L’Europa unita deve restare un luogo di promozione del welfare universale, non penalizzato dall’austerità. Un sistema nel quale la conoscenza e i dati siano accessibili e a disposizione delle comunità. Dove la trasformazione ecologica sia accelerata nell’interesse prima di tutto dei più vulnerabili, per realizzare un modo più giusto di vita e di lavoro e dove le politiche pubbliche e di governo siano democratizzati. Un’Europa che prenda consapevolezza del proprio fondamentale ruolo nei processi migratori e che agisca come costruttore di cooperazione e pace
◆ L’intervento di ALESSIO LATTUCA
► A poco a poco quasi senza accorgersene (come su un piano inclinato), siamo entrati in un ambito delicato dell’economia che riguarda la solidarietà, i diritti e in particolare le disuguaglianze. Elementi che inducono a mettere in rilievo come sia arrivato il momento di offrire un contributo informativo e di confronto, e di mettere a fuoco un metro per giudicare programmi, partiti, candidature ed eletti al fine di disegnare un’Europa di giustizia sociale e ambientale. Perché l’Europa sia un luogo di promozione del welfare universale, non penalizzato dall’austerità. Un sistema nel quale la conoscenza e i dati siano accessibili e a disposizione delle comunità. Dove la trasformazione ecologica sia accelerata nell’interesse prima di tutto dei più vulnerabili, per realizzare un modo più giusto di vita e di lavoro e dove le politiche pubbliche e di governo siano democratizzati. Un’Europa che prenda consapevolezza del proprio, fondamentale, ruolo nei processi migratori e che agisca come costruttore di cooperazione e pace.
D’altronde, non va costruita una bussola per il monitoraggio civico delle azioni che l’Unione realizzerà nella prossima legislatura, posto che la politica debba ritrovare il coraggio di restituire centralità ai contenuti e parlare di cose concrete, non solo per essere più credibile ma per recuperare lo strappo tra politica e società e far modo alle persone di ritrovare l’utilità di partecipare al voto. In definitiva, occorre fare di tutto perché l’Europa cambi rotta, per evitare derive autoritarie, mostrando con proposte concrete come fare, sfidando i candidati a farle proprie nel Parlamento europeo, e a portarle lì come delle bandiere. Parallelamente emerge la necessità e, perfino, la sfida per valutare se non sia ora di pensare un’idea diversa d’Europa che coltivi e promuova giustizia sociale e ambientale ma anche la pace in un contesto di forti tensioni geopolitiche e di pericoli per la convivenza pacifica tra i popoli europei e mediterranei. Al riguardo è necessario tenere d’occhio e osservare se la coalizione che ha governato gli ultimi anni, pur avendo compiuto passi in avanti sul piano dei contenuti sociali, resta ancora profondamente segnata dalla cultura neoliberista, con una pericolosa tendenza verso quella conservatrice-autoritaria in forte ascesa.
Al centro di queste questioni stanno alcuni elementi di fondo che meritano di essere considerati: a partire da come eliminare o quantomeno ridurre le disparità generate dal neoliberismo indotto dagli “animals spirits” alimentati da un turbocapitalismo finanziario globale rivelatosi distruttivo, che non accetta alcun tipo di regola o correttivo. Esso è infatti responsabile delle conseguenti distorsioni del mercato che hanno prodotto uno sterminato arricchimento di pochi a discapito di molti. Tutti temi che ingigantiscono un problema ad oggi irrisolto, e che rendono urgente valorizzare le potenzialità di sviluppo dell’economia di impatto per ribaltare l’approccio egoistico con la società e l’ambiente, in modo da essere più “generativi”. Con un precedente importante, teorizzato in Italia alla fine del XVII secolo: l’economia civile. La politica, aldilà dei ruoli e delle responsabilità specifiche, ha il dovere di realizzare le proprie idee ma al tempo stesso le deve contemperare con quelle degli altri nell’interesse del bene comune. Al riguardo occorrono azioni che favoriscano le aziende affinché non interpretino come un fardello, un vincolo, un peso le norme dell’Unione Europea, e individuare modalità di produzione della ricchezza che generino valore: ambientale, energetico, sociale, di genere, di governance, di diritti. In altre parole, occorre creare un argine allo svuotamento delle democrazie liberali e dei ceti medi produttivi che sono cuore e motore della struttura democratica.
È il contrario di quanto recentemente è accaduto in Europa, la cui strategia di transizione ambientale ed energetica sembra essere entrata in una fase di impasse, a causa delle ondate neo conservatrici in atto, che stanno generando la prima vera contestazione alla finanza Esg (attenta ai fattori di tipo ambientale, sociale e di governo societari) e ancora più all’ecosistema Impact che serve ad allineare domanda e offerta di investimenti sociali. E tutto questo nonostante l’Europa stia provando a fare della sostenibilità un fattore competitivo. Un passaggio che non va vissuto come una compliance obbligatoria ma come una grande opportunità da prospettare e vendere anche sui mercati internazionali. © RIPRODUZIONE RISERVATA