Il Brasile sta celebrando i Duecento anni della sua Indipendenza dal Portogallo e una mostra a Rio de Janeiro, “Atti di rivolta”, con opere di diversi grandi artisti, ripercorre il processo storico che ha preceduto, accompagnato e seguito questa tappa. Un passaggio che ha visto scontri, ammutinamenti e insurrezioni che sono raccontati — in questa mostra ospitata al Museo di Arte Moderna — da artisti brasiliani di diverse età e aree geografiche, affrontando i conflitti del colonialismo. Una mostra che è quasi un atto di autocoscienza, per un Paese che importanti tracce della sua cultura aveva provato a cancellare, riguardo la componente femminile, e come anche parti della sua popolazione, quali neri e indigeni. In dialogo con la mostra del MAM, due mostre prodotte dall’Istituto Italiano di Cultura si distinguono per sommarietà e insipienza
L’articolo di GIACOMO PIRAZZOLI
ATOS DE REVOLTA: outros imaginários sobre independência a cura di Beatriz Lemos, Keyna Eleison e Pablo Lafuente con Thiago de Paula Souza (curatore invitato) è l’eloquente titolo della mostra prodotta dal MAM-Museu de Arte Moderna di Rio de Janeiro che sta nel formidabile edificio (1953-1955) di Affonso Eduardo Reidy e Carmen Portinho con architettura del paesaggio di Roberto Burle Marx.
Inaugurata il 17 settembre in occasione del bicentenario dell’indipendenza del Brasile, l’esposizione si fa carico di una ricerca storica che «riflettendo sulle tensioni ed i conflitti del sistema coloniale, […] rivela le contraddizioni della storiografia brasiliana, che ha prodotto concellazione di figure determinanti, in particolare tra gli afrodiscendenti, le donne e le popolazioni indigene».

Facendo finalmente anche i conti con una serie di fatti intrinseci alla complessa questione della indipendenza del Brasile dal Portogallo — dalla Guerra Guaranítica (1753-56), alla Inconfidência Mineira (1789), alla Revolução Pernambucana (1817), alla Independência da Bahia (1822), alla Revolta dos Malês (1835), alla Cabanagem (1835-40), alla Revolução Farroupilha (1835-45), alla Revolta de Vassouras (1839) e alla Balaiada (1838-41) — una serie di frammenti provenienti dal Museu da Inconfidência di Ouro Preto, dal Museu Histórico Nacional e dal Convento Santo Antônio di Rio de Janeiro attraversa scenograficamente come memoria transatlantica la sala espositiva che, per evidente allusione, ha pianta di chiesa divisa in tre navate. In questo contesto lavori di artisti appositamente prodotti contribuiscono a mettere in discussione i materiali storici della mostra, a loro volta rivelando microstorie come fatti di ampia portata.
In questo modo tutto diviene plurale, intrigante e denso, e l’apertura alla contemporaneità avviene in forma non elitaria, con l’evidenza di un pensiero rivolto finalmente anche alle scuole e significativamente ai non-addetti ai lavori. Consistente è il gruppo di artisti invitati, provenienti da ogni parte del Paese, con opere appositamente realizzate: da Arissana Pataxó, a Ana Lira (con una installazione interattiva per riflettere sulle possibilità emancipatorie delle musiche tradizionali brasiliane), Elian Almeida, Gê Viana, Gustavo Caboco Wapichana con Roseane Cadete Wapichana, Tiago Sant’Ana, Giseli Vasconcelos con Pedro Victor Brandão. Tra le opere vale ancora menzionare la Mátria livre [Matria libera] — da mater, versione giustamente femminista del maschilista “patria”, da pater — che fa parte dell’installazione di Marcela Cantuária con Brigadas Populares, casomai alternativa allo slogan Pátria amada [Patria amata] del presidente uscente Bolsonaro.

In mostra anche otto opere di Glauco Rodrigues che fanno parte dell’archivio del MAM, il rimontaggio di un lavoro di Luana Vitra e le recenti opere di Glicéria Tupinambá, Paulo Nazareth, Thiago Martins de Melo, oltre alla imponente splendida tela di Arjan Martins Só vou ao Leblon a negócios [Vado a Leblon (quartiere ricco e bianco di Rio de Janeiro) solo per affari], 2016.
Ad implementare questo lavoro congetturale sulla storia come narrazione di cose perdute, un anomalo quanto intrigante quaderno-catalogo in forma di fanzine raccoglie sia materiali storici che han fatto parte della ricerca ma che non sono in mostra, sia una serie di testi (non tutti contemporanei) che ne rafforzano il lavoro sull’immaginario «a partir de fragmentos» [sulla base di frammenti]come spiegano Lafuente e Calheiros che l’hanno curato.

Per contiguità vale riflettere su due mostre prodotte dall’Istituto Italiano di Cultura, sempre a Rio de Janeiro: quella legata al bicentenario dell’indipendenza, quindi in ideale dialogo con la mostra al MAM-Museu de Arte Moderna é “Fotografi italiani: nel fiorire della fotografia brasiliana” — un tema di straordinario interesse svolto purtroppo riconoscendo ad ogni autore solo una decina di foto, riducendo quindi il tutto ad una lista attorniata dal vuoto di magre didascalie, con nessuna interazione possibile da parte del pubblico. Non é meglio “Colori del Paesaggio – Napoli e Rio de Janeiro, nello sguardo di artisti italiani del XIX secolo” dove il cliché pseudo-storico va da “O sole mio” al matrimonio dell’imperatore Pedro II con Teresa Cristina, ai quadri appesi al muro come nel salottino della zia.

In nessuna di queste due esposizioni di curatela italiana è purtroppo cenno al concetto di microstoria — che moltissimo deve ai nostri Carlo Ginzburg e Giovanni Levi, e che costituisce invece riferimento fondativo per la mostra curata dai brasiliani al MAM — nè trovasi traccia d’intento di public history.
A fronte di tali insipienze l’Italia sta aprendo sei (6) nuovi Istituti di cultura, nel mondo. Chissà se — mentre ancora le pratiche decoloniali puntano tutto su popolazioni native e afrodiasporiche — il ministro degli Esteri Tajani vorrà riservare attenzione alla terza forza, quella dei migranti (italiani, nel caso) che specialmente nelle Americhe (ma non solo), arrivati poveri con biglietto di sola andata tra la fine dell’Ottocento e la metà del secolo scorso, hanno costruito opportunità e raggiunto risultati straordinari, contribuendo alla crescita di società dinamiche quanto aperte. © RIPRODUZIONE RISERVATA