Nei difficili tempi che hanno visto, dopo le misure per il Covid, ritornare alla normalità le sale cinematografiche – senza riprendersi in pieno spettatori e incassi – tutto si poteva pensare tranne che approdasse nei circuiti un film che – ai tempi d’oro – non ce l’aveva fatta ad approdare sul grande schermo se non per una fugace “anteprima”. Ecco la storia di un piccolo mistero, il film nato dentro a un altro film (“La Passione di Cristo” di Mel Gibson) fatto di interviste attorno alla “Grande domanda”
L’articolo di MAURIZIO MENICUCCI

CHI È DIO? Come te lo immagini? Donna, o Uomo? Prima o poi ce lo chiediamo tutti, o lo chiediamo agli altri, e in questo caso l’interesse dipende anche da chi sono, gli altri. Se lo chiedi a ChatGpt, ad esempio, la risposta sarà anche profonda, ma promette una noia mortale, e forse ‘lei’ (già, Donna, o Uomo?) conta proprio su quello per emanciparsi e andarsene per la sua strada. Ragion per cui, farci un film, anche avendo a disposizione un certo numero di AI colte, ma spiritose, sembra un’impresa disperata, a meno che a produrla non sia un’altra chatbot, per motivi chiaramente ideologici. Ma se invece quelle stesse domande le rivolgi a un centurione romano che si riposa dopo aver frustato a sangue l’Uomo del Golgota, o a una Maria Maddalena che somiglia tanto a una ventenne Monica Bellucci, in tal caso, puoi anche aver cominciato a girare per scherzo, o noia, o spirito di contraddizione, ma è scontato che, disponendo, beninteso, di una bella dose di coraggio e fiducia nei tuoi mezzi, ti venga la diabolica tentazione di costruire sul serio un film con le mille risposte in cui si può declinare la ‘Grande Questione’.
Così, appunto, era nato, nel 2004, ‘The Big Question’, folle e riuscitissimo film-scommessa, protagonista suo malgrado, come qui raccontiamo, di uno strano caso di ‘prima visione molto differita’, che Francesco Cabras e Alberto Molinari avevano realizzato nel backstage della ‘Passione di Cristo”, in una Gerusalemme ricostruita senza eccessiva fatica tra Roma e le scabre gravine del Materano. Per chi non ricordasse, l’opera di Mel Gibson, stroncata, per lo più, dalla critica, ma di lauto botteghino, era passata, diciamo così, alla Storia del Cinema per le accuse di antisemitismo e la brutalità anatomica delle scene. E naturalmente, così come nella ‘Passione’, anche il mood imposto da Gibson a tutta la brigata prima e dopo le riprese doveva essere lo stesso di cupa penitenza che ogni buon americano (anche se lui è australiano) dal passato ribaldo e alcolico pretende dagli altri peccatori.
Reclutati, dunque, come attori e incuriositi dall’atmosfera zelante che, per contratto o convinzione, tracima dal set alla realtà – a un certo punto, nel loro film, dice la sua un prete inquisitore, non si comprende se autentico, o troppo calato nella parte – Cabras & Molinari, non ci pensano due volte, e, tra una comparsata e l’altra, armati di camera e microfono, cominciano a braccare chiunque incrociano del cast, tra gli altri lo stesso Gibson, colto in vena inopinatamente autoironica sull’argomento. Registrano tutto, e alla fine, com’era facile prevedere, si ritrovano con trecento ore di girato. Una montagna, o meglio, una miniera: le interviste tutte diverse, sono un compendio di antropologia religiosa divertente e di rara efficacia. Probabilmente neppure loro hanno ben chiaro che farne, ma il percorso, anche se non certo in discesa, è già tracciato. Contro ogni pronostico, trovano il sostegno del padrone di casa, anche se a modo suo, visto che prima finanzia il film, poi, allarmato per i contenuti, ci ripensa, e finalmente lo libera, convinto dell’effettivo valore dell’opera non meno che dall’opportunità di apparire generoso con chi, Iddio, non lo immagina proprio come lui. E dal momento che Gibson sarà un reprobo, ma è anche uno che di cinema, buono e soprattutto cattivo, ne ha praticato, il fiuto gli dice giusto.
Lavoro di eccellente fotografia e sapiente montaggio, che lascia anche al paesaggio e ai corpi – magnifica la sequenza delle mani – il compito di raccontare, e talvolta tradire le parole, ‘ Big Question’ raccoglie subito i consensi dalla critica, la curiosità dal pubblico, l’interesse dai distributori. Partecipa a trenta festival, premiato a Tel Aviv e a Los Angeles, entra nei circuiti internazionali, nelle sale Usa viene distribuito da Andrew Herwitz, l’agente di Michael Moore.

Il 12 di aprile, la prima italiana al cine Barberini di Roma. Sì, avete capito bene, parliamo di qualche settimana fa, a diciannove anni di distanza dall’ultimo ciak. Prima, nulla, neanche una clip, nè in sala, nè in televisione, nonostante i commenti più che lusinghieri della critica italiana. Perché l’opera che non aveva dato fastidio, o non al punto da bloccarla, all’inventore del ‘sacro splatter’ e ai fondamentalisti & creazionisti assortiti della Alt-right, è stata accolta in patria dall’ostilità dei credenti, e dall’indifferenza degli addetti ai lavori, specie quelli ‘laici’ che hanno ancora meno voglia di accollarsi dibattiti sulla relatività del divino. Ora, finalmente, grazie a Thomas Torelli e Uam-Tv che l’hanno capita e adottata, dopo il tutto esaurito dell’esordio e della replica, il 26 aprile, sempre al Barberini, la ‘Grande Questione’ è stata proiettata a Roma, a Milano e in altre città italiane. Sarà banale, ma meglio tardi che mai. Per fortuna, è una ‘Domanda che non scade’, anche se resta la malinconia per il conformismo esibito una volta di più dalla cultura nazionale, che tra l’altro, visti i nuovi orientamenti politici, suggerisce di approfittare subito della finestra d’interesse per la pellicola, prima di nuovi, stavolta espliciti, ostracismi.
«Eppure – osserva Cabras – non si tratta assolutamente di un film religioso, ma di una sorta di commedia umana e laica su un tema che riguarda ognuno di noi». Se dovessi dare un seguito al tuo film, a chi vorresti domandare: “com’è il tuo Dio?”. «A filosofi, matematici, fisici. Stavolta, menti illuminate». E no, allora, scusate, dobbiamo proprio correggerci: è inevitabile che nel cast di “The Big Question n.2”, e in tutti quelli che probabilmente seguiranno, ci sarà anche lei: l’Intelligenza Artificiale. E, prima o poi, risponderà: “…È come me”. © RIPRODUZIONE RISERVATA