Palazzo bombardato a Gaza City; sotto il titolo, una bambina ferita alla ripresa dei bombardamenti dell’esercito israeliano il 3 dicembre dopo una settimana di tregua

La vendetta bellicista del premier israeliano si appresta ad accrescere il gran numero di morti nella Striscia di Gaza. Già ampiamente superato il rapporto di dieci a uno tra vittime civili palestinesi e israeliane. L’escalation di una guerra di “unità nazionale” è diventata il salvacondotto politico del capo del governo di Tel Aviv, inseguito da scandali e processi per corruzione. L’ignavia dell’Unione Europea e la sua irrilevanza conclamata nella gestione dei conflitti geopolitici lascia aperta una sola strada per fermare la furia iconoclasta di Netanyahu: la decisione di Joe Biden di togliere la copertura economica al suo Paese. Quanto di più difficile si possa immaginare oggi. Con una questione cruciale oramai ineludibile: valgono anche per lo Stato di Israele le leggi internazionali?


◆ L’analisi di MASSIMO SCALIA

Dopo la coraggiosa iniziativa presa dal segretario delle Nazioni Unite, António Guterres, per il “cessate il fuoco” è arrivato il momento di non ridurre il conflitto in atto alla sola proclamazione del diritto di Israele ad esistere, un diritto certo sacro, ma di ragionare in termini meno conformisti di quelli della quasi totalità dei media, inclusi gli insopprimibili talk show. Certo, questo non può avvenire ad opera di una Destra, e del suo Governo, appecoronati in maniera quasi indecorosa ai piedi della — in precedenza — tanto criticata e vituperata Unione Europea. Intendiamoci, una critica dura alla Unione Europea non può mancare, soprattutto per la sua inesistenza davanti ai conflitti alle sue porte, come è stato più volte fatto notare, però la Meloni al bacio in bocca con la Metsola e con la Von der Leyen suscita un qualche stupore almeno rispetto alle sue posizioni preelettorali. E qualcuno deve aver spiegato a Salvini che Giorgia, coi suoi abbracci europei, sta marciando come un treno verso il Centro, in vista delle elezioni Ue, e non è escluso che, magari più avanti, si produca in una delle sue bonarie uscite in romanesco: “La nuova DC semo noantri”. Il Capitano ha reagito alla grande e ha convocato la riunione degli sporcaccioni di Visegrad più Santa Maria Le Pen. “Gliela faccio vedere io, a quella lì. Gleli fotto io i voti di estrema destra!” 

Se quindi la Destra, che a parte le consuete inefficaci minchiate del Capitano, non si discosta di un millimetro dalla politica della Ue e prosegue la tradizione italiana di seguire fedelmente la politica estera degli Usa, a chi il compito di mettere sotto la lente la questione del conflitto tra Israele ed Hamas? Verrebbe da dire: la “Sinistra”, o il “Centro-sinistra” o, forse, il “Non Centro-destra”. Ma, a parte quest’ultima formulazione, che apre non trascurabili dubbi, per le prime due si ha la sensazione, talvolta, che rimandino a personaggi tipo “Spiderman” o “Superman”. Immaginari.

Allora proviamo a ragionare tra di noi. Noi che ci sdegniamo quando si vuole mettere in discussione l’esistenza dello Stato di Israele, che siamo ancora incazzati perché i capi Palestinesi, che fossero Arafat o Abu Mazen, hanno mandato a monte trattative così favorevoli per i Palestinesi, che è improbabile si possa ripresentare una soluzione in quegli stessi termini, inverando la compiaciuta battuta israeliana sui gruppi dirigenti palestinesi imbattibili nel perdere le buone occasioni. Insomma, anche se oggi può sembrare utopistico, siamo quelli che ritengono che “Due popoli, due stati” rimanga un riferimento assolutamente da non abbandonare. Del resto, è la soluzione che Yair Lapid, ex primo ministro e attuale capo dell’opposizione a Netanyahu, definì “giusta” davanti all’Assemblea delle Nazioni Unite, quando era in carica, con la chiosa, obbligata, che “lo Stato palestinese non si trasformi in una base terrorista come avvenuto a Gaza”.

