Gli ascolti televisivi del Giro e del Tour dovrebbero convincere industriali e grandi imprese commerciali a formare almeno una squadra tutta italiana scientificamente preparata, allestita, messa su strada. Possibile che lo stesso sommo passista Filippo Ganna debba fare il gregario in una squadra straniera, la Ineos Grenadiers, quando la strada s’impenna? Le sigle industriali o commerciali hanno consentito ai Gimondi e ai Pantani di essere capitani, e che capitani, di squadre italiane. I nostri giovani ciclisti devono, invece, sin dagli esordi rassegnarsi al duro e sacrificato mestiere di gregario

L’articolo di VITTORIO EMILIANI
NON ABBIAMO PIÙ campioni del ciclismo, a parte il fenomenale Ganna passista e pistard formidabile. E gli altri? Nibali ha dato quanto poteva dare e dopo il grave incidente stenta a tornare in alto, lui scalatore egregio e discesista da paura. Gli altri? Bravi ce ne sono, però fanno i gregari, tirano le volate per chilometri a campioni stranieri facendo parte di squadre non meno straniere. Eppure gli ascolti Rai in tv catturano persino più di 3 milioni di spettatori per la tappa dello Zoncolan. Incredibile poco tempo fa. Era uno sport considerato da “anziani” e basta. Oltre 3 milioni di anziani? Non scherziamo.
Possibile che un’industria importante, come era la Salvarani, o una grande azienda commerciale, come la Mercatone Uno per la quale gareggiava l’indimenticabile Pantani guidato da Luciano Pezzi ex gregario di lusso di Fausto Coppi, non ci sia più e non comprenda quale veicolo pubblicitario di massa sta perdendo? I nostri giovani ciclisti devono sin dagli esordi rassegnarsi al duro e sacrificato mestiere di gregario. A me sembra una cosa fuori dal mondo del razionale.

Da ragazzo, essendo romagnolo (da noi, secondo Sergio Zavoli, c’era nelle case un milione di biciclette, da quelle sgangherate delle vecchie zie a quelle da corsa dei ragazzi). La Romagna ha dato un campionissimo della strada e della pista come Ercole Baldini di Villanova di Forlì, oro olimpico, campione del mondo per distacco a Reims, vincitore in montagna di un Giro d’Italia lui così grande e grosso, assai più passista che scalatore. Ma quando c’è la classe… Un altro romagnolo, scalatore invece, Arnaldo Pambianco detto Gabanèin per la giacchetta che indossava come garzone di panettiere staccò il grande Anquetil fra i muri di neve dello Stelvio.
Ero un ragazzo di V Elementare quando vidi passare il primo Giro d’Italia del dopoguerra nella discesa difficile e fangosa del Passo del Muraglione, fra Firenze e Forlì: erano già in testa, nettamente, Coppi, Bartali, Cottur (maglia rosa, triestino), Ortelli e Ronconi (secondo ad un Tour de France nel 1937). Gli altri nettamente staccati. A Ferrara qualche anno dopo vidi Coppi approfittare della salitella di un cavalcavia per staccare tutti nettamente e non avere problemi per prendere al volo il sacchetto del rifornimento. A San Marino dopo un circuito con tanta salita assistetti allo sfogo di Bartali che a colpi di pompa si liberava dei tifosi che ostinatamente lo assediavano soffocandolo.

Poi Fiorenzo Magni ha introdotto le sponsorizzazioni e il panorama è cambiato, ma, come ho già detto, le sigle industriali o commerciali hanno consentito ai Gimondi e ai Pantani di essere capitani, e che capitani, di squadre italiane. Gli ascolti televisivi del Giro e del Tour dovrebbero convincere industriali e grandi imprese commerciali a formare almeno una squadra tutta italiana scientificamente preparata, allestita, messa su strada. Possibile che lo stesso sommo passista Filippo Ganna debba fare il gregario in una squadra straniera, la Ineos Grenadiers, quando la strada s’impenna?
Bartali l’ho conosciuto benissimo perché alcuni speculatori toscani lo avevano ridotto in miseria e il “Giorno” prima e il “Messaggero” poi gli pagavano una collaborazione “Il colonnino di Bartali”, gli davamo pure un buon gettone per la presentazione della Tirreno-Adriatico o per le frequenti tavole rotonde sulle piste ciclabili. Entrato in confidenza, un giorno gli confidai: «Gino, io però tifavo per Coppi, mio fratello per te». Un attimo di silenzio e poi: «E si vede il tu’ fratello gli è intelligente e tu eri bischero». E giù a ridere fragorosamente con la sua voce arrochita dalla immancabile sigaretta.
Era un credente convinto. Quando vinse il Tour nel 1938 non riuscirono a fargli fare il saluto romano, ricordò e ringraziò la Madonna. Poi, si sa, aderì all’invito dell’arcivescovo di Firenze, cardinale Elia Dalla Costa, di portare a destinazione arrotolati nei tubi della bici i salvacondotti per gli italiani ebrei altrimenti destinati alla deportazione nei campi di sterminio. Altri uomini, altro ciclismo. © RIPRODUZIONE RISERVATA