Mussolini a torso nudo sulla Riviera romagnola

Predappio, la città dove nacque Benito Mussolini, fu liberata dai polacchi, e la popolazione festeggiò con danze e veglioni. Per beffa del destino (e anche perché il cognome era molto diffuso in paese) alle feste suonò l’Orchestra Mussolini, che prendeva il nome da un lontano cugino del dittatore. Faceva furore, all’epoca, un musicista che si chiamava Zaclen, il cui nome veniva evocato per dare il via alle danze. Il Duce, invece, non aveva mai amato ballare. Ma si cimentò in una gara di ballo a Marina di Cervia, in qualità di sfidante… Stava perdendo, ma intervenne il Prefetto


◆ Il ricordo di VITTORIO EMILIANI

Quando Predappio, che aveva dato i natali a Benito Mussolini, fu liberata dai Polacchi del generale Anders, per festeggiare ripresero subito danze e veglioni. Comparvero sui muri grandi manifesti vistosi con scritte scarlatte su fondo giallo “Suonerà l’Orchestra Mussolini”. Si trattava di un lontano cugino e però faceva senso lo stesso. Del resto l’ex Duce in vita non aveva proprio la passione per il ballo così diffusa in Romagna. Bastava che qualcuno dai bordi della balera gridasse all’orchestrina “Taca Zaclen!” e subito i ballerini attaccavano a volteggiare a tutta velocità. Ma chi era questo Zaclen? In realtà era un musico vero che si era esibito come violino di spalla nientemeno che in orchestre sinfoniche austro-tedesche a Vienna e a Berlino.

Orchestrina romagnola, fine Ottocento primi Novecento

Mussolini aveva imbracciato il violino da giovane. Più in là con gli anni si era soprattutto fatto fotografare col violino. A Marina di Cervia il Duce volle però cimentarsi in una gara di ballo con un mio zio materno Tonino Bartoletti grande commerciante di granaglie e di concimi. Fu Mussolini a sfidarlo ricordandogli di averlo visto gagliardo ballare da giovane e lo zio Tonino accettò subito la contesa. Si scelse la ballerina e cominciarono a volteggiare. Prima un fox trot, poi un valzer, quindi un tango, una polka. La posta era: chi perde paga da bere per tutti.

Ma si poteva far perdere il Duce? Il prefetto avvicinò lo zio Tonino per dirgli che la smettesse. Ma nostro zio non ci stava né a perdere né tantomeno da buon commerciante a pagare. Finché il prefetto dopo qualche altro giro non si avvicinò allo zio Tonino mormorandogli adirato: “Lasci stare, Bartoletti. Pago tutto io”. Quand’è così, mormorò sorridendo lo zio Tonino. E la gara finì tra il sollievo e il sorriso generale. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Direttore onorario - Ha cominciato a 21 anni a Comunità, poi all'Espresso da Milano, redattore e quindi inviato del Giorno con Italo Pietra dal 1961 al 1972. Dal 1974 inviato del Messaggero che ha poi diretto per sette anni (1980-87), deputato progressista nel '94, presidente della Fondazione Rossini e membro del CdA concerti di Santa Cecilia. Consigliere della RAI dal 1998 al 2002. Autore di una trentina di libri fra cui "Roma capitale Malamata", il Mulino.