Dopo il crollo di Wall Street del 1929 Mussolini dovette aggrappare un regime altrimenti pericolante (dopo la crisi totale e il fallimento delle banche cattoliche) ai salvataggi di Stato dove essi erano ancora possibili. Convocò in gran fretta il Gruppo di Via Veneto degli economisti di Alberto Beneduce (che non ebbe mai la tessera del Partito nazionale fascista) e ordinò loro che si inventassero ogni diavoleria pur di evitare un crollo bancario a catena che più di ogni altro evento avrebbe spaventato gli italiani e nuociuto al regime. C’è ancora spazio in tv di parlare di questi temi anche in una fiction popolare, o no?


◆ Il corsivetto di VITTORIO EMILIANI 

Qui in alto, Alessio Boni interpreta Dino Grandi; sotto il titolo, Duccio Camerini nel ruolo di Benito Mussolini

Nella puntata di mercoledì 31 gennaio della fiction “La lunga notte – La caduta del duce” sull’arresto di Mussolini, trasmessa su Rai 1, è mancato un accenno (almeno uno) al grande crollo di Wall Street del 1929 che coinvolse il mondo intero, Italia inclusa. Di economia e finanza non si è proprio parlato e invece il grande crollo di Wall Street investì in pieno anche l’Italia e Mussolini dovette aggrappare un regime altrimenti pericolante (dopo la crisi totale e il fallimento delle banche cattoliche) ai salvataggi di Stato dove essi erano ancora possibili. Che poi si sollazzasse con la Petacci e altre più fuggevoli scopate è straprovato da Mimmo Franzinelli e da altri, e però ascoltò utilmente i consigli di quanti, come Alberto Beneduce (che non ebbe mai la tessera del Pnf), gli suggerivano una strada differente: quella appunto delle Banche di preminente interesse nazionale come Comit, Banco di Roma, di Napoli, di Sicilia. In altri settori strategici erano decisivi Finsider, Iri, società di navigazione Finmare.

Certo Mussolini non rinunciò e anzi sviluppò — per esempio con la Trasvolata di Italo Balbo verso New York  sempre sulla pelle degli italiani e dei consumi delle famiglie — una politica di spettacolare, potente prestigio nazionale e nazionalistico. Per non parlare poi della guerra d’Etiopia, tardiva campagna coloniale, con la quale sottrasse risorse decisive alla politica delle bonifiche (a partire da quella Pontina dove si era esibito a petto nudo in una trebbiatura provata e riprovata nel suo podere di Villa Carpena presso Forlì).

La linea di fondo dello sceneggiato prodotto da Luca Barbarossa mi sembra quindi monca di questa parte economica e francamente un po’ invecchiata rispetto agli studi più aggiornati sul ventennio mussoliniano. Una sera Pasquale Saraceno, che era il più giovane della équipe di Alberto Beneduce, cioè  del Gruppo di Via Veneto, ci raccontò che Mussolini disse perentorio a loro — convocati in gran fretta — che si inventassero ogni diavoleria pur di evitare un crollo bancario a catena che più di ogni altro evento avrebbe spaventato gli italiani e nuociuto al regime. Capisco che dilatare il discorso fosse problematico e però questi temi economico-finanziari dovevano essere raccontati sia pure sinteticamente. C’è ancora spazio per farlo? Temo di no. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Direttore onorario - Ha cominciato a 21 anni a Comunità, poi all'Espresso da Milano, redattore e quindi inviato del Giorno con Italo Pietra dal 1961 al 1972. Dal 1974 inviato del Messaggero che ha poi diretto per sette anni (1980-87), deputato progressista nel '94, presidente della Fondazione Rossini e membro del CdA concerti di Santa Cecilia. Consigliere della RAI dal 1998 al 2002. Autore di una trentina di libri fra cui "Roma capitale Malamata", il Mulino.