L’attivista iraniana Narges Mohammadi è in carcere di massima sicurezza da due anni. Non è potuta andare ad Oslo a ritirare il premio Nobel per la Pace che è stato consegnato il 10 dicembre scorso a chi era potuto invece essere presente in sua vece, e cioè la sua famiglia. Il marito Taghi Rahmani, e i loro due figli. Premiando Narges Mohammadi si è data voce al dissenso che il regime di Teheran cerca di soffocare. L’attivista iraniana è stata designata quest’anno proprio per la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran, per i diritti umani, per la libertà


◆ L’intervento di ALESSANDRO MARTELLI

Il 10 dicembre, ad Oslo, il Premio Nobel per la Pace è stato giustamente conferito a Narges Mohammadi, attivista iraniana detenuta nel carcere di massima sicurezza di Evin, a Teheran, dal 2021. È ivi detenuta perché si era opposta fortemente all’obbligo, per le donne iraniane, di indossare l’hijab, nonché alla pena di morte vigente nel suo Paese (che è stata sovente applicata, anche contro giovanissimi dissidenti). Narges Mohammadi è la 19ma donna a vincere il Premio Nobel per la Pace e la seconda iraniana, dopo l’attivista per i diritti umani Shirin Ebadi, che lo ricevette nel 2003. Nei 122 anni di storia del Premio, è la quinta volta che esso è assegnato a una persona in carcere (od agli arresti domiciliari).

Sotto il titolo, primo piano di Narges Mohammadi (credit Vanity Fair) e, più in basso, i due gemelli, Kiana e Ali Rahmani, accanto alla pergamena del Premio sulla sedia vuota destinata alla loro mamma; qui in alto, il ritiro del Premio

Durante la cerimonia di consegna del Premio, nel municipio di Oslo, la sedia sul palco a lei assegnata è rimasta simbolicamente vuota, ma con una sua foto posizionata dietro, che era stata da lei scelta e che la mostra sorridente e con abiti colorati. A ritirare il Premio ed a leggere un messaggio di ringraziamento, scritto dalla madre, sono stati i due figli gemelli, Kiana e Ali Rahmani, di 17 anni, che vivono in esilio a Parigi con il padre Taghi e non vedono la mamma da 7 anni. Nel suddetto messaggio, Narges Mohammadi, che proprio ieri ha iniziato uno sciopero della fame (per solidarietà verso la minoranza religiosa bahà’i), ha ribadito: «In Iran c’è un regime religioso tirannico e misogino»

Nei giorni scorsi i due figli di Narges Mohammadi avevano partecipato ad conferenza stampa, a Oslo, durante la quale Kiana aveva letto un messaggio della madre che elogiava l’essenziale ruolo svolto dai media internazionali nel «trasmettere al mondo la voce dei dissidenti, dei manifestanti e dei difensori dei diritti umani». La ragazza aveva poi confessato di avere ben poche speranze di rivedere sua madre: «Forse la rivedrò tra 30 o 40 anni, ma credo che non la rivedrò più. Tuttavia, non importa, perché mia madre vivrà sempre nel mio cuore, trasmettendomi i valori per i quali vale la pena lottare».

Sulla brutale repressione da tempo in atto in Iran, lanciai su Change.org l’8 dicembre 2022 la petizione “La criminale repressione in Iran – sospendiamo le relazioni diplomatiche con l’Iran”, indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Governo italiano ed ai Segretari dei Partiti Politici Italiani. Per chi volesse sottoscriverla cliccare qui. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Ingegnere, PhD. Membro della Commissione istruttoria per l’Autorizzazione integrata ambientale del ministero della Transizione ecologica, collaudatore di edifici con sistemi antisismici, vicepresidente dell’«Expert Committee of Ismi» (Cina). Già direttore del Centro Enea di Bologna e docente in varie università italiane e 2 cinesi. Autore o coautore di oltre 2.200 articoli e di 5 libri (fra cui, «Proteggersi dal Terremoto: le Moderne Tecnologie e Metodologie e la Nuova Normativa Sismica», 21mo Secolo, Milano, 2005). Relatore in numerosi convegni nazionali ed internazionali. Presidente fondatore dell’associazione nazionale “Gruppo di Lavoro Isolamento Sismico” ed internazionali “Anti-Seismic Systems International Society” ed “International Seismic Safety Organization”.