Sotto il titolo: Pianello di Ostra, 16.9.2022, foto di Alessandro Di Meo/Ansa

C’è stata una stagione in cui il Paese s’è dato ottime norme per la prevenzione delle alluvioni. Intendo le Autorità di Bacino che il Parlamento aveva approvato mutuandole dalla Authority del Tamigi. Un’esperienza che aveva avuto grande successo pratico facendo tornare il salmone a guizzare nelle acque di quel grande fiume e che aveva riunito in sé centinaia di enti, compresa una rappresentanza degli utenti. Su quell’esempio virtuoso erano istituite grandi Autorità di Bacino come quelle del Po, dell’Adige, dell’Arno, del Tevere che unificavano controllo degli abusivismi golenali e pianificazione degli sviluppi leciti lungo l’intero corso che interessava più regioni. Ma tanto forte è stata, al solito, la capacità di elaborare buone leggi quanto debole la reale volontà politica di attuarle. Non pochi se la prendono ancora con la “natura matrigna”. E in tanto fango si piangono sempre più morti persino bimbi strappati dalle braccia delle madri. Quando ci ridaremo la disciplina europea dei Distretti fluviali?


L’articolo di VITTORIO EMILIANI

SONO CERTO VIOLENTISSIME le alluvioni che colpiscono a nord come a sud le nostre città e però i governi italiani divenuti impotenti al centro e inerti o molto accomodanti a livello regionale con una assurda e controproducente “autonomia differenziata” hanno fatto poco o nulla per contrastare il fenomeno. Anzi lo hanno favorito con una sorta di spogliarello legislativo rispetto ai decenni passati. Intendo parlare delle ottime leggi sulle Autorità di Bacino che pure il Parlamento nazionale aveva dato al Paese mutuandole in particolare dalla Authority del Tamigi che aveva avuto grande successo pratico facendo tornare il salmone a guizzare nelle acque di quel grande fiume e che aveva riunito in sé centinaia di enti compresa una rappresentanza degli utenti. Il nostro Parlamento nazionale negli anni ’70 aveva saputo cogliere quell’esempio virtuoso e trasferirlo, adattato alle diversità italiane, alla realtà plurale dei nostri fiumi e quindi bacini idrografici. Per cui erano istituite grandi Autorità di Bacino come quelle del Po, dell’Adige, dell’Arno, del Tevere che unificavano controllo degli abusivismi golenali e pianificazione degli sviluppi leciti lungo l’intero corso che interessava più regioni. Per il Po ad esempio Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna. Mentre la Lega di Bossi pretendeva una assurda tutela e gestione spezzettata per singole Regioni.

Un ponte stradale sul Misa, sfondato dall’acqua e dal fango

Quell’ottima legge, modificata secondo dettami europei ma intatta nella sostanza è stata per decenni rimpianta da specialisti del ramo, urbanisti, trasportisti, ecc. perché finalmente dava ordine e prospettiva ad un sistema fluviale sin lì caotico e flagellato da un abusivismo che aveva reso le aree golenali non più aree di sfogo del fiume durante le piene bensì zone di ingombrante e pericoloso abusivismo edilizio anche in funzione del suo sfruttamento. Nel Po ad esempio con la disastrosa immissione di specie ittiche estranee come i pesci siluro che hanno distrutto la tipica fauna del maggior fiume italiano. Né le Autorità hanno mai acquisito il potere amministrativo per contrastare i frequenti furti d’acqua di certi agricoltori per colture fortemente bisognose d’acqua come il mais che a noi sarebbe costato meno importare.

Ma tanto forte è stata, al solito, la capacità di elaborare buone leggi quanto debole la reale volontà politica di attuarle. Anche a costo di pagare pesanti penali a livello comunitario. Così è stato sciaguratamente per l’ottima legge degli anni ’70 sull’assetto idrogeologico e sulle Autorità fluviali con grandi e illuminati piani rimasti sulla carta e travolti da un abusivismo sempre più potente e agguerrito. Quello stesso che si sta incessantemente “mangiando” il suolo italiano a vantaggio delle piattaforme per lo smistamento delle merci con una cementificazione dei suoli liberi e delle sponde fluviali che facilitano grandemente quei disastri ambientali ai quali assistiamo disperati e impotenti. Ricordo bene — perché ero sul posto da cronista — la prima alluvione di Genova con quattro morti nel sottopassaggio della Stazione di Genova Brignole investita dalla piena del Bisagno il cui letto era stato occupato da impianti sportivi e da colture orticole fino a tombarne addirittura il passaggio in piena Genova. Con esiti ovviamente distrastrosi. E già si parlava di calamità “naturali”.

1970, alluvione di Genova; il letto del fiume Bisagno era stato occupato da impianti sportivi e da colture orticole fino a tombarne addirittura il passaggio nel cuore della città: “calamità naturale”?

Ma quella prima tragedia di Genova insegnò poco o nulla a livello nazionale e non pochi se la prendono con la “natura matrigna”. Che adesso investe regioni come le Marche la cui orografia è da sempre nota e cioè quella di tante vallate che scendono verso l’Adriatico e si scopre che lavori di regimazione di fiumi e torrenti previsti una ventina di anni fa non sono mai stati neppure iniziati. E in tanto fango si piangono sempre più morti persino bimbi strappati dalle braccia delle madri. Quando ci ridaremo la disciplina europea dei Distretti fluviali? Quando riscopriremo che ogni pianificazione deve essere ispirata all’interesse collettivo e non a quello dei potenti del momento? Il momento elettorale è uno dei passaggi giusti in tal senso, privilegiando chi fa dell’Italia tutta una grande e drammatica questione ambientale. Da subito. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Direttore onorario - Ha cominciato a 21 anni a Comunità, poi all'Espresso da Milano, redattore e quindi inviato del Giorno con Italo Pietra dal 1961 al 1972. Dal 1974 inviato del Messaggero che ha poi diretto per sette anni (1980-87), deputato progressista nel '94, presidente della Fondazione Rossini e membro del CdA concerti di Santa Cecilia. Consigliere della RAI dal 1998 al 2002. Autore di una trentina di libri fra cui "Roma capitale Malamata", il Mulino.