Allo scoccare di un secolo di vita, l’ex capo della diplomazia americana consegna definitamente alla storia la parabola del suo potere di influenza attraverso i più prestigiosi incarichi nei think tank di politica estera e di difesa d’Oltreoceano. Mettendosi al servizio della politica del presidente americano Richard Nixon a cavallo tra anni Sessanta e Settanta, Kissinger ispira la più radicale Realpolitik e risolve il conflitto tra politica e morale semplicemente eliminando il secondo termine. Appoggia i bombardamenti contro la popolazione civile del Vietnam del Nord e quelli a tappeto contro la Cambogia, illegali perché non autorizzati dal Congresso. Ma avvia anche il processo di distensione con l’Unione Sovietica di Leonid Brezhnev, firma il primo accordo sulla limitazione delle armi nucleari e lavora al riavvicinamento con la Cina comunista in funzione antisovietica. In Sudamerica promuove nel 1973 il colpo di stato in Cile del generale Pinochet e, nel 1976, il colpo di stato dei militari argentini

Il dittatore cileno Augusto Pinochet riceve a Santiago del Cile il Segretario di Stato americano Henry Kissnger

L’analisi di STEFANO RIZZO, americanista

Hans Morgenthau, il padre della scuola realista delle relazioni internazionali, aveva posto al centro della sua riflessione il rapporto tra agire politico e moralità. In un famoso passo del suo Politics Among Nations (1948) sosteneva che, seppure il valore politico sia diverso dal valore morale, come è diverso dal valore economico e dal valore religioso, «un uomo che non fosse altro che ‘uomo politico’ sarebbe una bestia, poiché non avrebbe freni morali». 

Hans Morgenthau

Questa sentenza di Morgentau pesa sulla figura e l’opera di Henry Kissinger, che di Morgenthau oltretutto fu allievo a Harvard. Più che di realismo nel caso di Kissinger si può parlare di Realpolitik (ed in effetti dedicò la sua tesi di dottorato alla figura di Metternich, il fondatore del sistema di stati uscito dal Congresso di Vienna) o di ragion di stato, il concetto alla base dell’assolutismo del XVII secolo, anticipato (anche se con molti distinguo) da Machiavelli. Nella sua pratica di capo della diplomazia americana e di consigliere del “principe” Richard Nixon, Kissinger risolve in maniera radicale il conflitto tra politica e morale semplicemente eliminando il secondo termine. Se i neoconservatori, con la loro dottrina dell’esportazione della democrazia manu militari, hanno rappresentato una “perversione” dell’idealismo wilsoniano, Kissinger ha impersonato la perversione del realismo classico di Morgenthau, il quale sosteneva che lo stato, nel perseguire il proprio interesse inteso come accrescimento della potenza, non deve farsi guidare da principi morali, ma non deve neppure ignorarli. Non solo la pratica delle relazioni internazionali di Kissinger contrasta con la teoria del suo maestro Morgenthau, ma anche con la sua stessa teoria, quando si trova ad esporla in libri “scientifici”.

Henry Kissinger (nato nel 1923), anche lui emigrato all’età di 15 anni dalla Germania nazista, inizia i suoi studi universitari al City College di New York (un’università pubblica che consentiva a molti giovani ebrei, brillanti ma di modesti mezzi, di accedervi – tanto più che le più prestigiose università dell’Est erano loro precluse per motivi razziali). Dopo il servizio militare può iscriversi ad Harvard dove si laurea con il massimo dei voti e di lì a poco entra a far parte del corpo accademico. Seguiranno una serie di prestigiosi incarichi nei think tank di politica estera e di difesa che gli daranno notorietà. 

Washington, 8 ottobre 1973, Studio Ovale della Casa Bianca: Richard Nixon e Henry Kissinger

Nel 1968 lavora come consulente del governatore repubblicano di New York Nelson Rockefeller che intendeva candidarsi alla presidenza. Rockefeller non ottiene la nomination, ma dopo le elezioni il nuovo presidente Richard Nixon chiama Kissinger alla Casa Bianca come consigliere per la sicurezza nazionale. In quella veste e poi come ministro degli Esteri (occupando le due cariche contemporaneamente), sarà per sette anni, dal 1969 al 1976, il dominus della politica estera e di difesa degli Stati Uniti. Nei primi anni ’70 è il principale artefice della distensione con l’Unione Sovietica di Leonid Brezhnev, concludendo accordi commerciali e il primo trattato di limitazione delle armi nucleari (Salt-I del 1974). Contemporaneamente opererà un rapprochement con la Cina comunista in funzione antisovietica, organizzando nel 1972 lo storico incontro tra Nixon e Mao Zedong. 

Tra il 1973 e il 1975 negozia gli accordi di Helsinki che porranno fine formalmente alla seconda guerra mondiale dando vita alla Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce). Di fronte alla manifesta impossibilità di vincere la guerra del Vietnam, condurrà le trattative per arrivare alla pace (il che gli valse nel 1973 il premio Nobel per la pace), ma non prima di avere sottoposto il Vietnam del Nord a devastanti bombardamenti contro la popolazione civile; per gli stessi motivi “strategici” nel 1970 aveva appoggiato i bombardamenti a tappeto (illegali perché vietati dal Congresso) della Cambogia. Verso l’America latina continuò la politica tradizionale di sostegno alle dittature militari filoamericane in funzione antisovietica, promuovendo nel 1973 il colpo di stato in Cile del generale Pinochet e, nel 1976, il colpo di stato dei militari argentini, con tutti gli orrori che ne seguirono nell’uno e nell’altro paese. 

Negli anni successivi, uscito dalle stanze del potere, continuò ad esercitare una forte influenza sulle amministrazioni repubblicane, svolgendo ancora negli ultimi anni una funzione di consigliere informale del presidente George Bush, di cui approvò la strategia della guerra contro il terrorismo, la guerra afgana e quella irachena. Attraverso una sua società di consulenza (Kissinger and Associates) e la partecipazione ad organizzazioni come l’Aspen Institute (un club molto selettivo di politica estera e militare), la immancabile presenza al Forum economico mondiale di Davos, Henry Kissinger fa parte a pieno di titolo di quella che lo scrittore David Rothkopf ha chiamato la “superclass, l’élite globale che decide gli affari politici ed economici del mondo al di là e al di sopra dei governi.

Questa, in breve, la pratica delle relazioni internazionali di Henry Kissinger, una pratica ispirata alle massime del realismo applicate con una torsione da Realpolitik, in cui gli scrupoli morali sembrano totalmente assenti. La sua teoria è invece molto più sfumata e di più durevole interesse. Lo vedremo meglio domani. — (1. continua)

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(Tratto, con modifiche, da: Stefano Rizzo, Teorie e pratiche delle relazioni internazionali, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2009, pp. 76-80)

Giornalista, docente universitario, romanziere, ha insegnato relazioni internazionali all’Università la Sapienza di Roma. Ha collaborato con svariate testate a stampa e online scrivendo prevalentemente di politica e istituzioni degli Stati Uniti. E’ autore di svariati volumi di politica internazionale: Ascesa e caduta del bushismo (Ediesse, 2006), La svolta americana (Ediesse, 2008), Teorie e pratiche delle relazioni internazionali (Nuova Cultura,2009), Le rivoluzioni della dignità (Ediesse, 2012), The Changing Faces of Populism (Feps, 2013). Ha pubblicato quattro volumi di narrativa; l’ultimo è Melencolia (Mincione, 2017)