Ma l’Età del Ferro è stata posticipata rispetto al suo “vero” inizio? Dalla Sardegna, terra custode di grandi segreti dell’evoluzione dell’umanità, ci sono indizi (per alcuni: prove) che autorizzano una rivoluzionaria conclusione: l’Età del Ferro è cominciata prima, molto prima. E il confine tra Preistoria e Storia rischia di dover essere spostato più indietro nel tempo


◆ L’inchiesta di MAURIZIO MENICUCCI

Un nuvolo mattutino dello scorso fine maggio, tre austeri signori si aggiravano, intenti a chissacché, sul litorale deserto di Santa Caterina di Pittinuri, poco a sud di Bosa. Parliamo di uno di quei luoghi della Sardegna, peraltro bellissimi, dove gli estranei non passano ancora inosservati. Ancor più, poi, quando, fuori stagione e vestiti da città, fanno cose insolite, tipo calpestar la sabbia umida – qualcuno giura che le impronte siano rimaste lì per settimane, ma ai sardi piacciono le iperboli – e passarsi di mano uno strano aggeggio, tra mezze frasi e sorrisi complici, come di chi abbia trovato finalmente conferma a un’idea a lungo coltivata. I paesani, dopo aver speso qualche parola a proposito dell’età del trio, poco adatta a giochicchiare con il metal detector in cerca di collanine smarrite dai bagnanti, ricordano di essere tornati a farsi i propri affari.

Museo nazionale di Cagliari: bronzetto guerriero denominato “eroe a 4 braccia e 4 occhi” proviene da Abini-Teti; sotto il titolo, Particolare del versante est del Montiferru. Veduta dalla sorgente Elighes ‘Uttiosos in territorio di Santu Lussurgiu (foto da Wikipedia) e, più in basso, bronzetto di arciere

E anche per noi non varrebbe la pena dilungarci, non fosse per la curiosa coincidenza che in un certo senso gli occhiuti caterinesi avevano intuito giusto: il nocciolo della strana passeggiata lungo mare e di tutta la storia che segue, è proprio l’età. Non quella dei pur attempati visitatori, che comunque, come vedremo, sono tutt’altro che pensionati in gita. Si tratta di una questione molto più seria e gravida di conseguenze: cioè della vera, o presunta, Età del Ferro, la fatidica soglia tra Preistoria e Storia che sui banchi di scuola avevamo imparato a collocare intorno all’anno mille avanti l’Era Volgare, dopo le età del Rame e del Bronzo. Invece, e questo è il punto, alcuni studiosi, pochi all’inizio, ma via via più numerosi e convinti, vorrebbero farla cominciare molto prima degli altri metalli, almeno in alcune aree particolarmente fortunate dell’ecumene: tra queste, appunto, la Sardegna, proprio in virtù della sua ricchezza di minerali ferrosi.

Ma andiamo per gradi, anche perché la teoria è rivoluzionaria e, come sempre, farà scorrere tra gli studiosi e gli appassionati del Passato, se non proprio sangue, un bel po’ di ematite. É inutile negare, infatti, che arretrare di millenni la siderurgia, con tutta la sapienza indispensabile al processo di fusione, e andare a sistemarla, sul calendario della nostra evoluzione culturale, subito dopo la tecnologia della pietra, suoni come un’autentica eresia. Però, a metterle in fila, le ragioni di chi lo sostiene non sono irrilevanti. Vertono, soprattutto, su due punti: l’evidenza che ogni cultura materiale nasce dalla disponibilità ambientale dei suoi elementi; e gli interrogativi sollevati dalla lavorazione dei megaliti, quei massi pesanti anche decine di tonnellate, che fin dalla più lontana Preistoria, quindi almeno dodicimila anni fa, gli uomini sapevano tagliare, estrarre e squadrare, in modo da farli combaciare, formando strutture complesse come dolmen, cerchi di pietre e torri nuragiche.

