
Con il film sul drammaturgo agrigentino, il regista palermitano riesce in una impresa ad alto rischio dove molti prima di lui hanno fallito: portare il teatro nel cinema senza sacrificare le potenzialità espressive dell’uno e dell’altro mezzo. Una scelta sottolineata anche dall’uso sapiente della fotografia, cupa e quasi sgranata nelle parti di racconto, più luminosa e netta in quelle sul palcoscenico. Grande interpretazione di Toni Servillo nei panni di Luigi Pirandello e dei comici Salvo Ficarra e Valentino Picone, perfettamente a loro agio nella parte di due pittoreschi becchini appassionati di teatro
La recensione di BATTISTA GARDONCINI *
NON TUTTO È perduto se un film italiano sul teatro, recitato con i tempi e i modi del teatro, con una sceneggiatura che non prevede né sesso né morti ammazzati, sbanca il botteghino e risulta il più visto dell’ultima settimana di ottobre. È accaduto con “La stranezza” di Roberto Andò, interpretato da un grande Toni Servillo nei panni di Luigi Pirandello e dai comici Salvo Ficarra e Valentino Picone, perfettamente a loro agio nella parte di due pittoreschi becchini appassionati di teatro.
Pirandello torna in Sicilia per una visita al maestro del verismo Giovanni Verga. L’anziano scrittore gli riconosce di avere battuto strade nuove e “pericolose”, ma lui è depresso per la follia della moglie e in crisi di ispirazione. L’improvvisa morte della vecchia balia lo trattiene ad Agrigento per il funerale, e la sua permanenza in città si prolunga a causa della mancanza di loculi per la sepoltura. Può così assistere alle prove dello spettacolo che i due becchini stanno preparando con la loro compagnia di attori dilettanti, e alla serata della prima che si risolve in un disastro. Da quel disastro Pirandello trarrà ispirazione per la sua opera più controversa, “Sei personaggi in cerca di autore”, che diventerà un successo mondiale.

Andò è un autore poliedrico, a suo agio non soltanto come regista e sceneggiatore, ma anche come direttore artistico e scrittore. Con “La stranezza” riesce in una impresa ad alto rischio dove molti prima di lui hanno fallito: portare il teatro nel cinema senza sacrificare le potenzialità espressive dell’uno e dell’altro mezzo. Una scelta sottolineata anche dall’uso sapiente della fotografia, cupa e quasi sgranata nelle parti di racconto, più luminosa e netta in quelle sul palcoscenico. Il risultato sono 103 godibilissimi minuti che scorrono in perfetto equilibrio tra riflessione e leggerezza, o, per dirla come l’avrebbe detta Pirandello, tra il dramma e la commedia. © RIPRODUZIONE RISERVATA
(*) L’autore dirige oltreilponte.org