Oggi i rapporti con il Quirinale sono più filtrati, ma nel secolo scorso c’erano rapporti più confidenziali con i giornalisti più famosi e apprezzati. Vittorio Emiliani, che è stato direttore del “Messaggero” dal 1981 al 1987, quelli che sono stati gli anni di maggior splendore del primo quotidiano di Roma, ha incrociato due presidenti della Repubblica in carica (Sandro Pertini e Francesco Cossiga), ma naturalmente ha avuto modo di confrontarsi con altri futuri Presidenti. In questo suo “Amarcord” Emiliani racconta qualche piccolo segreto di quelli che erano, o sarebbero stati, inquilini al Quirinale
◆ Il corsivetto di VITTORIO EMILIANI
► Nella mia lunga vita politica e professionale ho avuto la possibilità di incontrare e di frequentare alcuni presidenti della Repubblica. Sandro Pertini per la verità lo conobbi che era ancora presidente della Camera. Venne a Voghera, dove abitavo, ad inaugurare un giardino pubblico per bambini ricavato da una antica “allea” dei Signori. Poi, quando dirigevo il Messaggero, se una garbata vignetta dei Passepartout gli piaceva, mi telefonava personalmente per chiedermi l’originale. Pertini mi invitava anche ai concerti che per Radio Rai un mio amico organizzava al Quirinale con importanti artisti come Lorin Maazel che era stato prima che direttore un virtuoso del violino ed aveva una moglie deliziosa, la quarta, che Pertini volle omaggiare.
Con Carlo Azeglio Ciampi il rapporto fu più formale e però cordiale, a lui devo la nomina a Benemerito della Cultura con relativa onorificenza. Con Francesco Cossiga il rapporto ebbe accenti drammatici nel senso che il Presidente era già oppresso dalla persecuzione che gli infliggeva Giulio Andreotti e sovente mi congedava abbracciandomi in lacrime additandomi ai presenti come un amico esemplare. Lo ricordo il giorno del commiato dopo l’incontro con la regina Elisabetta e col principe Filippo. Era devastato dalla vitiligine, pallido, stremato. Sarebbe diventato dopo il Picconatore. Con Oscar Luigi Scalfaro ebbi un rapporto più formale anche se cordiale. Così era l’uomo del resto.
Curiosamente il rapporto meno facile lo ebbi con Giorgio Napolitano il quale non apprezzava la linea politica del Messaggero e non lo nascondeva. Al contrario. Eravamo troppo spinti nel nostro laicismo, secondo lui. Troppo radicali probabilmente. Fatto sta che andò così.
Un altro ricordo successivo. Ero con Zaccaria nel Consiglio di amministrazione della Rai e Ciampi (se ben ricordo) voleva che gli italiani cantassero “Fratelli d’Italia” come Inno nazionale. Era incredibile che l’Italia non se ne fosse dato uno dopo il 1945. Faceva un gran freddo e gli ottoni della banda rischiavano di stonare vistosamente. Per il coro era stato allestito un palchetto riscaldato. Alla fine tutto andò per il meglio e si deve a Carlo Azeglio Ciampi tenente dell’Esercito di Liberazione se ora “Fratelli d’Italia” nella prima parte viene cantato anche per le partite di calcio internazionali. Fino a “l’Italia chiamò, sì!”. © RIPRODUZIONE RISERVATA