A margine dell’81^ edizione della Mostra del Cinema di Venezia, Codacons e Associazione Utenti dei Servizi radiotelevisivi denunciano la penalizzazione degli operatori cinematografici minori, sia nella produzione che nella distribuzione del cinema di qualità artistica, culturale, sociale e d’essay. Assieme alla concorrenza, distorta dalla concentrazione industriale a livello internazionale, a farne le spese è il restringimento delle possibilità di libera scelta per gli spettatori del cinema italiano, con contenuti di valore sociale e artistico. Con la riforma del ministro Sanguliano i produttori ed i distributori cinematografici indipendenti finiscono sotto il controllo dell’esecutivo, determinando una classifica dei film totalmente sottomessa alle regole di mercato, facendo rientrare dalla finestra l’inaccettabile concetto che il cinema più che libera arte sia intrattenimento
◆ Il commento di ANNALISA ADAMO AYMONE, da Venezia
► A meno di un mese dalla pubblicazione del decreto Sangiuliano sulle restrizione del Tax credit al cinema, durante l’81^ edizione della Mostra del Cinema di Venezia, il Codacons — la più grande associazione dei consumatori italiana —, congiuntamente all’Associazione Utenti dei Servizi Radiotelevisivi, si è fatto portavoce delle critiche mosse dagli operatori del settore, mettendo in evidenza l’incidenza fortemente negativa della riforma sulla sfera delle libertà dei produttori indipendenti e dei consumatori. Alla già segnalata violazione della concorrenza, sia a livello di produzione che nel contenimento della possibilità di scelta della società di distribuzione esclusivamente nell’ambito delle prime venti a livello nazionale, con conseguente penalizzazione degli operatori minori ma maggiormente portatori di un cinema di qualità artistica, culturale, sociale e d’essay, si aggiungono altri tre motivi di opposizione.
Tra questi vi è il controsenso evidente di indirizzare sempre di più i contributi finanziari nella formula del Tax credit, su pochissime società privilegiate. Imprese che – segnalano le associazioni – a causa della concentrazione industriale verificatasi negli ultimi anni, hanno spesso ceduto quote consistenti a grandi gruppi stranieri o multinazionali, con conseguente storno di capitali pubblici che sono finiti in realtà estere a discapito dell’economia nazionale e della dichiarata volontà dell’attuale governo di difendere i valori culturali italiani. Altro motivo individuato dalle associazioni per opporre il decreto è certamente l’impatto sui livelli occupazionali del settore che porta con sé, come coerenti logici, l’aumento dei costi sociali e la riduzione della spesa, provocando altresì un perdita notevole della produzione indipendente. Il restringimento delle possibilità di libera scelta per gli spettatori del cinema italiano, con contenuti di valore sociale e artistico, è tra i motivi di opposizione quello che, prima di ogni altro, viene portato avanti in un’ottica che da sempre vede la legislazione legata al cinema, tanto quanto quella del sistema radiotelevisivo, come il campo dove si gioca la partita legata alla democrazia.
Non è una novità, infatti, che il potere politico attraverso i mezzi di comunicazione di massa abbia costantemente cercato il controllo dell’opinione pubblica al fine di orientarne le scelte. È giusto il caso di ricordare che quando l’azione censoria dello Stato italiano raggiunse uno dei suoi livelli più alti ed il governo democristiano mise in atto un sistema di norme per imbavagliare il movimento neorealista e metter fine al cinema d’autore, il “Circolo Romano del Cinema” si affrettò a pubblicare un “Manifesto per il cinema italiano”. Era il 23 aprile 1955 e quel grido a sostegno delle libertà e del bisogno di critica, scosse profondamente l’opinione pubblica con parole indimenticabili: «Noi abbiamo accusato il governo con i suoi funzionari, i suoi giornali, le sue banche, di aver impedito al cinema italiano di svolgere i temi che via via la realtà nazionale gli proponeva… Sono stati osteggiati con tenacia dei film che qualunque democratico sincero avrebbe potuto firmare come propri … con tutti i mezzi, leciti e illeciti, ufficiali, ufficiosi o segreti, il governo … ha cercato di cancellare … la buona pista del cinema italiano».
Di fronte allo scenario odierno “Tutto il mondo è un palcoscenico”, verrebbe da dire, usando le parole di Jacques nella commedia di Shakespeare “Come vi piace”. Citazione cara a Richard Sennett che, esplorando le complicate connessioni tra politica, arte e vita, in quel continuo oscillare tra forme sublimi o terribili, repressive o liberatorie, ha messo in evidenza quanto sia pericoloso farsi abbagliare dai performer politici che attraverso gli effetti speciali minano il terreno delle libertà. Alla surrettizia demagogia repressiva al cinema dell’attuale governo, dovrebbe opporsi una visione liberatoria, audace e concreta capace di superare l’antica tradizione del contributo pubblico per fare il cinema che “non denuncia”, “non disturba” e “blandisce il potere”. Forse i tempi sono maturi per pensare ad un sistema che non passi più attraverso l’ipocrisia della super commissione di Stato che valuta il valore artistico-culturale ma che porti ad una vera, quindi sana, libera concorrenza. Il cinema deve poter essere, come la letteratura – e forse ancor di più – lo spazio della critica del potere e il luogo della rivendicazione dei diritti. Alla sorveglianza, alla censura e al controllo espliciti non si devono sostituire forme mascherate in contrasto con i passi avanti che la società, da più parti, ha chiesto da tempo.
In definitiva se con questa riforma i produttori ed i distributori cinematografici finiscono sotto il controllo dell’esecutivo, determinando una classifica dei film totalmente sottomessa alle regole di mercato e facendo rientrare dalla finestra l’inaccettabile concetto che il cinema più che libera arte sia intrattenimento, si deve iniziare a progettare un sistema alternativo che risponda sostanzialmente all’istanza di libertà formulata già nel “Manifesto per il Cinema”: «Noi vogliamo che vengano rimossi i vincoli delle tuttora vigenti leggi del passato regime, negatrici della libertà di espressione; vogliamo che il rinnovo ed il miglioramento di tutte le disposizioni riguardanti il cinema nazionale siano accompagnate dall’istituzione di un controllo democratico del Parlamento e delle categorie interessate, e che tutte le legittime provvidenze economiche siano tali che in nessun modo e in nessun caso una qualsiasi formazione governativa possa farsene strumento di ricatto e di paura … il cinema senza libertà è soltanto una macchina di speculazione e paternalismo oscurantista. Lottiamo perché tutti abbiano il diritto di fare cinema libero». Dunque, lottiamo ancora! © RIPRODUZIONE RISERVATA