Un’improvvisa “piantata” del motore del suo F86-K costringe, 51 anni fa, il giovane capitano dell’aeronautica a decidere, in pochi secondi se lasciar cadere il suo jet tra Otranto e Brindisi, rischiando una strage in qualche centro abitato, o inabissarlo in mare per salvare la vita al suo allievo-pilota e a se stesso, lanciandosi con il paracadute. Uscendo dalla coltre di nuvole che avvolgevano il caccia-intercettore in discesa forzata, ecco l’illuminazione della “velificazione plena”: le vele come simbolo di dedizione piena. In un attimo indirizzò la prua del suo aeroplano sulla pista di Galatina, chiusa al traffico aereo per manutenzione, e pilotò il suo volo a vela atterrando sani e salvi fra gli applausi di ufficiali, allievi piloti, motoristi, avieri e personale a terra. L’intuizione del giovanissimo capitano tarantino (poi direttore dell’Agenzia Interforze della Nato) è entrata negli annali dell’Aeronautica militare e non solo… Leggete qui


Il racconto di ARTURO GUASTELLA 

Quella mattina del 9 Settembre 1972, il giovane capitano dell’Aeronautica Militare Italiana, che, malgrado i suoi 28 anni, era, non soltanto un ufficiale pilota-istruttore, ma anche il responsabile della valutazione degli allievi piloti della base di Gioia del Colle, quella mattina, dicevamo, mentre con il suo F86-K, aereo intercettore, in dotazione all’Aeronautica italiana, sorvolava il Canale d’Otranto, si accorse che qualcosa non andava al velivolo. Possibile, si interrogava il tarantino Piero Barca (questo il nome del nostro capitano) ben consapevole che lì, al di sopra delle nuvole, poteva accadere di tutto e di quel tutto c’era un “peggio”, temutissimo da tutti i piloti e che, nel gergo aeronautico, veniva chiamato la “piantata” dei motori. Possibile, rifletteva il nostro capitano, che al suo aereo stesse per capitare proprio quel “peggio”? 

Anni di durissimo addestramento gli avevano insegnato, inoltre, che il tempo a disposizione per prendere una decisione era limitatissimo, poiché quando si sorvolava il mare a bassa quota, come stava facendo con il suo Caccia Intercettore, l’avaria completa del motore prevede solo un lancio immediato del pilota o dei piloti (come nel suo caso), attivando il comando di espulsione dei seggiolini eiettabili sui quali si è seduti. «In quei momenti – ricorda – mentre mi ero reso conto che l’unico motore era andato, e non volevo darmi per vinto, riuscii a guadagnare un po’ di quota sfruttando la velocità del mio aeroplano e diressi immediatamente la prua verso Brindisi, base su cui avrei dovuto atterrare». 

«Dopo altri frenetici tentativi di riavviare il motore – continua Barca -, non riuscendo a farlo, la mia preoccupazione fu di preparare il mio allievo-pilota al lancio ricordandogli, e facendomi ripetere, tutte le procedure per effettuare un lancio in sicurezza. E questo doveva avvenire senza esitazione dal momento in cui gli avrei ordinato di eiettarsi, poiché io avrei dovuto lanciarmi immediatamente dopo di lui». Dalla sede del Comando Aereo, informati dell’avaria al motore, gli suggerivano di lanciarsi al più presto. Tuttavia il nostro eroe, prendeva tempo. «Necessario – racconta – perché l’aereo, in discesa forzata, uscì dalla coltre di nubi in cui era stato fino ad allora immerso, dandomi modo di avere un quadro completo di quello che si parava davanti agli occhi». 

Il riconoscimento al Valore aeronautico del giovanissimo capitano Piero Barca (in una foto degli anni Settanta sotto il titolo)

«Il primo pensiero − aggiunge il nostro capitano − fu di pianificare alcune ipotesi di lancio per evitare tragici danni ai numerosi centri abitati e ai cittadini che scorgevo, ignari, laggiù, sotto le ali del mio aereo. Mentre avevo deciso di lanciarci in mare, che poi è la decisione più pericolosa per i piloti − minimizzando, però, i danni alle persone e agli edifici e per questo stavo scegliendo il tratto di mare dove far inabissare l’aereo dopo il nostro lancio col paracadute −, mi venne un’idea». In realtà, sorride ora Piero Barca, gli venne in mente la frase latina di Ammiano Marcellino, “velificatione plena”, con la quale lo storico del IV secolo d.C., che era anche un militare, voleva significare come le vele siano il simbolo della più completa dedizione. Ed allora «con quella autentica folgorazione mi balenò l’idea di un atterraggio a vela sulla pista di Galatina che, allora, era chiusa al traffico per rifacimento della stessa». «Una ipotesi – continua – che si rivelò la migliore, in quanto coordinai il mio volo a vela con gli Enti del Controllo, rasserenai il mio allievo e riuscii ad atterrare su Galatina su un tratto di pista già rifatto, salvando così il mio amatissimo F86-K». 