E questo è il punto dolente per ogni trattativa. Che Stati arabi guidati da autocrati spesso corrotti non vogliano riconoscere lo Stato di Israele è un’ipocrisia insopportabile ma non decisiva, il problema è che non lo vuole riconoscere Hamas. E non lo vuole riconoscere la vera potenza regionale, l’Iran, che però, se mai si aprisse una trattativa, avrebbe assai meno peso di adesso. Hamas e il Governo Netanyahu hanno lo stesso obiettivo: prolungare la guerra. Hamas per denunciare al mondo i massacri di civili operati da Tsahal e suscitare nuove antipatie e la peste dell’antisemitismo, Netanyahu per poter esibire la testa di qualche “re di quadri” del gruppo dirigente di Hamas, puntellando con la guerra di “unità nazionale” la sua più che traballante posizione politica. Viene in mente la guerra in Ucraina, quando dopo mesi di conflitto si cominciavano a vedere bene — scontato il dramma degli Ucraini — non solo i danni arrecati alla ignava Unione Europea, ma anche quelli che Putin stava procurando al popolo russo; e qualche nobile voce di Destra si levò osservando che in fin dei conti se lo meritavano, a tenersi quel dittatore! E il fatto che la difficoltà per una improbabile sostituzione del massimo esponente del “diagramma del cretino” (https://italialibera.online/primo-piano/la-guerra-di-putin-il-diagramma-del-cretino-gli-inconsci-delle-nazioni-e-la-via-della-pace/) fosse resa ancor più impervia dalla guerra, non veniva neanche adombrato. Le processioni di vari leader europei a prendere atto delle fosse comuni di Bucha, riempite di civili prima torturati, sembravano appagare gli animi dei visitatori in vista di un processo per crimini contro l’umanità del massimo responsabile.

Prigionieri palestinesi denudate e trasferite nel nord della Striscia di Gaza

Ora, le atrocità delle guerre sono il loro carattere distintivo, come già rappresentava Voltaire nel suo “Candide” in un’Europa percorsa quotidianamente dalle torture e dai massacri dei conflitti, e come ricorda, quasi quotidianamente, Papa Bergoglio. Allora sorge inevitabilmente la domanda: “I morti civili ammazzati in guerra valgono di più se prima sono stati torturati?” Torture e sevizie sono un marchio d’infamia per chi le opera, per di più gioendo mentre infierisce, ma alla fine restano i morti come inoppugnabile testimonianza degli effetti della guerra. E i civili dovrebbero invece godere, si fa per dire, di una loro teorica esclusione dalle torture e dalla morte per guerra, quale sancita da convenzioni internazionali. Insomma, come già ammoniva lo stesso Biden, ripreso da Blinken nella sua ambasceria nel Vicino Oriente, che Israele non commettesse gli stessi errori commessi dagli Usa nei conflitti scatenati in Medio Oriente dopo l’attacco alle Torri gemelle con i loro tremila morti civili. Netanyahu ha risposto con un rifiuto arrogante, e ci ha aggiunto poi di suo, forte della presenza della “Carter” sotto costa, che, se Hezbollah si muoverà, lui renderà il Libano una seconda Gaza.

Intanto il rapporto tra civili uccisi registra già il dieci contro uno di Palestinesi rispetto agli Israeliani, destinato ad aumentare se si pensa al dramma di un popolo confinato nel Sud della Striscia, dove è stato spinto forzosamente da Tsahal, salvo poi bombardarlo anche lì, sempre a caccia dei terroristi. Che una guerra urbana, casa per casa, tunnel per tunnel, sia estremamente difficile da condurre e ricca di imprevisti lo spiegano fere cotidie i “soloni” dei talk show. Noi continuiamo a guardare al crescere dei morti civili che non possono ammettere come giustificazione le barbare atrocità di Hamas, che hanno scatenato una risposta di Israele al di fuori e al di sopra delle richiamate convenzioni internazionali. Sì, ma Israele è accerchiata da Stati che non riconoscono il suo diritto ad esistere. Vero, ma per dirla con brutale franchezza, sono “chiacchiere e distintivo” come hanno mostrato le guerre che si sono succedute in oltre cinquant’anni. Tsahal è di gran lunga più forte, e l’unico Stato che potrebbe forse fargli fronte è l’Iran, lontano dai suoi confini. Poi, a rimuovere ogni ipocrisia, varrà la pena ricordare che Israele è l’unico tra i suoi confinanti, o prossimi, a possedere l’atomica, com’è noto da almeno vent’anni. Come è nota la sua attenzione alla questione dell’inestricabile legame “civile/militare” del nucleare, sottolineato dal bombardamento israeliano nel 1981 – l’azione “Opera” – del mini-reattore elettronucleare “Osirak”, di marca francese e con uno zampino italiano, alla periferia di Baghdad. Nessuno aprì bocca, e l’“opera” fu poi completata dagli Americani nel 1991. 

