Con due Giri un Tour e una Vuelta, Vincenzo Nibali ha tenuto in piedi il nostro ciclismo nell’ultimo decennio quasi da solo. Si distinguono Ganna e Bagioli. Nelle corse in linea brilla il solo Bettiol al Fiandre. Dove sono finiti i campioni delle grandi corse a tappe? L’analisi di MARCO FILACCHIONE ⚈ Sestriere, penultima tappa del Giro d’Italia 2020: mentre i giovani e semi sconosciuti Hindley e Geoghegan Hart si giocano il trionfo rosa ad ogni tornante, Vincenzo Nibali rema a un paio di minuti di distanza, trascinando con grande dignità i suoi quasi 36 anni. Qualche metro dietro, il trentottenne Pozzovivo, malgrado mille ferite, tiene botta oltre ogni aspettativa. Il loro orgoglioso tramonto non può più coprire il difficile ricambio generazionale del nostro ciclismo, lontano dagli standard del passato e in difficoltà rispetto a uno sport ormai mondializzato, nel quale australiani, inglesi e sloveni mettono le mani sulle corse più prestigiose. I numeri sono eloquenti: nell’ultimo decennio Vincenzo Nibali, quasi da solo, ha tenuto in piedi il ciclismo azzurro nelle grandi corse a tappe, vincendo due Giri, un Tour de France e una Vuelta. Non pervenuti gli altri, a parte le apprezzabili eccezioni di Scarponi (Giro d’Italia 2011, ma solo dopo la squalifica di Contador) e Aru (Vuelta 2015). E...
Il nervo scoperto del ciclismo azzurro: «All’Italia mancano idee, progetti e risorse»
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Marco Filacchione
Marco Filacchione, romano, ha esplorato ogni periodicità del giornalismo scritto, lavorando per mensili, settimanali, quotidiani e agenzie di stampa. Ha cominciato negli anni Ottanta con “Il Messaggero”, poi ha seguito da inviato per anni Giro d’Italia, Tour de France e classiche del Nord per il mensile “Bicisport”. In seguito si è occupato di calcio con il mensile “Newsport” e ha fatto parte della redazione del “Corriere dello Sport”, di cui è tutt'ora collaboratore. È autore di una decina di volumi di carattere sportivo.