Questo atterraggio senza motore fu, per davvero, iscritto negli annali dell’Aeronautica Militare Italiana e tutti, a Galatina, in quel settembre − ufficiali, allievi piloti, motoristi, avieri e personale a terra −, accolsero i piloti, con una autentica ovazione. Anche perché, aver riportato il suo velivolo a terra, oltre ad aver impedito autentiche tragedie se fosse precipitato su centri abitati, il nostro capitano permise anche che quell’aereo fosse sottoposto ad una minuziosa ispezione. E, quel tipo di aereo rivelò insospettabili difetti elettromeccanici, che, se non corretti, avrebbero potuto causare autentiche tragedie per i piloti che erano chiamati a farlo volare. 

Piero Barca fu insignito della Medaglia di Bronzo del ministero della Difesa, promosso Maggiore e quindi Tenente Colonnello, mandato a dirigere l’Ufficio Operazioni del Terzo Roc di Martina Franca e, da Colonnello, Direttore dell’Agenzia Interforze della Nato. È, questo, un incarico, cosiddetto del “Doppio Berretto”, in quanto dirige tutte le operazioni Nato nel Mediterraneo e le Forze aereonautiche italiane nel sud dell’Europa. 

Ora il mio amico Piero Barca è in pensione. Forse in pochi si ricordano di lui e della sua straordinaria carriera. Che non è stata soltanto quella di aver fatto atterrare un turbogetto come un aliante, in una pista in rifacimento, ma anche, e soprattutto, quella di aver addestrato decine e decine di piloti. «Fra i miei giovani allievi – si lascia andare – vi sono stati italiani, iracheni, ganesi, ragazzi degli Emirati Arabi Uniti, tunisini, algerini, cui mi sono sforzato di inculcare, oltre alle tecniche del pilotaggio, un forte senso del dovere, e, soprattutto, ad essere generosi. Anche con il nemico». 

Ma è vero che sei stato tu a portare, con il tuo aereo e nottetempo, al Primo Ministro dell’epoca, mi pare Francesco Cossiga, i tracciati dei radar del Terzo Roc, per quell’incidente dell’aereo dell’Itavia, la cui esplosione in volo è ancora avvolta nelle nebbie? «Ti racconto invece – glissa – di come con il mio fedele F86-K, ormai perfettamente revisionato, l’anno seguente la mia esperienza di volovelista (sic!), nel 1973, quando tutto il Mediterraneo era una polveriera (proprio come adesso) per la guerra arabo-israeliana, più conosciuta come guerra del Kippur, decollavo quasi senza sosta, da Gioia del Colle, fino in Sicilia, a Sigonella, e giù fino a Pantelleria, a Trapani e oltre, difendendo, lasciamelo dire, i nostri cieli e la sicurezza del mio Paese.

Insomma, anche se ormai è in pensione da qualche anno, per il colonnello Piero Barca, tanto per tornare al latinorum, quel “Virtute Siderum Tenus, non è il semplice motto dell’Aeronautica Italiana, ma il proiettarsi ancora, e virtuosamente, verso le stelle. E, forse, sono proprio le nubi e gli astri, a mancargli oggi di più. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Giornalista dal 1971. Ha alternato la sua carriera di biochimico con quella della scrittura. Ha diretto per 14 anni “Videolevante”, una televisione pugliese. Ha tenuto corrispondenze dall’Italia e dall’estero per “Il Messaggero”, “Corriere della Sera”, “Quotidiano”, “La Gazzetta del Mezzogiorno” per la quale è editorialista. Con la casa editrice Scorpione, ha pubblicato “Fatti Così” e, con i Libri di Icaro, “Taranto - tra pistole e ciminiere, storia di una saga criminale”, scritto a due mani con il Procuratore Generale della Corte d’Assise di Taranto, Nicolangelo Ghizzardi. Per i “Quaderni” del Circolo Rosselli, ha pubblicato, con Vittorio Emiliani, Piergiovanni Guzzo e Roberto Conforti, “Dossier Archeologia” e, per il Touring club italiano, i “Musei del Sud”.