I resti del sito nucleare alle porte di Baghdad il 7 giugno 1981 subito dopo il bombardamento degli F16 israeliani

La pretesa di “abbattere” o non riconoscere lo Stato di Israele ha un formidabile fronte contrapposto, quale si è schierato nel recente conflitto, e, da ultimo ma non certo ultimo, la deterrenza atomica. Insomma, la vera minaccia è rappresentata da Hamas, contro cui Netanyahu ha voluto come risposta una “vendetta” contro “i terroristi”, sbagliata strategicamente – talvolta anche i “soloni” possono non dire minchiate – ma che si sta ricoprendo sempre più dell’infamia dei crimini di guerra contro una popolazione civile. La coraggiosa richiesta di Guterres aprirebbe la porta, in un secondo momento, all’incriminazione di Netanyahu. Ma chi può portarla avanti? Non il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dove siedono Paesi che di crimini di guerra se ne intendono e hanno il nervo più che scoperto. Non l’ignava Ue, che continua a pagare la sua inesistenza come Federazione o, almeno, come Confederazione. E neanche gli Stati Unti, dove il peso della comunità ebraica è assai forte soprattutto in tempo di elezioni. 

Quello che Joe Biden potrebbe fare è richiamare nuovamente il Governo Netanyahu – che in nome della sicurezza dello Stato di Israele sta facendo di tutto per estendere il conflitto, dalla West Bank alle minacce al Libano — a recedere dal suo pericolosissimo bellicismo, pena, questa volta, di divenire oggetto di pesanti sanzioni economiche. È l’unica motivazione che può portare alla riflessione — e al coraggio, gli oppositori del Premier – un Paese aduso, purtroppo, a non rispettare nessuna delle numerose risoluzioni dell’Onu, che si sono succedute nei decenni e in qualche modo ispirate proprio al “due popoli, due stati”. Il non intervenire con delle sanzioni, a partire dalla minaccia di attuarle, lascia campo libero a ulteriori massacri e a un futuro dove la follia di Netanyahu vorrebbe per Israele il controllo completo di Gaza alla fine del conflitto. Non basta avergli detto, come ha fatto Biden, che non se ne parla neanche. Il Nostro, accecato da un’arroganza vincente, ci consegnerebbe tutti a uno scontro diretto con l’Iran. Che è in mano a dei preti fanatici, che ormai l’atomica ce l’hanno come anche i missili per lanciarla. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Scienziato e politico, leader del movimento antinucleare e tra i fondatori di Legambiente. Primo firmatario, con Alex Langer, dell’appello (1984) per Liste Verdi nazionali. Alla Camera per i Verdi (1987-2001) ha portato a compimento la chiusura del nucleare, le leggi su rinnovabili e risparmio energetico, la legge sul bando dell’amianto. Presidente delle due prime Commissioni d’inchiesta sui rifiuti (“Ecomafie”): traffici illeciti nazionali e internazionali; waste connection (Ilaria Alpi e Miran Hrovatin); gestione delle scorie nucleari. Tra gli ispiratori della Green Economy, è stato a fianco della ribellione di Scanzano (2003) e consulente scientifico nelle azioni contro la centrale di Porto Tolle e il carbone dell’Enel (2011-14). Co-presidente del Decennio per l’Educazione allo Sviluppo Sostenibile dell’Unesco (2005-14). Tra i padri dell’ambientalismo scientifico, suo un modello teorico di “stato stazionario globale” (2020) (https://www.researchgate.net/profile/Massimo-Scalia)