«La città perfetta» l’aveva definita Pier Paolo Pasolini, la città dove «viverci è come vivere dentro una conchiglia». Quale dedica più bella? E ora il capoluogo pugliese ricambia con una sua, di dedica: una mostra di cinque artisti contemporanei per commemorare i cento anni dalla nascita del grande scrittore, poeta, regista, giornalista. Un intellettuale che ha onorato il coraggio dell’indignazione, a quella capacità di dire “no” che è appannaggio di pochi rispetto ai tanti cortigiani. La mostra è organizzata dal Crac, Centro di Ricerca Arte contemporanea della Fondazione Rocco Spani onlus. A Taranto, la città dell’acciaio, delle morti bianche, dello strazio ambientale, dove l’indignazione è accolta come un nobile gesto eroico
L’articolo di ANNALISA ADAMO
«IL RIFIUTO È sempre stato un gesto essenziale. I santi, gli eremiti, ma anche gli intellettuali. I pochi che hanno fatto la storia sono quelli che hanno detto di no, mica i cortigiani e gli assistenti dei cardinali. Il rifiuto per funzionare deve essere grande, non piccolo, totale, non su questo o quel punto, ‘assurdo’, non di buon senso». Con queste parole Pier Paolo Pasolini parlava del coraggio d’indignarsi nell’ultima intervista rilasciata a Furio Colombo sulle pagine del Corriere della Sera, concludendo con un profetico «siamo tutti in pericolo». Non faceva mistero di quella che era la sua indignazione. Di avere nostalgia della gente povera e vera che si batteva per abbattere quel padrone senza diventare quel padrone. Poiché erano esclusi da tutto, nessuno li aveva colonizzati.

Nella città dell’acciaio dove, malgrado tutte le morti bianche e la più grande distruzione ambientale della storia repubblicana, l’indignazione è sempre stata vista come un gesto estremamente eroico da ‘bravi ragazzi’, intellettualmente onesti, ma classificati “fuori dalla realtà”: non tanto e non solo dalla realtà di chi lotta per la sopravvivenza che quindi, anche a costo della salute della vita, della dignità, “deve” soggiacere alle regole imposte dai padroni dell’industria. Ma fuori, soprattutto, dalla realtà delle logiche del potere economico che governano tutte le cose del mondo. Fuori dalla ‘realpolitik’, fondata cioè sugli interessi del paese e sulla realtà interna o internazionale del momento e non su sentimenti, principi, idee o ideologie. Nella terra che ha accettato per tanto tempo il pensiero unico dell’ineludibile malvagità della realtà, diventando il simbolo tangibile di come un siffatto sistema possa divorare giustizia, dignità e bellezza, arriva nel centenario della nascita un ricordo sferzante e commovente a Pier Paolo Pasolini che dal canto suo, invece, fece del dissenso e dell’insubordinazione la cifra civile della sua forza di intellettuale scardinatore di sistemi fissi e pregiudizi.
«Molti non mi hanno mai perdonato — diceva — di scrivere tra di loro senza essere infeudato ad alcun potere né vincolato dalla legge della sopravvivenza. Il mio vero peccato è di aver esercitato il mestiere di giornalista da polemista e da poeta, nella più totale insubordinazione».
Intanto, la scoperta della borghesizzazione del sottoproletariato — in seguito al boom economico e all’affermarsi dei dis-valori del consumismo — distrugge, nel pensiero pasoliniano, l’utopia della rivoluzione sociale proveniente dal basso. Da quel momento Pasolini non avrebbe più parlato a nome dei sottoproletari contro i borghesi, ma a nome di se stesso contro l’imborghesimento generale. Semmai avesse assistito al capitolare della città “conchiglia” — così la definiva — nel buco nero delle polveri dell’acciaio, certamente avrebbe esortato alla lotta e al coraggio d’indignarsi per salvare la città, le persone e la bellezza della terra amata. Amata sin da subito, quando nel ‘51 sostò tra i due mari in occasione della sua partecipazione con il racconto “Terracina” al prestigioso Premio Taranto, presieduto da Giuseppe Ungaretti. Nel ’59 omaggiò questa terra scrivendo per la rivista “Successo” una serie di articoli intitolata “La lunga strada di sabbia” e descrivendo Taranto come «la città perfetta, dove viverci è come vivere in una conchiglia».
Di tutto questo narra la mostra curata da Cecilia Pavone, a Taranto fino al 30 gennaio, promossa da quella avanguardia ormai internazionale che è diventato il Crac Puglia (Centro di Ricerca Arte contemporanea), in collaborazione con numerose associazioni tra cui “Archita Festival del Teatro Antico”, “Polisviluppo Servizi Archeologici”, Taranto Grand Tour, Ante Litteram, Amica Sofia, Comitato Qualità della Vita, Unesco e Fai, solo per citarne alcune. La mostra che è stata inaugurata il 28 dicembre 2022, nel cuore antico dell’isola, e proseguirà sino al 30 gennaio 2023 riunisce opere di Fernando De Filippi, Giulio De Mitri, Gianluca Murasecchi, Pippo Patruno, Lino Sivilli che hanno declinato, attraverso linguaggi e pratiche differenti, l’opera “complessa” di Pasolini nel suo dialogo sincretico tra arte, letteratura e cinema.
“Tempo presente” è una mostra che celebra nella città postmoderna per eccellenza l’intellettuale che più di tutti ha profetizzato la crisi politica e la decadenza culturale che contrassegnano la postmodernità, che più di tutti ha pagato sulla propria pelle il “coraggio intellettuale della verità”. Anche in questa esposizione riecheggia l’invito del poeta corsaro alla rivoluzione.
«Continuate semplicemente a essere voi stessi: il che significa essere continuamente irriconoscibili. Dimenticare subito i grandi successi: e continuare imperterriti, ostinati, eternamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso; a scandalizzare; a bestemmiare persino».
Scrisse così nel discorso del ‘75 che avrebbe dovuto tenere al 36° congresso del Partito Radicale. Perché il coraggio d’indignarsi è il colore della tenerezza eroica di ogni stagione profondamente vissuta che porta sempre con sé i segni dell’irriducibilità alla convenienza e alla mediocrità. © RIPRODUZIONE RISERVATA