
Dai 18 milioni di italiani che al referendum sulla caccia del 1990 votarono per l’abrogazione (oltre il 92% dei voti validi, ma non fu raggiunto il quorum) ad oggi, ritorna in scena al Parlamento una politica anti-ambientalista anche nella gestione della fauna selvatica. Vengono ampliate le deroghe alla caccia, a fronte di un problema — quello dei cinghiali che sconfinano in città — che andrebbe affrontato in modo diverso. “Italia Libera” ha una proposta: si crei un Coordinamento a cui affidare la corretta gestione della fauna del quale facciano parte, accanto a rappresentanti delle associazioni in difesa dell’ambiente, anche (e soprattutto) i rappresentanti di organismi scientifici
L’articolo di FRANCESCO MEZZATESTA
SONO STATI 18 MILIONI gli italiani che, all’ultimo referendum del 1990 contro l’ingresso non autorizzato dei cacciatori sui terreni agricoli, votarono contro la caccia. Diciotto milioni di persone che pare il Governo non voglia tenere in considerazione con buona pace di coloro che vedevano nella Meloni una sorta di novità da sperimentare. E invece sulla conservazione della natura si ritorna indietro di brutto con l’emendamento dei parlamentari di Fratelli d’Italia alla legge di Bilancio dello Stato, con cui si delegano, come al solito, le Regioni a permettere a chi è dotato di licenza di caccia di sparare alla fauna selvatica (che non è fatta esclusivamente da cinghiali, ndr) non solo in aree protette («…contenimento numerico della presenza di fauna selvatica…»), dove per la verità possono già operare i selecontrollori, ma addirittura all’interno delle città con rischi evidenti per l’incolumità pubblica. Senza che, stante l’incremento numerico dei cinghiali, l’abbattimento in città possa risolvere il problema.
Le sparatorie sono previste anche in periodi di silenzio venatorio! Nel bilancio in fase di approvazione in questi giorni al Senato, è stata inserita anche una norma che dichiara che tale attività non costituisce esercizio venatorio anche se per essere autorizzati bisogna possedere la licenza di caccia. Si favoriscono esigue minoranze di sparatori a dispetto dei tanti italiani che sono contro forme di prelievo venatorio inadeguate e pericolose. La politica più anti-ambiente è riapparsa così nel panorama parlamentare italiano senza nemmeno rispettare le recenti modifiche alla Costituzione che tutelano la biodiversità. Armieri e sparatori di ogni genere e anche la Coldiretti applaudono denunciando i danni dei cinghiali ma, senza affrontare il problema di fondo della scorretta gestione dei rifiuti urbani, si lancia invece l’allarme che, a causa dei cinghiali, «nelle città molti abitanti sono costretti a vivere nella paura».

È sì vero che i cinghiali arrecano danni all’agricoltura se si pensa che in Italia il loro numero è stimato attorno ai 3 milioni, ma chi ha immesso dal centro Europa questi mega suidi nel nostro Paese? Non sono caduti dal cielo ma li hanno importati i cacciatori. Sì, e proprio a loro si dà il compito di risolvere il problema. È come se al ladro che ti ruba in casa si desse il compito di trovare la refurtiva. E poi questi incredibili decisori politici che sembrano succubi del mondo venatorio se la prendono con i lupi che viceversa svolgono una preziosa opera di riduzione del numero dei cinghiali.
All’isola d’Elba (dove i cacciatori irresponsabilmente hanno introdotto i cinghiali con danni enormi a coltivi, orti e biodiversità) migliaia di persone chiedono l’eradicazione della specie alloctona ma la Regione pare che continui a fare orecchie da mercante. Siamo ancora una volta al prevalere della ignoranza scientifica in perfetta linea con la negazione dell’effetto serra o dell’efficacia dei vaccini. Gran parte della politica italiana odia i pareri scientifici preferendo forse seguire le suggestioni che provengono da bar e osterie. Guai a sentire il pensiero delle società scientifiche che contestano la caccia soprattutto in città. Si tende a ridimensionare il ruolo dell’Ispra i cui pareri sono per fortuna tecnici e non politici. Ma non vengono ascoltati nemmeno altri autorevoli scienziati come quelli della Società di Scienze naturali, dell’Unione zoologica italiana, del Comitato scientifico per la Fauna d’Italia, della Federazione Italiana di Scienze della Natura, della Società Italiana di Ecologia e di tante Università italiane. Quelli che probabilmente vengono ascoltati maggiormente in realtà non sono nemmeno i cacciatori ma i loro sponsors cioè i produttori di prodotti armieristici. Pietro Fiocchi eletto al Parlamento europeo con Fratelli d’Italia è il più grosso produttore italiano di armi e munizioni e ha anche società negli Stati Uniti partecipando ai bandi per la fornitura di armi da guerra.


Anche Guido Crosetto, potente esponente parlamentare di Fdl ha avuto un ruolo importante nell’Aiad che è il consorzio che racchiude tutti i più grandi produttori di armamenti italiani. Da par suo Francesco Lollobrigida ministro dell’Agricoltura vicinissimo a Giorgia Meloni si accaparra le competenze del ministero dell’Ambiente e propone di aprire la caccia al lupo, il ché favorirebbe ulteriormente la proliferazione di cinghiali. L’incompetenza dei nostri politici sui temi ambientali e di conservazione della natura, stante il loro rifiuto di informarsi presso le organizzazioni tecnico scientifiche, è a un livello incredibilmente basso. Si pensi che la caccia in braccata, consentita ai cacciatori per farli divertire, comporta per paradosso un aumento del numero di cinghiali. Infatti abbattendo soprattutto i grandi maschi territoriali (perché trofei più ambiti) si destrutturano le popolazioni di questi suidi in quanto si incrementa il numero giovani e femmine che sono il motore demografico per le nuove nascite che arrivano così a produrre fino a 10-12 piccoli più volte l’anno.

Ma su questi dati, documentati da ricerche, si tace preferendo fare proseguire tecniche venatorie dannose al contenimento dei cinghiali. Questi, viceversa, potrebbero essere catturati in gran numero non inseguendoli a schioppettate, bensì attirandoli con cibo in apposite gabbie. All’Isola d’Eba utilizzando il sistema delle gabbie dal 2012 in poi il Parco Nazionale Arcipelago toscano catturava in media in un’area di 100 km2 ben mille esemplari all’anno. Altro che cacciatori! Le scelte irresponsabili fatte introducendo senza alcuna ragione logica nella legge di Bilancio queste norme pro armi, meriterebbero una decisa risposta.
“Italia Libera” lancia una proposta. Si crei un coordinamento nazionale per la corretta gestione della fauna che fino ad oggi, grazie alla legge 157 /92, varata in seguito al referendum del ‘90, non è più considerata «res nullius» come ai tempi del fascismo ma «patrimonio indisponibile dello Stato». Di questo coordinamento che potrebbe essere indetto per contestare scelte sbagliate su fauna e biodiversità, dovrebbero far parte non solo associazioni ambientaliste e animaliste ma soprattutto organismi scientifici a cui dovrebbe essere delegato il compito di stendere e proporre documenti e comunicati tecnici.
Dovrebbero esserne parte anche forze politiche che dichiarino di credere alla difesa ambientale così come i tanti cittadini interessati alla difesa del nostro patrimonio naturale. Siamo in una condizione di emergenza culturale e di fronte a proposte incompatibili con una corretta gestione faunistica è necessario che vengano contrapposte iniziative adeguate e credibili. Basta volerlo e con la collaborazione di tutti si può fare. © RIPRODUZIONE RISERVATA