4 maggio 1976, prima pagina del numero 1 di El País

La nascita di “El País” accompagnò la Spagna uscita dal franchismo. Un quotidiano che diventò subito autorevole, in un Paese che scopriva l’allegra vitalità di chi sa che è finita la lunga stagione del buio. Vittorio Emiliani racconta la divertente (e divertita) trasferta a Madrid, da direttore del “Messaggero”, in un clima di contagiosa fiducia


◆ Il corsivetto di VITTORIO EMILIANI

Quando “El País” appena uscito dotando di una nuova voce la Spagna democratica del postfranchismo andai a Madrid per un servizio particolare: volevamo uscire per una data storica con un “Messaggero” ribattezzato “El Mensajero” con articoli del presidente Felipe Gonzalez, del Rettore dello storico Collegio di Spagna dove si laureavano soprattutto i più qualificati giuspubblicisti, los Bolognos. Come il presidente della Camera in quel frangente. A Roma presentammo (io ero il direttore del “Messaggero” e certo l’iniziativa ci dava prestigio) nella sede della Stampa Estera in via della Mercede il nostro lavoro e fu un cordialissimo successo. Per un certo periodo collaborai a “El País”

Nel periodo madrileno constatammo che i nostri orari di lavoro non andavano d’accordo con quelli dei colleghi spagnoli. Loro finivano tardi di lavorare e magari ci portavano a mangiare e a bere direttamente in un Tableao de Flamenco. Magari quello centralissimo dove si esibiva una grande danzatrice, Blanca d’O Rey, con un ritmo incalzante, fino allo stordimento. Ma nei bar in piedi della Calle Major c’era chi intonava con note subito altissime saetas trovando subito imitatori e antagonisti. I nostri colleghi madrileni si godevano una lunga siesta pomeridiana che il governo socialista cercava di ridurre. Con risultati inizialmente incerti. Noi eravamo come travolti da quello sconvolgimento di abitudini, lavorative e di tempo libero. 

A Madrid avevo conosciuto un torinese buon fotografo e cronista attivissimo, Josto Maffeo, che poi assunsi come corrispondente da Madrid, capitale alla quale ormai facevano riferimento, culturale anzitutto, i Paesi ispanici dell’America del Centro e del Sud. Garcia Marquez spopolava nelle librerie. Io avevo amato molto Juan Goytisolo che feci collaborare al “Messaggero” come il bravissimo giallista Vasquez Montalban. Dalla bella Ambasciata di Spagna a Monte Mario si gode forse la più affascinante veduta di Roma. Come mi mostrò il primo ambasciatore della nuova Spagna, il giurista Esteban. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Direttore onorario - Ha cominciato a 21 anni a Comunità, poi all'Espresso da Milano, redattore e quindi inviato del Giorno con Italo Pietra dal 1961 al 1972. Dal 1974 inviato del Messaggero che ha poi diretto per sette anni (1980-87), deputato progressista nel '94, presidente della Fondazione Rossini e membro del CdA concerti di Santa Cecilia. Consigliere della RAI dal 1998 al 2002. Autore di una trentina di libri fra cui "Roma capitale Malamata", il Mulino.