Riparlare di energia atomica nonostante i problemi che ancora ci procura il vecchio nucleare di Felice Ippolito, significa non avere il senso della storia, non voler riflettere sulle scelte sbagliate pagate con un prezzo molto salato


◆ Il corsivetto di VITTORIO EMILIANI

Ieri sera ho seguito su La7 il disinibito Carlo Calenda sostenere che per l’energia bisogna puntare di nuovo sul nucleare nonostante i problemi che ancora ci procura il vecchio nucleare di Felice Ippolito. Significa non avere il senso della storia, non voler riflettere sulle scelte sbagliate del passato. Invece dobbiamo riflettere, ragionare sugli errori commessi, sui dirizzoni presi, trovare una via delle riforme che sia praticabile, che offra un futuro ai giovani, concretamente. Altrimenti ricadremo negli errori già commessi e per i quali abbiamo già pagato un prezzo molto salato. Ma che evidentemente non ci è bastato. Non abbiamo mai pianificato ancora in Italia uno sviluppo serio dell’energia solare pur essendo fra i Paesi più soleggiati specie nel nostro Mezzogiorno e nelle Isole. 

Tornare a ragionare di nucleare in questo modo è chiaramente soltanto una perdita di tempo dopo quella patita per smantellare Trino Vercellese, Caorso o Latina. Cerchiamo di essere utopici e insieme pragmaticamente realisti. Formuliamo piani attuabili di sviluppo energetico. Attuabili insisto. Vediamo di credere con più convinzione nel sole e nel vento che non ci costano nulla invece di inseguire soluzioni che si sono già rivelate ingannevoli  e quindi fallaci. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Direttore onorario - Ha cominciato a 21 anni a Comunità, poi all'Espresso da Milano, redattore e quindi inviato del Giorno con Italo Pietra dal 1961 al 1972. Dal 1974 inviato del Messaggero che ha poi diretto per sette anni (1980-87), deputato progressista nel '94, presidente della Fondazione Rossini e membro del CdA concerti di Santa Cecilia. Consigliere della RAI dal 1998 al 2002. Autore di una trentina di libri fra cui "Roma capitale Malamata", il Mulino.