Primi passi di sindacalizzazione nei magazzini Amazon; in alto manifestazione lavoratori Google

Amazon finisce nel mirino del presidente Biden per comportamento antisindacale. Uno dei più grandi sindacati Usa, Teamster, vara un ampio piano di sindacalizzazione in tutti i centri di lavoro della multinazionale, stanziando una cifra considerevole per il suo finanziamento. Nel cuore della Silicon Valley, a Google, 230 ingegneri danno vita all’Alphabet Workers Union: un’unione sindacale per influenzare filosofia e cultura aziendale. Dopo la protesta di un gruppo di lavoratori di Cupertino, alla Apple salta un ex alto funzionario di Facebook, per i toni “macho” con cui paragona il marketing alle strategie per portarsi a letto cinque donne insieme…


L’analisi di TONI FERIGO

PIÙ DI UN ITALIANO e molti media internazionali hanno fatto di Amazon la multinazionale più citata del Gafa: Google, Apple, Facebook, Amazon. Le ragioni sono il successo economico − l’ex amministratore delegato è divenuto l’uomo più ricco del pianeta, tanto da permettersi un viaggetto nello spazio − e l’efficacia del sistema organizzativo, che consente una elevata soddisfazione del cliente. In altri termini, tutto ciò che ha fatto di Amazon l’impresa a cui ispirarsi se si vuole ottenere successo imprenditoriale oggi. Pochi commentatori hanno messo in luce, però, che i problemi non sono assenti neanche lì. Se la soddisfazione del cliente è al primo posto, non lo è la condizione di lavoro e la soddisfazione di donne e uomini che di Amazon non sono consumatori ma dipendenti. Lo dimostrano diversi episodi, sia in Europa che negli Usa. Scioperi in Italia e altri paesi europei dei fattorini, tentativo di sindacalizzazione in un stabilimento nel Sud degli Stati Uniti.

Il sindacato americano Teamstear vara un progetto di sindacalizzazione in tutti i centri Amazon

Non si può dire, però, che l’immagine di Amazon ne sia uscita offuscata, o risulti meno brillante. Eppure, la critica ad Amazon per i suoi comportamenti anti sindacali è arrivata addirittura da Biden. Il richiamo del Presidente americano non è bastato al sindacato per vincere le elezioni nello stabilimento in Alabama, nel profondo Sud. Quella che pare una sconfitta si sta rivelando, tuttavia, come il classico cerino che dà fuoco alla prateria. Non solo altri stabilimenti Amazon vogliono seguirne l’esempio; uno dei più grandi sindacati Usa, Teamster, ha annunciato il varo di un ampio piano di sindacalizzazione in tutti i centri di lavoro della multinazionale, stanziando una considerevole cifra per il suo finanziamento. Una situazione impensabile sino a poco tempo fa. Ma non è solo di Amazon che voglio parlare.

Sebbene, per sua natura, Amazon sia nel Gafa quella che ha maggiori probabilità di avere un sindacato, non è affatto l’unica a doversi misurare con la rappresentanza dei suoi lavoratori. Un’altro gigante come Google ha visto un gruppo di suoi dipendenti di alta professionalità creare un loro sindacato. A gennaio, circa 230 ingegneri della società madre, con sede nella Silicon Valley in California, hanno annunciato la fondazione dell’Alphabet Workers Union (Awu), con l’obiettivo di rappresentare tutte le società del gruppo. Ad oggi hanno superato il migliaio di affiliati. Nonostante ciò, l’Alphabet Workers Union rappresenta ancora una piccola parte delle migliaia di lavoratori che compongono la forza lavoro in Google.

