L’unica certezza è che in nome del nimby, la difesa del proprio cortile, l’Italia s’è unita da Nord a Sud e non sarà facile rispettare i tempi scanditi da Bruxelles per trovare un luogo sicuro per le nostre scorie. Anche le associazioni ambientaliste si dividono: a Legambiente va bene un deposito unico anche per le scorie a più alta radioattività, per Greenpeace è meglio lasciarli in uno dei siti già occupati. In attesa che qualche paese europeo voglia prendersele (a caro prezzo per le nostre bollette)
L’inchiesta di MAURIZIO MENICUCCI, inviato speciale Rai
¶¶¶ C’è chi dice no al Deposito in nome dell’archeologia, chi dei terremoti, degli tsunami, dei prodotti tipici, del turismo e di mille altre più o meno plausibili eccezioni. E chi dice sì. Al momento uno solo: Daniele Pane, sindaco leghista di Trino Vercellese. Peraltro senza speranze, poiché, sebbene conservi il 4 per cento dei 31 mila metri cubi di scorie nazionali nella ex centrale atomica “Enrico Fermi”, il comune risulta escluso dalla Cnapi: troppo vicino al Po, e a rischio alluvione.
Pane, nella fretta di servire uno straccio di polemica al suo malandato Capitano, forse ignora che i suoi concittadini avevano votato in maggioranza contro il ritorno dell’Italia all’energia nucleare nel referendum del 2011. E chiede di fare eccezione, ma per i tecnici non è possibile. Se un comune si autocandidasse a entrare contro ogni criterio oggettivo di rischio, tutti gli altri avrebbero buon gioco a chieder di uscire, e la carta non avrebbe più valore.
Per ora, dunque, l’unica certezza è che in nome del nimby, la difesa del proprio cortile, l’Italia s’è unita e non sarà facile rispettare i tempi scanditi da Bruxelles. L’Europa vuole il deposito unico finito in cinque anni e subito dopo svuotata la cinquantina di grandi e piccoli stoccaggi nucleari eternamente provvisori, spesso precari, sparsi per quant’è lunga la Penisola.
Eppure, secondo gli esperti, l’opera fuori terra che spaventa l’ltalia, e che occuperà 150 ettari con il suo Parco Tecnologico, è a prova di cataclisma. I fusti compattati di materiale irraggiato saranno inscatolati in moduli di cemento, a loro volta impilati in celle, fino a riempire ogni metro degli edifici quadrati che sporgono di qualche metro fuori terra: una sorta di matrioska blindata a tre livelli, uno in più di quelli adottati dai francesi nell’analogo sito dell’Aube, nello Champagne.
Una volta completo, ogni edificio sarà coperto da strati di materiale isolante, e attentamente monitorato. Marco Ricotti, ingegnere nucleare del Politecnico di Milano, ed ex presidente Sogin, conosce molto bene il progetto: «Una rete di canali sotterranei permetterà di prelevare un campionamento in continuo delle falde per essere certi che niente venga rilasciato da questi manufatti. Il deposito è fatto per durare almeno trecentocinquant’anni, il tempo che si stima necessario a far decadere il materiale a bassa radioattività per cui è destinato».
Ma non tutte le nostre scorie sono così “leggere”. Ce n’è anche una parte ad attività medio-alta che decade in almeno diecimila anni. Poca in volume, 17mila metri cubi, rappresenta il 90 per cento della radioattività complessiva. E il piano del governo prevede di stoccarla temporaneamente in 4 edifici, ancora nell’area del Deposito, e poi di seppellirla per sempre all’estero, in accordo con altri paesi.
Una previsione che, secondo Greenpeace, non ha data e non l’avrà facilmente. Per questo il suo direttore, Giuseppe Onufrio, contesta il progetto del Deposito unico, che i colleghi di Legambiente invece appoggiano perché più sicuro da sorvegliare. «Questa quota di scorie molto più radioattive – dice Onufrio – andrà collocata in un deposito geologico del quale per adesso nessuna nazione dispone, anche se si sta cercando di realizzarla in Francia, negli Usa e soprattutto in Islanda. Bisognerà aspettare 50, 60, 70 anni, quindi l’idea di far nuclearizzare un nuovo sito, per non risolvere il 90 per cento del problema che abbiamo, a noi sembra assurda. Una gestione diversa di almeno alcuni di questi siti dove i rifiuti sono ora collocati, ci sembra un’opzione più opportuna, e su questo, forse, andrebbe aperto un dibattito».
Secondo Ricotti, però, l’attesa potrebbe non essere così lunga: «Da quest’anno i finlandesi apriranno a livello mondiale il primo deposito di stoccaggio definitivo, geologico, profondo 500 metri sotto il terreno, per la collocazione definitiva dei rifiuti ad alta radioattività, che sono effettivamente i rifiuti più pericolosi».
Dovremo sperare che gli scandinavi prendano le nostre scorie. E soprattutto, se accettano, prepararci a bollette energetiche ancora più salate di quelle che paghiamo da vent’anni per mantenere, a Le Hague e a Sellafield, le mille e più barre di combustibile nucleare delle nostre 4 ex centrali atomiche, che francesi e inglesi hanno compattato, vetrificato e privato della parte utile per le loro armi nucleari. Potremo riprendercele solo quando e se sarà pronto il Deposito nazionale, che in ogni caso, anche rispettando l’ormai irraggiungibile scadenza del 2025, saremo gli ultimi d’Europa a costruire. E dal momento che restano comunque scorie ad alta radioattività, quindi rientrano nella quota non adatta a restare per sempre nella nostra futuribile struttura, ci terremo anche quelle fino a quando – lo dice il Dgls 31 del 2010 – non troveremo qualcuno, in Islanda o altrove, che se le piglia. Un rompicapo atomico! ♦
___
Foto: sotto il titolo, manifestazione antinucleare di Legambiente a Genova nel 2011 [Ansa]