I porti sono un tema forte per l’informazione, perché raccontarli significa in qualche modo descrivere l’Italia, la sua economia, i suoi commerci, la sua efficienza, e misurare la sua capacità di essere competitiva prima di tutto in Europa. Una tema forte dell’informazione, ma da tempo ormai sottovalutato. Vittorio Emiliani alle inchieste sui porti deve molto della sua formazione di giornalista, e qui racconta l’inizio della sua carriera, e gli incontri che gli sono valsi una rapida crescita professionale. Perché anche un maestro ha i suoi maestri a cui fare riferimento


◆ Il corsivetto di VITTORIO EMILIANI

Se mi guardo indietro, mi dico che sono stato fortunato ad incrociare alcuni autentici maestri di giornalismo. Il primo o la prima è stata Camilla Cederna con la quale realizzai una inchiesta sul Nord Milano degli immigrati veneti e meridionali, i terroni, sulla quale L’Espresso diretto da Arrigo Benedetti pubblicò un amplissimo servizio firmato da Camilla e alcuni box “con la collaborazione di Vittorio Emiliani e Giuseppe Tarozzi“. Che era comunque una utile medaglia.

Di quella pubblicazione si avvide Italo Pietra da poco direttore del Giorno il quale accolse il mio progettino per alcune schede dedicate ad altrettanti centri della provincia italiana come Cesena capitale dell’ortofrutta, Fidenza, Urbino, Frosinone, ecc. Lo stesso Pietra però mi propose una inchiesta su Genova un tempo primo porto marittimo italiano ora invecchiato nelle infrastrutture portuali e ancor più nella mentalità troppo legata allo “scagno”, lontana cioè dalla imprenditorialità delle Agenzie Marittime e vicina alle polverose case di spedizioni, vecchie e tradizionaliste.

A Genova poi dava molto fastidio che fosse un giornale di Milano come il Giorno a condurre quelle inchieste fondate su cifre e situazioni genovesi reali. Quando scrissi che il porto di Genova fruendo di una rendita monopolistica indossava un vestito vecchio e liso, l’ex sindaco Vittorio Pertusio retoricamente replicò che era vero ma lo portava con grande dignità. Replicammo che quella dignità non lo preservava dalla concorrenza sui costi operativi di porti vicini come Savona o Livorno e soprattutto dai grandi scali marittimi europei come Marsiglia Foss e come Amsterdam e Rotterdam. E come il nuovo porto londinese di Tilbury.

Il Corriere della Sera aveva condotto con un ottimo inviato, Alberto Cavallari , una serie di servizi sui porti ma seguendo la linea confindustriale delle Autonomie Funzionali cioè affidando il lavoro di carico e scarico non più alle Compagnie Portuali certo corporative e però con personale decisamente professionale. Errore anzi svarione non da poco di natura ideologica avendo le Compagnie Portuali un personale di sinistra a volte libertario e però, come ho avuto già modo di dire, molto professionale. E sulla professionalità si basava il fatto che i carichi fossero stivati in modo razionale rendendo regolare la navigazione.

Fu una esperienza straordinaria per un giovane giornalista come me fare il giro di tutti i porti italiani, isole comprese, ma non ne trassi il libro-inchiesta che mi auguravo perché non trovai un editore disposto a costi ragionevoli a pubblicarlo. Né io avevo i mezzi per editarlo autonomamente. Purtroppo. Perché un certo mercato ci sarebbe stato, all’epoca. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Direttore onorario - Ha cominciato a 21 anni a Comunità, poi all'Espresso da Milano, redattore e quindi inviato del Giorno con Italo Pietra dal 1961 al 1972. Dal 1974 inviato del Messaggero che ha poi diretto per sette anni (1980-87), deputato progressista nel '94, presidente della Fondazione Rossini e membro del CdA concerti di Santa Cecilia. Consigliere della RAI dal 1998 al 2002. Autore di una trentina di libri fra cui "Roma capitale Malamata", il Mulino.