Il ponte romanico di Pigna (sotto il titolo) ha salvato, per il suo valore monumentale, le acque limpidissime del Rio Carne, ricche di trote e dei rari gamberi di fiume

In uno dei più bei territori d’Italia, alle spalle di Ventimiglia, con ampie aree ancora wilderness, c’è un comune, Pigna. E nel comune di Pigna c’è un rio, il Rio Carne, dalle acque limpidissime, ricche di trote e dei rari gamberi di fiume. Per la naturalità di questo corso d’acqua si batterono negli anni scorsi un certo numero di persone, gli “Amici del Rio Carne” e la stessa amministrazione comunale. Perché si batterono? Qual era la minaccia? L’ennesima centralina idroelettrica, che, ad onta del nome, saranno anche piccole (sotto i tre megawatt di potenza) ma fanno grandi disastri. La conclusione è che la centralina non si farà: non per il valore naturalistico del rio, ma per il valore monumentale del ponte romanico che lo attraversa


L’articolo di FABIO BALOCCO

NELL’ENTROTERRA DI di Ventimiglia, uno dei più bei territori d’Italia, con ampie aree ancora wilderness, c’è un comune, Pigna, che prende il nome dalla sua conformazione, appunto a forma di pigna. E nel comune di Pigna c’è un rio, il Rio Carne, dalle acque limpidissime, ricche di trote e dei rari gamberi di fiume. E per il mantenimento della naturalità di questo corso d’acqua — che forma splendide pozze all’altezza di un ponte romanico e di un mulino abbandonato — si batterono negli anni scorsi un certo numero di persone, gli “Amici del Rio Carne” e la stessa amministrazione comunale. Perché si batterono? Qual era la minaccia? Manco a dirlo, l’ennesima centralina idroelettrica, che, ad onta del nome, saranno anche piccole (sotto i tre megawatt di potenza) ma fanno grandi disastri, alla faccia dell’energia verde. Perché non basta rispettare il Deflusso Minimo Vitale, in realtà, per mantenere l’ecosistema di un rio montano, e comunque nessuno controlla che il deflusso sia rispettato. È così che ben più del 90% dei corsi d’acqua delle Alpi non versa più in condizioni di naturalità [leggi qui nota 1].

La realizzazione della centralina avrebbe segnato la fine dello splendido quadro che si gode sul ponte e a monte del ponte romanico; una vittoria difficilmente ripetibile lungo l’arco alpino

Ma se il pericolo che incombeva sul Rio Carne è purtroppo ripetibile in enne angoli dell’arco alpino, difficilmente ripetibile è invece la conclusione della storia, e cioè che la centralina non si farà, anche se non già per il valore naturalistico del rio, bensì per il valore monumentale del ponte romanico che lo attraversa [leggi qui nota 2].

Ma non voglio qui parlare solo di una vittoria tanto sofferta e voluta, quanto di un altro aspetto. La realizzazione della centralina avrebbe segnato la fine dello splendido quadro che si gode sul ponte e a monte del ponte. Una sequenza meravigliosa di pozze in un ambiente miracolosamente rimasto integro. E qui veniamo al punto che più mi preme. E cioè che, da un lato, in nome del profitto si sia disposti a sacrificare qualsiasi bene naturale, dall’altro che probabilmente il concetto di bellezza come si è sviluppato nei tempi andati stia scomparendo. Proviamo a fare un gioco di ruolo, proviamo a metterci nei panni dell’amministratore della ditta che voleva realizzare la centralina. Magari non si è neppure recato sul posto, magari ha visto solo le foto della zona, ma sicuramente avrà fatto o gli avranno fatto un rendering (oggi si chiamano così) di come la sua opera avrebbe trasformato il rio. Evidentemente riteneva che la bellezza potesse essere sacrificata, che più importante fosse il guadagno che avrebbe ricavato dalla vendita dell’energia elettrica. Ma se ha ragionato così — e deve aver ragionato così — è anche vero che alla bellezza questo signore non ha dato tutta l’importanza che do io e spero diate voi che mi leggete. Ossia, la bellezza è sacrificabile perché non è così importante, perché oggi tutto ha un prezzo, niente ha un valore. Tutto sommato, credo che sia questa la triste lezione che si può ricavare dalla favola pur a lieto fine del Rio Carne. E se è così, ci aspetta un mondo di brutture. Per noi, ma i nostri figli e nipoti non le reputeranno magari tali. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Nato a Savona, risiede in Val di Susa. Avvocato (attualmente in quiescenza), si è sempre battuto per difesa dell’ambiente e problematiche sociali. Ha scritto “Regole minime per sopravvivere” (ed. Pro Natura, 1991). Con altri autori “Piste o pèste” (ed. Pro Natura, 1992), “Disastro autostrada” (ed. Pro Natura, 1997), “Torino, oltre le apparenze” (Arianna Editrice, 2015), “Verde clandestino” (Edizioni Neos, 2017), “Loro e noi” (Edizioni Neos, 2018). Come unico autore “Poveri. Voci dell’indigenza. L’esempio di Torino” (Edizioni Neos, 2017), “Lontano fa Farinetti” (Edizioni Il Babi, 2019), “Per gioco. Voci e numeri del gioco d’azzardo” (Edizioni Neos, 2019), “Belle persone. Storie di passioni e di ideali” (Edizioni La Cevitou, 2020), "Un'Italia che scompare. Perché Ormea è un caso singolare" (Edizioni Il Babi, 2022). Ha coordinato “Il mare privato” (Edizioni Altreconomia, 2019). Collabora dal 2011 in qualità di blogger in campo ambientale e sociale con Il Fatto Quotidiano, Altreconomia, Natura & Società e Volere la Luna.