Oramai è più noto come termovalorizzatore che inceneritore, ma questo è. A Roma se ne parla da mesi e mesi ed è un argomento fortemente divisivo (soprattutto a sinistra). Il sindaco Gualtieri (Pd) lo ha indicato da tempo come l’unica soluzione possibile. La Commissione europea ha chiarito che l’impianto non può essere finanziato con i fondi del Pnrr, in quanto “arreca un danno significativo all’ambiente”. Eppure prima dell’inceneritore c’è una cosa che il Comune di Roma dovrebbe fare. Subito
L’analisi di GIANFRANCO AMENDOLA

BASTA CON QUESTA guerra di religione e con le strumentalizzazioni sul “termovalorizzatore” (inceneritore) di Roma. Qui non si tratta di una partita di calcio, si tratta del nostro benessere e della nostra salute. E basta con le bugie e le mezze verità a seconda che si sia favorevoli o contrari; così come è avvenuto quando, un mese fa, ne ha parlato il commissario Ue Virginijus Sinkevicius il quale ha solo sostanzialmente ribadito quello che la Ue dice da anni e cioè che «i processi di termovalorizzazione possono svolgere un ruolo nella transizione a un’economia circolare a condizione che la gerarchia dei rifiuti dell’Ue funga da principio guida e che le scelte fatte non ostacolino il raggiungimento di livelli più elevati di prevenzione, riutilizzo e riciclaggio» (Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, Com 2017 34 final, del 26 gennaio 2017).
Proprio per questo, la gerarchia comunitaria colloca prevenzione e riciclaggio ai primi due posti mentre la termovalorizzazione viene collocata al terzo posto (seguita solo dallo smaltimento in discarica o incenerimento senza recupero di energia): in quanto, pur svolgendo una funzione utile attraverso la produzione di energia, consuma risorse e provoca alterazione ambientale. Tanto è vero che già il 2 luglio 2021 il vicepresidente della Commissione ambiente del Parlamento Europeo, Valdis Dombrovskis, rispondendo ad una interrogazione dei Verdi italiani, concludeva che i fondi del Pnrr non sono disponibili per la termovalorizzazione (anche in cementifici e simili) in quanto si tratta di «un’attività economica che arreca un danno significativo all’ambiente». E parimenti, in tutti gli ultimi documenti comunitari si ribadisce che i termovalorizzatori-inceneritori vanno gradualmente chiusi o ridotti.

Insomma, per la Ue nessun divieto, ma si può ricorrere ai termovalorizzatori solo, come opzione residuale, per i rifiuti che non si possono evitare e non si possono riutilizzare o riciclare in base alle prime due opzioni. E allora vediamole queste prime due opzioni: la prima, a Roma del tutto ignorata, consiste nel prevenire la formazione di rifiuti, ad esempio intervenendo per incentivare tutti i residui che possono essere riutilizzati senza diventare un rifiuto; magari approfittando dei maggiori profitti economici regalati con i dehors. La seconda si basa sulla raccolta differenziata. E qui i dati romani traggono in inganno perché buona parte dei rifiuti raccolti in maniera differenziata (almeno il 40%) non sono, in realtà, riciclabili per la pessima qualità di questa raccolta (basta la vista dei cassonetti romani). Non a caso, del resto, le nuove regole Ue impongono di misurare i rifiuti oggetto di raccolta differenziata non all’atto della raccolta ma in quello della effettiva utilizzazione per riciclo o riutilizzo. Ma intanto, approfittando dell’uso fraudolento di Tmb (trattamento meccanico-biologico) e del codice Eer (Elenco europeo dei rifiuti) 19.12.12, spesso finiscono all’estero, in cementifici o, peggio, scompaiono illegalmente.
E allora, la soluzione qual è? Prenderne atto e mandare tutto nel futuro inceneritore-termovalorizzatore di Gualtieri o intervenire con decisione per migliorare la qualità della raccolta, sull’esempio di altre città che, con il porta a porta, arrivano addirittura al 90% di raccolta e riciclo veri? Accettare la prima opzione significa, in realtà, tornare alla “buca” di Malagrotta dove per anni abbiamo buttato di tutto e che molti romani cominciano addirittura a rimpiangere. Accettare la seconda significa adeguarsi all’Europa e, soprattutto, salvaguardare le nostre risorse e la nostra salute. Ma solo a quel punto si potrà valutare seriamente e serenamente l’eventuale opzione termovalorizzatore o altre alternative. © RIPRODUZIONE RISERVATA