«Alighieri era un rivoluzionario, uno che non può essere etichettato, un grandissimo intellettuale del suo tempo, con una visione straordinaria, aperta. Nel “De Monarchia” il nostro grande poeta esprime una concezione del mondo e della politica, che, pur rapportata al suo tempo, il Medio Evo, era esattamente l’opposto del nazionalismo tanto caro alla destra», risponde Giulio Ferroni raggiunto al telefono da Italia Libera. «Volerlo classificare è un “non senso”. Settecento anni ci separano dal suo mondo, non si possono fare forzature e riferimenti all’oggi», aggiunge l’insigne linguista Francesco Sabatini. Lo storico Luciano Canfora rincara la dose: «Provo una grande pena, mancano le basi, si parla senza sapere quel che si dice. L’Alighieri è uno che si sarebbe arrabbiato molto a sentire quello che è stato detto…». Dopo le polemiche che lo hanno sommerso, l’ex direttore del Tg2 butta la palla in calcio d’angolo: «Se la provocazione che ho fatto è servita a far riprendere a qualcuno in mano i libri di Dante Alighieri, posto che lo abbiano mai fatto, è già un buon risultato». Alla luce delle sue castronerie, una ripassatina non gli farebbe male…

L’articolo di ANNA MARIA SERSALE
IL MINISTRO DELLA Cultura Gennaro Sangiuliano dopo avere detto che Dante Alighieri è il fondatore del pensiero di destra cerca di corregge il tiro: «Era solo una provocazione», dice. L’intento è quello di rispondere ai tanti che lo hanno accusato di volersi “appropriare” del sommo poeta. E per spiegare che cosa intendesse, quando ha parlato nel corso di un incontro organizzato da Fratelli d’Italia a Milano in vista delle prossime elezioni, sceglie di inviare una lettera al Corriere della Sera. «Dire che Dante è l’iniziatore del pensiero di destra — scrive — è una chiara provocazione culturale, che ha un fondamento ben preciso». In proposito cita il «monumentale volume “Croce e Gentile” edito dall’Istituto dell’enciclopedia italiana», richiamando in particolare il passaggio in cui è riportata la frase del professor Enrico Ghidetti che considera Dante “l’epicentro ideologico della tradizione e del principio di nazionalità”. Poi ironizza: «Se la provocazione che ho fatto è servita a far riprendere a qualcuno in mano i libri di Dante Alighieri, posto che lo abbiano mai fatto, è già un buon risultato».

«Ma non scherziamo, Dante non può essere portato sul terreno del nazionalismo e del sovranismo, Dante era un rivoluzionario, uno che non può essere etichettato, un grande grandissimo intellettuale del suo tempo, con una visione straordinaria, aperta, finì esule per non essersi mai sottomesso ai poteri, guardando a una visione universalistica dell’uomo», risponde così Giulio Ferroni raggiunto al telefono da Italia Libera. Professore emerito, già ordinario di Letteratura italiana all’Università La Sapienza di Roma e autore del libro “L’Italia di Dante”, edito dalla Nave di Teseo, Ferroni va avanti deciso: «Quello che sta accadendo è ridicolo, in realtà Dante era un rivoluzionario. Sì, credeva nell’Impero ma come istituzione di carattere universale, che avrebbe dovuto guidare il genere umano, unito, verso la giustizia e la felicità. Nel “De Monarchia” il nostro grande poeta esprime una concezione del mondo e della politica, che, pur rapportata al suo tempo, il Medio Evo, era esattamente l’opposto del nazionalismo tanto caro alla destra».
Nel frattempo, meglio raffreddare le polemiche. Il ministro, atteso mercoledì 18 nell’Aula magna di Lettere alla Sapienza per aprire i lavori di un importante convegno su Pasolini, organizzato dai tre atenei romani con un calendario fitto di interventi, ha fatto sapere che non parteciperà. Sangiuliano resta, comunque, sulle sue posizioni. Cita altri intellettuali che avrebbero dato di Dante la sua stessa interpretazione. Rimanda così a una raccolta di scritti del filosofo Giovanni Gentile, dedicati al poeta fiorentino. «Secondo Gentile — scrive il ministro — “con Dante comincia ad affermarsi idealmente l’Italia”; per questo “in ogni tempo” Dante è stato considerato “padre spirituale della nazione” e la sua poesia è la sua filosofia. Tutta la rilettura di Dante si colloca in un’operazione culturale definita: l’affermazione dell’idealismo contro il positivismo». Poi tira in ballo anche Norberto Bobbio e Augusto Del Noce, nonché lo storico Federico Chabod, partigiano antifascista, per sostenere la tesi che l’idea di nazione italiana viene da Dante.