Riunione su zoom degli aderenti a Alphaìbet Workers Union fondata da 230 ingegneri Google

Ma perché si forma un sindacato nella Mecca del lavoro altamente qualificato? Bisogna tenere conto di alcune peculiarità, rispetto alle organizzazioni tradizionali. Per cominciare, i contratti di lavoro sono unicamente individuali con normative diverse da quelle regolate da contratti collettivi. L’azienda non è obbligata a considerare il sindacato un interlocutore con cui contrattare. E l’alta professionalità in Google pareva escludere problemi di natura sindacale: stipendi, premi, qualifiche. Come hanno dichiarato, però, gli stessi fondatori sul loro sito web, la questione dello stipendio non è affatto il più vitale dei loro obiettivi. Non è la stessa cosa essere un ingegnere a San Francisco negli uffici del motore di ricerca internet più utilizzato al mondo, o fare il corriere e lavorare in un magazzino perso nel Midwest americano assunto a tempo determinato per preparare i pacchi del “Prime Day”: «I nostri obiettivi vanno al di là di domande come “Le persone sono pagate abbastanza?”; i nostri problemi sono molto più ampi», scrivono sul loro sito web», dicono i sindacalisti della Awu.

Alphabet pare, piuttosto, un’unione ideologica che cerca di influenzare la filosofia e la cultura dell’azienda, ma anche le strategie di immagine, come affermano apertamente Parul Koul e Chewy Shaw, rispettivamente presidente e vicepresidente dell’organizzazione sindacale, in una lettera inviata al “New York Times”. «Per troppo tempo, migliaia di noi di Google e di altre sussidiarie di Alphabet hanno avuto problemi di lavoro ignorati dai nostri superiori», hanno scritto nella lettera. Elencando una serie di critiche: la collaborazione della loro organizzazione produttiva con «governi repressivi di tutto il mondo», «la pubblicità pagata da gruppi responsabili di campagne di odio», o s’è prestata a sviluppare sistemi di intelligenza artificiale per il Dipartimento della Difesa americano. Criticano, inoltre, sia la gestione delle denunce di molestie sul posto di lavoro sia la mancata adozione di misure rigorose contro la discriminazione per motivi razziali.

Antonio García Martínez espulso dalla Apple dopo la protesta dei lavoratori di Cupertino

Sotto il fuoco della critica non c’è solo Google. Quello di Mountain View è il caso più estremo di un trend che ha iniziato a prendere forza nella Silicon Valley: sono i lavoratori in buone condizioni professionali che iniziano a organizzarsi per premere sull’azienda e ribaltare alcune sue decisioni, in parte disincantati rispetto alla cultura aziendale, all’immagine, cioè, che Google alimenta per attrarre talenti. Se le retribuzioni non sono un problema, la dignità delle persone e del loro lavoro evidentemente lo è. Altri esempi alla Basecamp. Qui vi è stata una rivolta interna che ha provocato la fuga di un dipendente su tre. La ragione? Bandire le discussioni politiche di sostegno a Trump sul lavoro.

Anche Apple poche settimane fa ha dovuto annullare l’assunzione di Antonio García Martínez, ex alto funzionario nel settore pubblicitario di Facebook, dopo la protesta di un gruppo di dipendenti di Cupertino. La scintilla che ha dato fuoco alla miccia è stata l’autobiografia di questo manager, considerato “macho” per aver collezionato dichiarazioni in cui le attività di marketing venivano paragonate alle strategie per convincere cinque donne a venire insieme a letto con te. Insomma, grazie a Trump e nonostante le virulente campagne antisindacali dei repubblicani, qualcosa si muove. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Nato a Torino, ha svolto diversi compiti nella Federazione Italiana Metalmeccanici: delegato in fabbrica, responsabile zona a Rivalta (To), ufficio formazione e ricerca nella federazione nazionale, responsabile ufficio internazionale Flm, membro della segreteria della Fism (Federazione Mondiale Sindacati Metalmeccanici) con sede a Ginevra. Nella sua attività si è occupato, in particolare, di studi e ricerche sulla organizzazione del lavoro nel settore automotive, dei sistemi di relazioni industriali in Europa, Usa e America Latina. Per la Fism è stato anche coordinatore delle Aree balcaniche e del Medio Oriente. Attualmente vive nella riserva indiana della Val Susa, e svolge qualche ricerca di base sulle condizioni di lavoro nel presente.