Italia e dall’estero per “Il Messaggero”, “Corriere della Sera”, “Quotidiano”, “La Gazzetta del Mezzogiorno” per la quale è editorialista. Con la casa editrice Scorpione, ha pubblicato “Fatti Così” e, con i Libri di Icaro, “Taranto - tra pistole e ciminiere, storia di una saga criminale”, scritto a due mani con il Procuratore Generale della Corte d’Assise di Taranto, Nicolangelo Ghizzardi. Per i “Quaderni” del Circolo Rosselli, ha pubblicato, con Vittorio Emiliani, Piergiovanni Guzzo e Roberto Conforti, “Dossier Archeologia” e, per il Touring club italiano, i “Musei del Sud”.