Dopo l’ultimo incendio dell’impianto di Malagrotta, nei dintorni di Fiumicino emerge una rete di discariche abusive, individuate dagli aerei diretti all’aeroporto. Da terra nessuno se ne era accorto o, quantomeno, le ha mai segnalate. Le leggi per reprimere il fenomeno ci sono e prevedono le giuste sanzioni, ma mancano quasi sempre i controlli. Anche la polizia giudiziaria addetta ai controlli ambientali deve essere altamente specializzata ma oggi, con poche eccezioni, è, invece, quasi inesistente. Alla base resta l’inefficienza del servizio raccolta rifiuti che costringe l’Amministrazione capitolina a inviare la spazzatura dei romani in altre Regioni se non all’estero. Con il malaffare annesso e connesso


◆ L’articolo di GIANFRANCO AMENDOLA

Qui e sotto il titolo, l’ultimo incendio dei rifiuti nell’impianto di Malagrotta

Non bastava Malagrotta. Ora si scopre che nei dintorni di Fiumicino e dell’aeroporto ci sono diverse discariche abusive di rifiuti, e la magistratura di Civitavecchia procede contro una dipendente regionale la quale, secondo l’accusa, ne gestiva una, dando anche fuoco, per liberare spazio, ai rifiuti illecitamente accumulati. Di certo, tutto questo dipende, in primo luogo, dalla assurda situazione dei rifiuti romani che attualmente, specie dopo l’ultimo incendio dell’impianto di Malagrotta, devono essere, per una gran parte, trattati e smaltiti in altre Regioni o addirittura all’estero; aprendo, così, la strada agli smaltimenti illegali. 

Ma ne vale la pena? Certamente no, se si guarda alle leggi. Attualmente, infatti, limitandosi ai soli reati “ecologici” principali, in base a quanto riportato dalla stampa, chi gestiva questa discarica (oggi sequestrata) rischia almeno tre condanne: una per discarica abusiva (arresto da sei mesi a due anni e ammenda da 5.200 a 52.000 euro, con aggravante se si tratta di rifiuti pericolosi, più la confisca dell’area; un’altra per combustione illecita di rifiuti (reclusione da due a cinque  anni, con aggravante se si tratta di rifiuti pericolosi, più obbligo di ripristino dello stato dei luoghi, di risarcimento del danno ambientale e del pagamento, anche in via di regresso, delle spese per la bonifica); un’altra, infine, per il delitto di inquinamento ambientale (reclusione da due a sei anni e multa da euro 10.000 a euro 100.000), tenendo conto che, a seguito dell’esito delle indagini, potrebbe diventare “disastro ambientale (per “offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo”) con la reclusione da cinque a quindici anni. 

Il problema, quindi, non è nella esiguità delle sanzioni, che ci sono e sono adeguate, ma nella quasi totale mancanza di controlli, agevolata dalla carenza del relativo apparato legislativo. Basta pensare alla normativa del Testo Unico Ambientale relativa alla tracciabilità dei rifiuti (dove nascono e dove vanno?) che è stata più volte cambiata e si basa su un assurdo intrico tutto burocratico dove, a volte, le eccezioni superano le regole. Tanto è vero che il Sistri, cioè il primo sistema introdotto per la tracciabilità, è stato soppresso, a furor di popolo, nel 2019 per assoluta inadeguatezza. Ma le carenze riguardano anche la polizia giudiziaria addetta ai controlli ambientali che deve essere altamente specializzata, ed oggi, con poche eccezioni è, invece, quasi inesistente e, spesso, anche ignara delle ultime modifiche legislative e regolamentari. Del resto, il migliore esempio viene proprio dalla vicenda di cui parliamo. I fuochi e la discarica abusiva di Fiumicino, infatti, sono stati “scoperti” solo perché di lì passavano gli aerei per l’aeroporto mentre da terra nessuno se ne era accorto o, almeno, nessuno risulta averla segnalata. Proprio una vergogna. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Dal 1967 Pretore a Roma, inizia ad occuparsi di normativa ambientale dal 1970. Dal 1989 al 1994 parlamentare europeo, vice presidente della commissione per la protezione dell’ambiente. Dal 2000 al 2008 Procuratore aggiunto a Roma con delega ai reati ambientali, poi Procuratore della Repubblica a Civitavecchia fino al pensionamento (2015). Ha ricoperto numerosi incarichi pubblici partecipando a tutte le vicende che hanno visto nascere ed affermarsi il diritto dell'ambiente in Italia. Ha insegnato diritto penale dell’ambiente in varie Università scrivendo una ventina di libri fra cui “In nome del popolo inquinato” (7 edizioni). Attualmente fa parte del comitato scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare ed è docente di diritto penale ambientale presso le Università “La Sapienza” e Torvergata di Roma.