Ma, volendo fare una battuta, c’è da chiedersi se Dante poteva essere di destra, uno che nella Firenze dilaniata dai feroci contrasti tra i Bianchi (che rappresentavano la famiglia dei Cerchi) e i Neri (quella dei Donati) era stato perseguitato proprio dai Neri. Lui che combatteva contro i mali del suo tempo, con coraggio. Lui che scriveva in volgare per essere letto e capito anche da chi non conosceva il latino. A trent’anni aveva fatto attività politica, ricoprendo incarichi importanti. Prima membro del Consiglio speciale del popolo, poi del Consiglio dei savi, poi del Consiglio dei Cento fino ad essere eletto Priore, la massima carica della città. Però fu accusato dai suoi avversari di “baratteria” (oggi diremmo corruzione e peculato), dopo la condanna in due processi iniziò il suo lungo esilio.
«Dante non può essere etichettato, è stato usato senza una reale motivazione storica e letteraria. Tutto questo mette una grande tristezza», commenta ancora il professor Ferroni. Il suo senso di sgomento e tristezza sono condivisi da Francesco Sabatini. Al quale chiediamo: professore, secondo lei Dante è stato davvero il fondatore del pensiero di destra? «È un discorso senza senso! Dante non è di destra, né di sinistra» risponde Sabatini, insigne linguista, studioso di filologia romanza, allievo di Natalino Sapegno, autore insieme a Vittorio Coletti del vocabolario italiano su cui da decenni continuano a studiare intere generazioni: «Settecento anni — aggiunge — ci separano dal suo mondo, non si possono fare forzature e riferimenti all’oggi. Volerlo classificare è un “non senso”».

Il filologo e storico Luciano Canfora rincara la dose: «Provo una grande pena, mancano le basi, si parla senza sapere quel che si dice. L’Alighieri è uno che si sarebbe arrabbiato molto a sentire quello che è stato detto… Si usano categorie anacronistiche, si fanno discorsi senza capo né coda, per guadagnarsi un “padre” della destra, forse non hanno calcolato gli effetti. Tutto questo mi fa venire in mente un racconto di Plutarco: Alcibiade aveva un cane bellissimo al quale, un giorno, tagliò la coda. Gli amici gli chiesero perché avesse fatto quel gesto assurdo e lui rispose: così si parlerà di me». «La destra ha cultura, deve solo affermarla», aveva detto il ministro a Milano. Aggiungendo: «Quella visione dell’umano la troviamo in Dante, così la sua costruzione politica, che credo siano profondamente di destra».
«Già, Dante di destra, non è la prima volta che lo tirano per la giacchetta», chiosa Ferroni: «C’è stato un precedente. Risale al 1921, quando ci fu un terribile episodio di violenza. Il gerarca Italo Balbo con le squadracce fasciste andarono sulla tomba del Poeta a Ravenna, l’ultimo luogo del suo esilio. Era il sesto centenario della morte, Balbo e i suoi uomini, che cominciavano a usare la camicia nera, parteciparono alle celebrazioni dantesche, che l’allora ministro Benedetto Croce aveva già avviato, fecero visita alla tomba. Discorsi impregnati di retorica, ma dopo ci fu la spedizione punitiva alla Camera del lavoro, contro operai e contadini. Ci furono violenze anche l’anno successivo». Operazioni che, secondo molti storici, furono le “prove generali” prima della marcia su Roma. © RIPRODUZIONE RISERVATA