É vero che c’è tutta una letteratura che pretende di spiegare come avrebbero fatto: con corde vegetali, strofinate avanti e indietro fino a incidere la superficie del minerale; o con zeppe di legno bagnate, affinché si dilatassero dentro i solchi per separarne i blocchi; o con cunei di pietra. E gli archeologi sperimentali, specializzati nel riprodurre tali tecniche e i loro risultati, lo hanno anche dimostrato: proprio come inconsistente goccia, alla lunga, ‘cavat lapidem’, anche la roccia, strisciata e logorata, percossa e ribattuta, finisce per arrendersi al progettista. Ora, che sia proprio così, finché la pietra è abbastanza tenera da essere scalfita dalla stessa pietra, o dal bronzo, può darsi. Più difficile è spiegare le centinaia e forse migliaia di Domus de Janas, quei sepolcri che i sardi prenuragici scavavano già seimila anni fa, con pareti e tetti di mirabile geometria e levigatezza perfino nei minerali più duri, come il granito e il basalto. Si può davvero credere che ci riuscissero solo con strumenti di pietra, visto che il bronzo – lega di rame e stagno, o di rame e arsenico – era ancora di là da venire, e che, in ogni caso, la sua durezza è molto relativa?

«È impossibile. Lo lasci dire a me che a martellare pietra e metalli ci ho passato la vita». Carmine Piras ha 75 anni e della teoria dell‘Età del Ferro millenni prima di quella ufficiale è considerato il profeta. La sua premessa «non sono un archeologo, ma uno scultore», più che l’ammissione di un limite, è una referenza: «Loro vengono da facoltà letterarie, ma di materiali san poco, o nulla». Lui invece, ne sa. «Avete mai notato i dettagli minuti con cui queste case dei morti simulano, nella pietra, le case di legno dei vivi? Non parlo solo della forma dei tetti, ma delle travature, della sequenza delle stanze, addirittura dei battiscopa! Com’era possibile tutto questo, scalpellare e lisciare il granito, nell’Età della Pietra e nel Calcolitico, quella del  Bronzo?». Carmine se lo è chiesto per mezzo secolo e la risposta che la logica e l’esperienza di forgiatore gli hanno suggerito sempre più forte è una sola: «È ferro! Sì, ferro prima dell’età del Ferro». Però, non quello nativo, cioè già allo stato metallico, come il pugnale ritrovato nella tomba di Tutankamen, del quale s’è appena scoperta l’origine meteoritica. «Potevano anche usarlo, il ferro nativo, ma solo per oggetti ornamentali, perché è raro e difficile da fondere». 

Ma quale ferro, allora? E come? La soluzione, Carmine, l’ha trovata, appunto, sulla spiaggia di Santa Caterina. E subito dopo, ci ha portato due amici e sodali di teoria: Carlo Delfino di Sassari, il maggior editore sardo, con un immenso catalogo di testi archeologici e storici illustrati; e Vittorio Corbani, consulente finanziario «contagiato – parole sue – dalla febbre della Sardegna antica», nonché presidente di Atlantis, associazione che raccoglie duecento ‘praticanti archeologi’ vegliati da un comitato scientifico di solido ‘Impact Factor ’. Ovviamente, lo strumento che i tre amici agitavano non solo lì a Santa Caterina, ma anche su numerose altre sabbie scure del Sinis, non era un cerca-metalli, ma una semplice calamita. «A ogni passo si copriva di particelle nere – ricorda Delfino – perché quella sabbia è, al 95 per cento, magnetite, cioè ossido di ferro. Le analisi del professor Antonio Brunetti all’Università di Sassari, confermano sia la composizione, sia, attraverso gli isotopi, l’origine della sabbia nera. Viene dal cuore del massiccio che sta alle spalle della costa e non a caso si chiama, da sempre, Montiferru, Monte del Ferro. L’acqua l’ha erosa e l’ha trascinata sul litorale; lì, grazie al proprio peso specifico e all’azione, contraria, delle onde, si è depositata fino a cinque o sei metri di  profondità». Per trasformarla in ferro, basta prenderla così com’è e scaldarla oltre i 1400 gradi centigradi. Possono sembrare molti, ma l’artista del fuoco dice di no. «È una temperatura che si supera facilmente. Gli arbusti della macchia mediterranea e qualche modesto accorgimento tecnico, certamente noto anche a quei tempi, possono aumentare il calore fino a renderlo chimicamente riduttivo». Lo vedremo meglio domani strada facendo. (1. continua) © RIPRODUZIONE RISERVATA

Inviato speciale per il telegiornale scientifico e tecnologico Leonardo e per i programmi Ambiente Italia e Mediterraneo della Rai, ha firmato reportage in Italia e all’estero, e ha lavorato per La Stampa, L’Europeo, Panorama, spaziando tra tecnologia, ambiente, scienze naturali, medicina, archeologia e paleoantropologia. Appassionato di mare, ha realizzato numerosi servizi subacquei per la Rai e per altre testate.